Lamezia Terme - Sarà in scena al Teatro Grandinetti il 17 novembre per la Stagione Teatrale di AMA Calabria la commedia brillante “Tre uomini e una culla” tratta dall’omonimo famosissimo film degli anni ’80 con la regia di Coline Serreau. L’adattamento teatrale, scritto dalla stessa Serreau con Samuel Tasinaje, è interpretato da Attilio Fontana, Giorgio Lupano e Gabriele Pignotta – quest’ultimo anche alla regia –, nella parte dei tre scapoli la cui vita viene improvvisamente travolta dall’arrivo inatteso della piccola Marie. Attilio Fontana, nel ruolo del dongiovanni della comitiva, svela in anteprima le sfumature e il messaggio della divertentissima storia.
Questa commedia, adattata dal film omonimo degli anni ’80, esce in un momento storico in cui i nuovi modelli di famiglia sono entrati in maniera evidente a far parte del nostro tessuto sociale. Lei ritiene che portarla oggi a teatro oggi possa contribuire ad un percorso d’apertura verso queste realtà?
“Assolutamente sì. Coline Serreau ha avuto una sorta di presagio raccontando questa storia negli anni ’80, e mettendo in scena già all’epoca una famiglia di oggi. Una famiglia in cui tre uomini che convivono in maniera cameratesca in un appartamento, occupati fra avventure galanti, cene e vita da single, sono costretti a spogliarsi dal loro machismo, dalle loro abitudini e dal loro linguaggio da maschi alfa, scendendo a patti con la tenerezza. Alla fine tutti gli stereotipi vengono sconfitti dalla donna più piccola e indifesa con cui i tre abbiano mai avuto a che fare. Dunque si tratta di uno spettacolo pienamente sincronizzato con il presente, una finestra sul futuro che inquadra la vita di una famiglia in cui manca la figura materna, ma dove in compenso ci sono tre padri: una sorta di famiglia Arcobaleno”.
Com’è stato il rapporto di scena con i due coprotagonisti della pièce? Ѐ stato facile entrare in sintonia e creare un trio?
“Siamo stati tutti molto generosi, anche considerando che siamo tre attori molto diversi, sia come carattere che come formazione attoriale. Mescolare i nostri linguaggi ha portato ad un’autenticità che va perfino oltre il teatro: a tratti, fa pensare quasi a una sit-com televisiva, sembra di guardare una puntata di Friends. Insomma, 1 ora e 50 minuti di complicità e trappole comiche, che porteranno il pubblico a divertirsi tanto, ma anche, contemporaneamente, a riflettere sull’attualità”.
Al di là dell’identità del messaggio, che differenze ci sono fra la pellicola che conosciamo e la commedia che ne è stata tratta? Il teatro può offrire secondo lei un valore aggiunto alla storia?
“Io penso che il teatro sia un valore aggiunto a prescindere, soprattutto in un’epoca in cui sembra basti leggere due righe sui social per capire il mondo. Il teatro è invece un acquario dell’umano, e sta tornando di moda, perché lì il pubblico trova qualcosa di vivo che accade realmente tutte le sere, al contrario che su Facebook, Instagram o Netflix. Inoltre questo spettacolo è scritto per il palato di oggi, anche se la sceneggiatura, la musica, perfino i comportamenti rimandano agli anni ’80. Le Hit usate come colonna sonora, in particolare, suscitano di solito enorme entusiasmo nel pubblico, perché la gente della mia età le ricorda perfettamente, ma non le sente da 20 o 30 anni”.
Era già stato in Calabria e a Lamezia? Cosa si aspetta dal soggiorno?
“Sono molto legato alla Calabria. Ho un caro amico giornalista, che è di Crotone, con il quale l’ho girata in lungo e in largo facendo musica dal vivo e conducendo serate. Ogni volta che scendo ho l’occasione di rivedere luoghi e persone che conosco, ed è un pezzo del Sud che amo. Così come amo tante cose che credo esistano solo nel DNA di chi ci vive”.
Giulia De Sensi
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