Esattamente tre anni fa, il 23 aprile 2008, Luca Palamara veniva eletto presidente dell’Anm, l’Associazione nazionale magistrati alla quale è iscritta la quasi totalità dei magistrati italiani in servizio (8284 sul totale di 8886). Aveva 39 anni, risultando il più giovane presidente nella ultrasecolare storia di quella associazione, fondata nel 1909, sciolta nel 1925 in seguito al rifiuto di trasformarsi in sindacato fascista e immediatamente ricostituita alla caduta del fascismo.
Palamara è figlio d’arte: aveva raccolto il testimone appena diciottenne da suo padre, Rocco, deceduto a soli 61 anni “per causa di servizio” dopo un’intensa attività culminata alla direzione Affari esteri del ministero di Grazia e Giustizia, da dove gestiva - con competenza ed equilibrio, ma anche con piglio da innovatore - il delicatissimo dossier delle estradizioni da e per l’Italia (i terroristi e i tangentisti espatriati, il caso Sigonella, le grandi operazioni antimafia, ecc). E dal padre ha ricevuto un’altra preziosa e impegnativa eredità: il rispetto e l’amore per la Calabria. Nato a Roma, ad appena tre mesi di età fu iniziato al rito del ritorno annuale al paesino sulle pendici più interne dell’Aspromonte, Santa Cristina: un appuntamento al quale non si è mai più sottratto. Alla Calabria, il giovane Palamara ha offerto un altro tributo, quando al momento della prima scelta di sede optò per il Tribunale di Reggio, pur avendo diritto di scegliere destinazioni più “agiate” o comunque meno “disagiate”, secondo le classificazioni ministeriali. Cinque anni di esperienza intensa, professionalmente arricchente, emotivamente coinvolgente alla Procura di Reggio Calabria e, quindi, l’assegnazione dell’incarico di sostituto procuratore presso il Tribunale di Roma, dove continua a esercitare la propria attività pur avendo la possibilità di ottenere un “distacco” per svolgere a tempo pieno l’attività sindacale. Ha, invece, rinunciato con non poco rammarico all’attività di animatore e di “cannoniere” della squadra di calcio dei magistrati.
All’inizio del suo mandato, Palamara seppe tenere testa all’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga in quello che è ormai diventato un video cult di YouTube: Cossiga, evidentemente in una di quelle fase di ipereccitazione di cui soffriva, in una trasmissione televisiva, con la compiacente tolleranza della conduttrice, si scagliò contro il neo-presidente dell’Anm in maniera violenta, in quanto rappresentante di tutta la categoria e anche sul piano personale, insistendo su un gioco di parole male impostato sul suo cognome: confondendo “Palamara” con “Palmera”, una nota marca di pesce conservato in scatola, lo chiamò “faccia di tonno”. A leggere la grande maggioranza dei commenti a quel video, Cossiga fece un clamoroso autogol, contribuendo solo a dare più credibilità e visibilità a quel giovane educato, rispettoso delle istituzioni e poco incline alla rissa.
Atteggiamento e stile che Palamara ha conservato anche di fronte ad attacchi meno estemporanei e macchiettistici di quello di Cossiga che si sono succeduti in quest’ultimo triennio, sicuramente il più difficile e tormentato quanto ai rapporti tra i poteri dello Stato. Abbiamo assistito a una escalation degli attacchi alla magistratura e in particolare a quelli che operano nelle Procure. Ogni volta sembrava che si fosse toccato il fondo e, invece, c’era sempre un livello più basso. I protagonisti sempre gli stessi: il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e i suoi più fedeli seguaci e ammiratori nel governo, nel Parlamento, nel partito, nei giornali e nelle piazze. Nei giorni scorsi, l’ultimo (per ora) e più inquietante episodio: gli spazi riservati alla pubblicità elettorale, a Milano, sono stati invasi da manifesti con una sola scritta in caratteri cubitali “Via le BR dalla Procura”. L’iniziativa è di un candidato del Pdl, che aveva sintetizzato e messo bianco su rosso il pensiero espresso dal suo capo nel suo ormai famigerato comizio davanti al Palazzo di Giustizia milanese, dove aveva fatto una plateale comparsa a uno dei processi nei quali è imputato.
