Lamezia Terme - Di fronte all’urgenza di trovare risposte adeguate ai nuovi bisogni sociali, frutto della stagnante crisi economica, è necessario stimolare nuove riflessioni per costruire la speranza in un futuro che sembra ogni giorno più “buio”.
È di questi giorni la beatificazione di Paolo VI, al secolo Giovanni Battista Montini, “una personalità capace di leggere i segni della Storia individuando nuove vie per dare risposte ai nuovi bisogni”, così l‘ha definita Papa Francesco, ricordando soprattutto la sua umiltà, con cui “mentre si profilava una società secolarizzata e ostile, ha saputo condurre con saggezza lungimirante - e talvolta in solitudine - il timone della barca di Pietro senza perdere mai la gioia e la fiducia nel Signore”.
Cosa può dirci oggi Paolo VI?
Ci può “illuminare” la sua famosissima frase “Il nuovo nome della pace è lo sviluppo”, che ritroviamo nella enciclica Populorum Progressio del 1967, una frase per dire, allora come oggi, che di fronte all’indigenza e all’ingiustizia non basta predicare la pace con semplici appelli morali, denunce, ma è necessario impegnarsi in un processo di cambiamento economico e sociale che dia a tutti la possibilità di una vita dignitosa.
Una frase che ha cambiato il senso dell’economia e che ha ispirato il nostro dibattito su “economia di pace”, una economia volta allo sviluppo, ad una visione strategica che sappia coniugare la dimensione locale e globale, in grado di promuovere un nuovo dinamismo economico e nuove risposte alle diverse emergenze, prima tra tutte, l’emergenza lavoro.
Prima di declinare questa visione alta al nostro quotidiano forse è bene ricordare un’altra frase storica di Papa Paolo VI, il quale diceva, e ne era convinto, che “la politica è la forma più alta della carità”.
Frasi di un Papa consapevole della responsabilità del cristiano, della Chiesa a dover collaborare nella costruzione del “bene comune” della famiglia umana, una collaborazione che attiene anche la dimensione economica e politica.
Seguendo questa direzione, centrata sul magistero sociale della Chiesa, la diocesi di Lamezia Terme da anni sta segnando un sentiero “virtuoso” volto a “far comprendere” possibili vie per attraversare il Mare Rosso che ci separa dalla terra promessa: la ripresa di uno sviluppo integrato, equo, sostenibile, al passo con la globalizzazione, partendo dal nostro territorio lametino, sviluppo non pura crescita economica.
Un sentiero che noi come associazione cattolica con vocazione economica-imprenditoriale, UCID, stiamo percorrendo con le molte altre realtà diocesane, consapevoli che la soluzione ai gravi problemi sociali ed economici non passa solo attraverso semplici riforme, leggi, politiche monetarie e fiscali, ma è necessario ritrovare in Italia, come in gran parte dell’Occidente, i fondamenti del valore che vogliamo riconoscere all’uomo, alla famiglia, all’intera umanità.
Una elaborazione culturale che anche noi cattolici, in coerenza alla nostra fede ed al nostro patrimonio culturale, dobbiamo affrontare dipanando questioni che la modernità ha posto all’ordine del giorno, anche a causa della nostra distrazione.
Da qui un invito a prestare più attenzione allo sforzo che il nostro Vescovo sta con tenacia portando avanti da tempo per sollecitare una maggiore presa di coscienza del senso profondo della “realtà” (“La realtà è più importante dell’idea” Papa Francesco -EG 231).
La sfida che la cristianità è chiamata ad affrontare oggi è ben espressa nella recente esperienza del Sinodo sulla famiglia, al di là di tutte le interpretazioni mediatiche, per noi cattolici segna l’urgenza di ritrovarci, riscoprire la nostra identità per poter assolvere alla nostra responsabilità di cittadini collaborando per il “bene” del nostro Paese.
Ritroviamo il senso di questa sfida nel passo del Vangelo, che ben racchiude tutto il magistero del Beato Paolo VI: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Matteo 22,15-21).
Nelida Ancora
Presidente Ucid Lamezia Terme
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