Processo Perseo, emergono nuovi particolari durante udienza

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Lamezia Terme – Quattro i testi che hanno sfilato stamane davanti al collegio giudicante (Presidente Fontanazza e a latere Aragona e Monetti) per l’udienza del processo Perseo che vede 21 imputati delle 75 persone indagate nell’operazione portata avanti dalla DDA di Catanzaro contro la cosca lametina dei Giampà.

Il Pubblico Ministero Elio Romano ha chiamato a testimoniare il brigadiere LeonardoVirdò, il sostituto commissario – responsabile sezione investigativa del Commissariato di Lamezia Antonio Serratore e l’ispettore Carito, che hanno fornito dettagli importanti sul tentato omicidio di Pasquale Gullo e Pasquale Torcasio, avvenuto nel febbraio 2007 in via dei Bizantini nel quartiere di Capizzaglie. A parte Virdò che ha spiegato di essere intervenuto come primo intervento e di aver circoscritto la zona in attesa dei colleghi del nucleo operativo, è stato il sostituto commissario Serratore a spiegare come intuirono che Gullo fosse scampato all’agguato grazie ad un’intercettazione per una microspia posizionata nell’autovettura di Pasquale Torcasio. Il sostituto commissario, che ha specificato come Gullo e Torcasio siano stati condannati per associazione a delinquere ed estorsione nell’Operazione “Spes”, ha spiegato come avessero accertato che il luogo dell’agguato distasse poco dall’abitazione di Pasquale Torcasio. L’ispettore Carito ha aggiunto poi che, sia attraverso le dichiarazioni dei collaboratori e le intercettazioni, avessero accertato che coloro che avevano attentato alla vita di Gullo e Torcasio, conoscessero bene quali fossero le loro abitudini, grazie anche, come ipotizzato dagli investigatori, alla presenza di un panificio che si trova a 50 metri dal luogo dell’agguato e che sarebbe servito agli attentatori da “specchietto” per controllare gli obiettivi.

A sorpresa, dopo questa serie di testimonianze è stato uno degli imputati a chiedere di poter rilasciare una dichiarazione spontanea sul tentato omicidio. Si è trattato di Antonio De Vito che in aula ha spiegato la sua versione dei fatti sull’episodio. A sparare, la sera del 16 febbraio del 2007, sarebbero stati Battista Cosentino e Saverio Cappello, in sella ad una vespa 125. I due, dopo l’agguato, avrebbero dato fuoco alla motocicletta sugli argini del torrente Piazza nel quale poi l’avrebbero buttata. Successivamente, sempre nelle parole di De Vito, i due sarebbero entrati nell’azienda di sua proprietà e dopo essersi fatti una doccia, avrebbero bruciato i vestiti utilizzati quella sera. De Vito ha raccontato di sapere questi particolari perché Cosentino era un suo dipendente e aveva le chiavi per entrare in azienda e ha spiegato di aver fatto questa ricostruzione dopo che gli ispettori si erano presentati da lui perché avevano notato i due, con il volto coperto, vicino al piazzale. I particolari di De Vito non si fermano qui e ha raccontato di conoscere perfettamente la moto utilizzata perché sarebbe stata la stessa che Cosentino avrebbe voluto vendergli nel gennaio del 2007 ma che, dopo un controllo alla motorizzazione per il passaggio di proprietà, sarebbe risultata clonata. La vespa sarebbe stata nascosta poi in un uliveto nelle vicinanze del cantiere.

Tutta l’udienza di oggi, però, è stata incentrata sulla testimonianza del Maresciallo dei Carabinieri Francesco Farina, che ha prestato servizio a Lamezia per più di 7 anni. Oltre alla ricostruzione storica delle attività investigative sulla cosca Giampà, partendo dall’omicidio Amendola del 2008 fino alle più recenti operazioni, il maresciallo ha fornito particolari importanti su vicende e personaggi presumibilmente legati alla consorteria criminale. Farina ha fatto riferimento poi anche all'operazione “Infinito”, in cui si determinarono le influenze ‘ndranghetiste in Lombardia. Farina ha parlato anche di un incontro a casa di Aldo Notarianni e Giuseppe Giampá tra i referenti locali della cosca e quelli lombardi, oltre che di un omicidio a Milano connesso alla presenza di Giuseppe Giampá insieme a Saverio Cappello sul territorio milanese per un sopralluogo “preparatorio” all’omicidio.