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, reagisce con estrema chiarezza e durezza con una lettera al Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Michele Vietti, nella quale definisce “ignobile provocazione” quel manifesto che “rappresenta, infatti, innanzitutto un’intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle BR, magistrati e non. Essa indica, inoltre, come nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, e in particolare nelle polemiche sull'amministrazione della giustizia, si stia toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni. Di qui il mio costante richiamo al senso della misura e della responsabilità da parte di tutti". Ed ecco un’iniziativa concreta, annunciata dallo stesso Presidente: "Il prossimo 9 maggio si celebrerà al Quirinale il Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice. Quest'anno, il nostro omaggio sarà reso in particolare ai servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la loro lealtà alle istituzioni repubblicane. Tra loro, si collocano in primo luogo i dieci magistrati che, per difendere la legalità democratica, sono caduti per mano delle Brigate Rosse e di altre formazioni terroristiche.” I nomi: Emilio Alessandrini, Mario Amato, Fedele Calvosa, Francesco Coco, Guido Galli, Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Vittorio Occorsio, Riccardo Palma e Girolamo Tartaglione".
“Sono gli stessi nomi che scorrono incessantemente nella prima pagina del nostro portale Internet, insieme a quello degli altri magistrati caduti per mano delle mafie, ai quali abbiamo dedicato il progetto”, dice Luca Palamara a il Lametino in questa intervista esclusiva. Nel merito dell’iniziava di Napolitano, “a nome dell'intera magistratura”, il presidente dell’Anm esprime “apprezzamento e ringraziamento per le parole del Presidente della Repubblica che per noi costituisce un punto di riferimento insostituibile nella sua funzione di garante degli equilibri costituzionali”. E assicura: “L'Anm difenderà l'autonomia e l'indipendenza della magistratura ed eviteremo contrapposizioni.”
Le più alte cariche dello Stato, i presidenti del Senato e della Camera, hanno fatto eco al Quirinale. Renato Schifani, pur essendo un esponente del Pdl, ha definito i manifesti “vili e incivili. Gravi, ignobili, inaccettabili, da condannare senza se e senza ma”. Gianfranco Fini: ha detto che “Napolitano ha interpretato ancora una volta il sentimento di tutti gli italiani”. Le reazioni che si sono avute da parte delle opposizioni e, con qualche reticenza e imbarazzo, nella stessa maggioranza hanno reso ancora più assordante il silenzio del premier Berlusconi.
Presidente Palamara, appare evidente che una buona parte della classe politica non ama i magistrati, in prima fila quelli che operano nelle procure, i pm.
“Non è una novità e ce ne facciamo una ragione, continuando il nostro lavoro al servizio del Paese e a tutela della legalità. Anche di fronte alla grande criminalità organizzata, che, come sapete bene in Calabria, con la ‘ndrangheta, rappresentano un fenomeno pericolosissimo e drammatico. C’è il lavoro quotidiano, oscuro e indefesso, e le grandi operazioni che sembrano attirare l’attenzione e che in quest’ultimo anno hanno condotto a fondamentali risultati, di cui alcuni esponenti politici sembrano prendersi i meriti in via esclusiva. Recenti episodi verificatisi presso gli uffici giudiziari della Calabria - A Reggio, a Lamezia, a Palmi - hanno evidenziato come la criminalità organizzata stia diventando sempre più forte e aggressiva e i magistrati siano ormai oggetto di quotidiani attacchi e intimidazioni”.
Per questo appare, a molti, intollerabile che se ne aggiungano altri, per fortuna solo verbali, dal mondo della politica. Come giudica questa fase di scontro tra la politica e la magistratura che arriva a coinvolgere le istituzioni?
“L'Anm lancia un vivo allarme per il clima insostenibile, per i quotidiani attacchi nei confronti della magistratura, per le sempre più frequenti manifestazioni di piazza in prossimità dei Palazzi di Giustizia, per i quotidiani insulti e per le aggressioni, culminate con l'affissione di manifesti che paragonano i pm alle brigate rosse. È forte la preoccupazione per la gravità del momento, ma la magistratura non vuole essere trascinata sul terreno dello scontro perché noi non siamo un soggetto politico».
