Lamezia Terme - Zangarona, “la più antica delle frazioni di Nicastro”, come viene definita dallo storico Bonacci in un testo sulle origini dell’insediamento, ha una storia davvero insospettabile, del tutto ignorata dalle cronache e sconosciuta ai non addetti ai lavori. Le sue radici Arbëreschë, talvolta riportate alla luce dell’interesse comune, non vanno in realtà ricondotte, sempre secondo il Bonacci, all’ondata migratoria proveniente dall’Albania che alla fine del ‘400, dopo la morte dell’eroe nazionale Skanderberg (1468) interessò il sud Italia, ma ad un periodo ancora precedente.
La costituzione dell’abitato sembra infatti risalire agli anni 40 del XV secolo, circa tre decenni prima, alla fine della guerra fra Angioini e Aragonesi, quando questi ultimi, dopo trent’anni di battaglie, riuscirono a riunire sotto il loro dominio il Regno di Napoli, di cui la Calabria era parte integrante, con l’aiuto di alcuni contingenti provenienti dall’Albania. Dopo la vittoria, per gratitudine, Alfonso d’Aragona regalò agli Albanesi alcuni territori, e sorsero così nella piana lametina prima gli insediamenti – o, secondo la denominazione antica, “Casali” – di Zangarona e di Vena di Maida, poi di Gizzeria e Amato. Per quanto riguarda l’origine del nome, la tesi più accreditata è quella del Rohlfs, che riconduce il nome all’appellativo di “zingari”, attribuito nei primi tempi dalla diffidenza dei Nicastresi ai nuovi arrivati. Come spiega il Bonacci, a rafforzare la tesi, “la maggior parte dei nomadi, che essi conoscevano, provenivano dai Balcani come gli Albanesi e il modo di vestire dei nuovi arrivati rassomigliava molto al costume degli zingari”, così “qualcuno, per ribadire la sua opinione che si trattava veramente di zingari, li chiamò “Zingaroni”, in senso dispregiativo. Il significato originario del toponimo era quindi “Casale di Zingari”.” Ignoto sembra essere il nome che la piccola comunità non autoctona dava originariamente a sé stessa, mentre rimane traccia della sua distinta e profonda cultura, così riassunta dall’archeologo Antonio Vescio, direttore del Centro Documentazione e Studi sul Territorio Lametino: “A Zangarona è esistito il rito greco, poiché gli albanesi erano ortodossi: veniva praticato nell'antica chiesa di S. Nicola, di cui oggi è rimasto solo il toponimo e forse qualche resto; nel 1601 ci fu il passaggio al rito latino e fu istituita la parrocchia. Quindi si avviò la costruzione della nuova chiesa, quella attuale, in origine dedicata alla Madonna della Pietà, poi a Santa Maria delle Grazie. All’interno, di maggiore pregio è sicuramente la statua marmorea raffigurante proprio la Madonna delle Grazie, risalente al 1607 e commissionata dal Vicario episcopale di Nicastro, D. Gregorio de Straniis, allo scultore napoletano Francesco Cassano, le cui opere adornano tra l'altro la Real Cappella del Tesoro di San Gennaro a Napoli.
Durante alcuni lavori, sotto la facciata è emerso un affresco raffigurante una Pietà, di inizio '600, che ci ricorda l'originale denominazione della chiesa”. In ogni caso, secondo alcune testimonianze riportate dallo storico Campennì, “l'identità albanese della comunità di Zangarona, sullo scorcio del XVII secolo, è ancora intatta e vitale, ma al tempo stesso ben integrata nella nuova dimensione geoantropologica calabrese”. In altre parole, fino al 1600, gli abitanti della frazione parlavano fra loro ancora in Albanese, sebbene conoscessero perfettamente anche l’italiano, e conservavano intatta memoria della loro cultura: una cultura e un bilinguismo riassorbiti dalla modernità e scoraggiati dal pregiudizio dei locali, di cui è necessario riscoprire e valorizzare la storia e le radici.
Giulia De Sensi
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