Sul tentato omicidio di Gullo e Torcasio, Farina ha poi spiegato che dopo i sopralluoghi si capì subito che si era trattato di un’azione in movimento e che i killers, con il volto coperto dal casco, si erano recati sul posto con una motocicletta e che avevano sparato con una calibro 9. I due spararono prima a Giuseppe Curcio, che in realtà era un co-obiettivo e non l’obiettivo principale dell’attentato, che era rivolto agli altri due, che però riuscirono a scappare nascondendosi in un cortile di un’abitazione nelle vicinanze. “Tutto quello che era stato accertato nei riscontri immediatamente successivi al tentato omicidio - ha spiegato il maresciallo – fu confermato dalle dichiarazioni di un testimone subito dopo e dei collaboratori di giustizia anni dopo. Per indagini postume – ha continuato Farina – capimmo che l’obiettivo era Pasquale Gullo. Bisogna pensare che era un periodo di guerra di mafia tra le due consorterie: la cosca Giampà e quella dei Cerra-Torcasio-Gualtieri, di cui faceva parte Gullo”.

Nello specifico, poi, è stato il Pubblico Ministero Romano a fargli domande su alcuni esponenti della cosca: su Andrea Crapella, comparso nelle attività intercettive in carcere nell’ambito dell’omicidio Amendola e che fanno riferimento all’ottobre, novembre e dicembre 2009, confluita poi nell’informativa Cerbero e alle attività intercettive nei confronti di Aldo Notarianni in cui compariva il suo nome; e su Vincenzo Arcieri, considerato dagli inquirenti un personaggio di spicco della cosca perché facente parte della famiglia Arcieri che, insieme ai Cappello erano legati alla consorteria criminale dei Giampà. “Importanti – ha spiegato Farina – sono state le prime collaborazioni ma ancora più fondamentali le indagini portate avanti”. A contestare le dichiarazioni del maresciallo dei Carabinieri è stato l’avvocato Aldo Ferraro, legale difensore di Arcieri. Oltre all’attività dei collaboratori di giustizia, secondo il legale, non esisterebbero attività investigative che possano confermare che Vincenzo Arcieri sia un soggetto di spicco della cosca, anche se il Maresciallo ha raccontato di un “pizzino” ritrovato nei primi anni 90, nel quale ci sarebbe stato un atto di giuramento e di affiliazione alla cosca, riconducibile al padre di Vincenzo Arcieri, Antonio. L’avvocato Ferraro ha poi chiesto chiarimenti sulla questione dell’estorsioni ai danni della Edil Chirico da parte dei Notarianni. L’avvocato si è soffermato sul rapporto lavorativo tra le due ditte, con la prova delle bolle di pagamento che attestavano i rapporti commerciali tra i due.

Nel controesame poi due avvocati, Luca Scaramuzzino e Francesco Pagliuso, si sono concentrati nuovamente sulla possibile fuga di notizia, attraverso una chiavetta usb, da parte di qualche componente del nucleo operativo lametino dei Carabinieri e di un esposto che un agente dell’arma avrebbe presentato per una presunta gestione anomale dei collaboratori di giustizia. L’avvocato Pagliuso, tra l’altro, ha presentato una copia dell’esposto al collegio giudicante. Un’udienza lunga, quella di oggi, durata quasi quattro ore durante le quali sono usciti fuori nuovi particolari che potrebbero risultare rilevanti per i giudici. Nella prossima udienza si concluderà la lista dei testi della polizia giudiziaria presentata dal Pm. Dalla successiva toccherà invece ai collaboratori di giustizia.

C.S.

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