Non è certo un clima ideale per affrontare le riforme che riguardano la giustizia. Come si è arrivati a questo punto?
“In questi ultimi anni abbiamo dovuto registrare un pesante clima di aggressione nei confronti della magistratura quando, in particolare, indagini e processi che hanno “toccato il potere” sono stati strumentalizzati a fini politici. In queste circostanze abbiamo assistito a un costume politico di alcuni rappresentanti dell’attuale maggioranza di governo che hanno reso pratica quotidiana l’insulto e il dileggio nei confronti di un’indefettibile istituzione dello Stato. Un’assurda campagna di denigrazione tesa a minare la credibilità della magistratura davanti agli occhi dei cittadini, facendo leva, con un gioco evidentemente facile, sulla generale delusione per le mancate risposte alla legittima ansia di giustizia.”
Ma c’è chi vi accusa di aver creato voi stessi la rissa o, almeno, di non esservi sottratti ad essa.
“Noi abbiamo sempre e soltanto reagito con dignità e risolutezza, senza timore, soprattutto quando si è messo in discussione, non il merito dei provvedimenti, ma l’indipendenza e l’imparzialità dei giudici. Noi diciamo che la delegittimazione della magistratura mette in pericolo la democrazia. Ci conforta che più volte il Capo dello Stato abbia sottolineato come la rigorosa osservanza delle leggi, il più severo controllo di legalità, rappresentino un imperativo assoluto per la salute della Repubblica, richiamando tutti ad avere il massimo rispetto per la magistratura che è investita di questo compito essenziale.”
Allora, per evitare di buttare via il bambino insieme all’acqua sporca, deve vigere una specie di divieto di critica alla magistratura?
“Assolutamente no. Il clima politico di questi anni, l’idea della cittadella assediata, ha reso impopolare al nostro interno il tema dell’autocorrezione. Oggi bisogna avere il coraggio di affrontarlo. Difendere l’autonomia e l’indipendenza della magistratura passa, infatti, anche attraverso il coraggio di cambiare interrogandoci su quello che non ha funzionato nell’esercizio del potere diffuso, nel sistema dell’autogoverno e dell’associazionismo giudiziario. E noi lo abbiamo fatto, anche pubblicamente nella nostra massima sede istituzionale, il Congresso dell’Anm, per ultimo nel novembre scorso.”
Quale è stata la vostra analisi e quale ricetta proponete?
“La giustizia in Italia è al collasso. Il cattivo funzionamento del servizio giustizia e, quindi, il mancato rispetto della ragionevole durata del processo assumono carattere oggettivamente prioritario e necessitano di interventi urgenti. L’efficace funzionamento del sistema giudiziario, in cui si incontrano la domanda di giustizia dei cittadini e l’offerta assicurata dalle istituzioni giudiziarie, rappresenta, infatti, una delle condizioni indispensabili per promuovere e garantire il buon funzionamento complessivo di un sistema economico e sociale. Giustizia ritardata equivale a giustizia denegata, ma è anche un costo per lo Stato.”
Anche voi ammettete che l’aspetto critico è costituito dalla crescente giacenza di processi sia nel civile (5,5 milioni di procedimenti pendenti) sia nel penale (1,5 milioni di procedimenti pendenti). Di chi è la colpa?
“Molteplici sono le cause che hanno determinato e che, tuttora, purtroppo determinano questa situazione: dall’eccessiva litigiosità a procedure farraginose, a inutili formalismi, all’enorme debito di procedimenti sia nel penale sia nel civile, a una cattiva dislocazione e organizzazione degli uffici, all’enorme numero di avvocati in Italia.”
Nessun rimprovero ai magistrati?
“Ovviamente non vanno trascurate le nostre responsabilità. Tuttavia, è doveroso evidenziare che la laboriosità dei giudici italiani è tra le prime in Europa. Siamo al terzo posto per la capacità di definizione degli affari civili, dove la produttività pro-capite dei giudici italiani è circa il doppio di quella degli altri grandi Paesi e ai primissimi posti anche nel settore penale, sia pure tra sistemi europei diversi e difficilmente comparabili.”
E le soluzioni?
