Sonorità calde e malinconiche nel primo disco “La faccia delle persone” del cantautore calabrese Maurizio Costanzo

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Falerna – “La prima canzone che ho composto risale a 15 anni fa. S’intitolava ‘Superman’ e raccontava la storia di Clark Kent. Ma il mio supereroe non s’innamorava della bellissima Lois ma di Perry White, il direttore del giornale per cui lavorava. Partecipai a un concorso per cantautori emergenti e il brano venne eliminato con un giudizio netto: la storia non rappresentava realisticamente il personaggio”. Ma per Maurizio Costanzo i primi passi nel mondo della musica risalgono a molti anni prima: dopo il diploma in Conservatorio a Vibo Valentia e la laurea all’Università di Bologna inizia la carriera di musicista classico, suonando l’oboe in orchestre sinfoniche e gruppi di musica da camera in Italia e all’estero. Decide negli anni poi di affiancare la sua attività di musicista classico a quella di giornalista, scrivendo per diversi quotidiani nazionali e curando per la casa editrice, Kore Edizioni, riviste di design e architettura.

“Il passaggio dalla musica “colta” a quella pop è avvenuto lentamente. Sono due mondi diametralmente opposti, ma credo che siano anche due esperienze che si possono intersecare e contaminare vicendevolmente. Durante il periodo universitario incontrai Lucio Dalla a cena, a casa di un mio amico. Il giorno dopo mi invitò negli studi della Fonoprint per farmeli visitare e rimasi affascinato dal meraviglioso mondo della musica leggera. Ci vollero però ancora molti anni prima di cimentarmi nella composizione di testi e musica” racconta il cantautore calabrese che a giugno ha pubblicato il suo primo disco “La faccia delle persone”, uscito in formato fisico, in digital download e su tutte le piattaforme streaming.

“Oggi un cantautore - continua Costanzo - non può scrivere canzoni su argomenti avulsi dal proprio contesto personale. La teatralità viva e diretta della sua vita deve sempre stare in primo piano, altrimenti tutto si uniforma e appiattisce”. Attualmente è docente della classe di Oboe al Conservatorio di Cosenza, impegno professionale che lo porta a spostarsi continuamente tra la Calabria e Bologna. “Adoro trascorrere molto tempo a Falerna, dove risiedo per 5 mesi all’anno, ma è soprattutto a Bologna che ricevo gli stimoli per scrivere canzoni”.

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Scoperto artisticamente da Roberto Costa (arrangiatore e produttore di Lucio Dalla, Ivan Graziani, Ron, Luca Carboni, Mina, Gianni Morandi, Luciano Pavarotti), il cantautore calabrese, nelle otto tracce del disco, attraverso la sua voce racconta storie che sono una sintesi del suo percorso autobiografico: sentimenti, famiglia, incontri, esperienze di vita, malattia di Parkinson. “Lavorare a fianco di Roberto Costa - racconta - è stata un’esperienza molto interessante. Con tantissimi anni di carriera alle spalle riesce a trovare sempre in modo originale la veste sonora del brano. Le giornate in studio di registrazione si svolgono all’insegna della leggerezza e della serenità, come se tutto fosse un gioco”.

In “Tutto quello che rimane” si evidenzia il bisogno che abbiamo di comunicare e interagire con il mondo circostante, ma spesso restiamo in un equilibrio instabile, e “tutto ciò che rimane” da mostrare agli altri sono solo le nostre facce. “Mia madre ha il Parkinson” è la canzone più autobiografica del disco. L’autore riflette sulla sua esperienza accanto a una persona costretta a vivere con una malattia degenerativa, evidenziando il punto di vista di un figlio che assiste inerme a un lento e costante annullamento delle capacità cognitive e di movimento della madre. “Mi perdo in un bicchiere” e “L’ultimo giorno” invece sono due brani che sembrano entrare in contrasto per i toni intimi e colloquiali dell’uno e le sonorità più hard dell’altro. Il testo “Biancaneve” ci immerge nelle problematiche che una donna affronta nell’arco della sua esistenza. “In questa canzone – precisa Maurizio Costanzo - ho cercato di focalizzare le difficoltà e gli ostacoli che le donne ancora vivono nell’attuale società. Purtroppo, ancora troppo maschilista”. Un disco, insomma, in cui è facile riconoscere calde sonorità, a volte malinconiche, e atmosfere intime e confidenziali.

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