Lamezia Terme - “Un romanzo criminale sull’Italia”, con queste parole il giornalista Gaetano Savatteri ha definito il libro di Marco Travaglio “E’ Stato la mafia. Tutto quello che non vogliono farci sapere sulla trattativa e sulla resa ai boss delle stragi”, edito da Chiarelettere. Savatteri ne ha discusso con l’autore in un’affollata piazzetta San Domenico nella terza delle serate di Trame, festival dei libri sulle mafie.
Al centro del libro di Travaglio le trattative intercorse fra Stato e Mafia per annullare o addolcire la nota legge 41 bis sul carcere duro riservato ai mafiosi in cambio della cessazione del periodo delle stragi. Una trattativa risalente al 1992, la cui sussistenza è ormai stata sancita dalla Cassazione e per la quale è attualmente in atto un processo che dovrebbe stabilire le varie responsabilità degli indagati per il reato di violenza o minaccia a corpo politico. Ma secondo Travaglio dietro la faccenda si nascondono verità troppo scomode per venire alla luce, reati invisibili, compiuti in un contesto in cui l’intero Stato è connivente e ad essere deviato, nel senso letterario del termine, non è chi delinque accordandosi con la mafia ma semmai chi sceglie di combatterla. Come ad esempio Paolo Borsellino, probabilmente eliminato perché venuto a conoscenza della situazione, la cui agenda rossa contenente i risultati delle ultime indagini è infatti stata fatta sparire subito dopo l’attentato di via D’Amelio.
Nel suo libro Travaglio declina la storia in maniera semplice e diretta corredandola di date e documenti ufficiali. Tutto inizia proprio nel ’92, quando due carabinieri del Ros avvicinano il figlio di Vito Ciancimino per raggiungere il boss, agli arresti domiciliari a Roma, e trattare la fine del periodo stragista, usandolo probabilmente come tramite per arrivare allo stesso Riina. I due affermeranno successivamente di aver agito senza essere manovrati dall’esterno ma la cosa appare a tutt’oggi poco credibile. "D’altronde - dice Travaglio - una cosa simile era perfettamente in linea con il sistema tipico di trattare la mafia in Italia: pubblicamente si dice di combatterla, in realtà la si usa come una fonte di servizi e solo di tanto in tanto, quando alza troppo la voce, la si tiene a bada.” Un sistema che certamente il carcere duro del 41 bis rischiava di scompaginare, generando una serie di pentiti che pur di uscire dall’isolamento hanno parlato, producendo una reazione a catena pericolosa per molti. Un libro crudo e acuto, pieno di nomi e di cognomi e di storie poco battute dalla stampa, che non manca di mettere in gioco lo spirito critico del lettore.
Giulia De Sensi
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