“Le numerose e gravi patologie che affliggono la giustizia in Italia impongono di fissare delle priorità e di trovare soluzioni e rimedi correttivi il più possibile condivisi. Le proposte dell’Anm, che abbiamo presentato e documentato esaurientemente, sono: taglio dei Tribunali, delle cause e delle spese inutili; informatizzazione di tutti gli uffici giudiziari; predisposizione di adeguate risorse umane e materiali.”
Può specificare maggiormente?
“Riteniamo indispensabile una riallocazione delle (insufficienti) risorse disponibili fra i 165 uffici giudiziari esistenti, alla luce degli squilibri nella ripartizione dei carichi di lavoro complessivi tra gli uffici metropolitani, gli uffici medio-grandi e gli uffici piccoli e piccolissimi. Un maggiore recupero di efficienza sarebbe sicuramente possibile introducendo una razionale revisione della geografia giudiziaria, che comporti in ogni caso l’accorpamento degli uffici di minori dimensioni.”
Come si possono “tagliare” le cause?
“Parlando di cause inutili, il riferimento nel settore penale è alla cosiddetta “ipertrofia del diritto penale” e del suo contrapporsi al così agognato “diritto penale minimo”. Chiediamo al legislatore di procedere a una ragionevole depenalizzazione. Ma è mai possibile impegnare tre gradi di giudizio per una guida senza patente? In un Paese normale non sarebbe molto più logico definire la vicenda con il pagamento di una pena pecuniaria di fronte a un’autorità amministrativa? Chiediamo ancora di non dover celebrare più processi che portano a sentenze di condanna che resteranno solo sulla carta come, ad esempio, quelle nei confronti dei contumaci e degli irreperibili.”
Qual è la situazione degli organici?
“Oggi all’interno della magistratura c’è una scopertura pari al 12,48%: 9591 posti in organico di cui vacanti 1197; nello specifico, 7163 sono giudicanti di cui vacanti 849 con una percentuale di scopertura pari all’11,85%; 2428 requirenti di cui vacanti 348 con una scopertura pari al 14,33%. Grave è, altresì, la carenza di organico del personale amministrativo. La percentuale di scopertura media è del 13% per il personale amministrativo e del 27% per i dirigenti. In realtà, dal 1995 ad oggi c’è stata una progressiva riduzione della pianta organica di ben oltre 13.000 unità, da 53 mila unità alle attuali 40 mila.”
Ma, al di là degli interventi organizzativi, esiste o no il problema di una riforma organica della giustizia in Italia, in particolare in quello penale, per accelerare i processi? Perché i tanti “no” dell’Anm?
“Nel settore penale l’attenzione dell’attuale maggioranza di governo si è soffermata inizialmente sulla legge cosiddetta blocca processi del 2008: una riforma che si sarebbe tradotta in un’ipotesi di denegata giustizia istituzionalizzata. Poi, improvvisamente, è entrata nel dibattito politico la tematica delle intercettazioni, in relazione alla quale indubbiamente si può ragionare sotto il profilo della pubblicazione degli atti e, quindi, della tutela della privacy, ma non nei termini di un depotenziamento tout court dello strumento investigativo che inciderebbe negativamente sull’efficacia dell’azione delle forze dell’ordine e della magistratura e sulla sicurezza dei cittadini. È emerso successivamente il disegno di legge sul processo penale, il ddl 1440, sui rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, per terminare con il cosiddetto processo breve. Questi interventi non hanno, però, alcun punto di tangenza con l’obiettivo di raggiungere, cioè una durata del processo ragionevole. Con riferimento al processo breve, abbiamo sottolineato in particolare come non basta reclamare per legge la brevità del processo, se non lo si modifica dall’interno, e insistito sulla necessità di celebrare i processi anziché cancellarli. Più in generale, si è trattato di provvedimenti sui quali l’Anm ha ritenuto di non concedere aperture, ben consapevole dei guasti irrimediabili che avrebbero potuto comportare nel processo penale. Si è discusso, inoltre, di immunità, lodo Alfano e legittimo impedimento: questioni che, a mio avviso, riguardano i rapporti tra politica e cittadini piuttosto che quelli tra politica e magistratura. Prima fra tutte, l’immunità (non solo parlamentare) e il suo ripristino.”
Franco Oliva
il Lametino 165
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