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Bruzio: riflessi economici e sociali della crisi dell’impero romano nel III secolo
Scritto da Lametino7 Pubblicato in Francesco Vescio© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il terzo secolo rappresentò per l’Impero Romano uno dei periodi più complessi della sua esistenza a causa dell’intrecciarsi di eventi negativi di diversa natura: successioni contestati sulla soglia imperiale, conflitto aperto tra alcuni imperatori ed il Senato, rivolte militari, guerre con alcuni Stati confinanti, carestie e pestilenze. Per avere un quadro di come fosse intricata la situazione di un organismo politico-militare, che restava pur sempre potentissimo e vastissimo, in quanto si estendeva su tutti i territori del bacino del Mare Mediterraneo, si riporta il seguente brano abbastanza significativo: “… una campagna contro i Germani alla frontiera del Reno costò la vita all’imperatore. Egli fu ucciso dai suoi stessi soldati nell’anno 235. La morte di Alessandro fu seguita da un crollo completo. L’impero divenne il trastullo dei soldati. I diversi eserciti, uno dopo l’altro, proclamavano imperatori i loro comandanti, li deponevano di nuovo adducendo i pretesti più insignificanti, come la loro severità o la loro indulgenza, e si servivano della propria forza per saccheggiare senza misericordia le pacifiche e ricche province. Tra il 235 e il 284 d.C. ci furono ventisei imperatori romani, e soltanto uno fra questi morì di morte naturale [ Lo storico si riferisce a Marco Aurelio Claudio, detto il Gotico, per le vittorie riportate sui Goti, che premevano sui confini nord-orientali, il quale fu al potere dal 268 al 270 e morì a causa di un’epidemia, N.d.R. ] . Molti di essi furono uomini sinceramente desiderosi del benessere dello stato, buoni soldati e buoni generali che cercavano di proteggere l’impero e di difenderlo contro i nemici esterni; ma la via fu loro sempre sbarrata dalla feccia dell’esercito; ed essi erano costretti a trascurare la sicurezza e l’integrità dell’impero per difendersi contro rivali che i soldati, spesso con mezzi violenti, obbligavano a lottare per il trono. Tale situazione interna non poteva certo dare allo stato la vittoria sui nemici esterni. La frontiera fu varcata quasi ovunque” ( M. Rostovtzeff, Storia del mondo antico, Sansoni Editore, Firenze, 1965, pp.668 – 669 ).
Il Bruzio fu coinvolto nella crisi generale dell’ Impero Romano ed il suo declino si manifestò principalmente dal punto di vista economico e da quello sociale: diminuirono le esportazioni di vino ed olio, sempre meno richiesti, e le cariche amministrative pubbliche divennero sempre più onerose tanto da spingere molti a rinunciarvi, quando non vi erano costretti dalle autorità imperiali. La decadenza economica del Bruzio riguardò in primo luogo l’agricoltura e le cause di tale fenomeno sono state collegate alla situazione complessiva dell’Impero: “Ma i germi della rovina dell’agricoltura erano nel sistema stesso basato sulla potenza di Roma e sull’egoismo dell’oligarchia dominante. Col cessare delle conquiste venne a mancare la mano d’opera servile, mentre l’emancipazione economica delle province determinava una grande crisi di sovrapproduzione di vini [...] Con l’affermarsi della nuova aristocrazia imperiale […] mutò la mentalità dei proprietari che videro nell’affitto la forma di conduzioni che li rendeva liberi per altre attività. Da questo momento nella terra dei Bruzi si verificò una reazione a catena che produsse un nuovo tipo di latifondo, caratterizzato dall’assenteismo dei proprietari, dall’affitto, dallo scarsissimo investimento dei capitali fondiari, dalle rotazioni discontinue, dalle forme di agricoltura estensiva, dallo scarso insediamento umano sulla terra e da una grave endemia malarica. Il latifondo, da qui in avanti, si accompagnò a questi aspetti negativi che caratterizzano l’economia latifondistica […] L’interdipendenza tra regime fondiario ed ordinamento colturale è tale che alla scissione tra proprietà ed impresa corrispondono scelte produttive necessariamente estensive. Ogni decisione dell’affittuario è dominata dallo spettro di dovere migrare altrove a locazione finita, donde la ricerca di sfruttare al massimo la terra, trascurando ogni iniziativa intesa al miglioramento del fondo [ … ] La crisi politica dell’Impero, nel corso del III secolo, consolidò codesti aspetti del latifondo, li rese quasi fissi, immobili ed immanenti nella natura stessa del latifondo ”(Giuseppe Brasacchio, Storia Economica della Calabria – Dal III Secolo D.C. alla Dominazione Angioina, Volume Secondo, Edizioni EffeEmme, Chiaravalle Centrale, 1977, pp.8-9 ). La crisi del settore agricolo ebbe serie ripercussioni negative su tutti gli altri aspetti della vita civile e sociale della regione: “Nel Bruzio alla crisi interna dell’agricoltura si aggiunse dunque l’altra più grave crisi politica dell’Impero. Nel corso del III secolo quanto rimaneva di parvenza civile fu dissolto o rovinato. Anche sulle belle ville delle zone costiere s’abbatté la tempesta: i reperti archeologici, sì numerosi fino al tempo degli Antonini [ Tale dinastia ebbe fine con l’imperatore Commodo, ucciso nel gennaio del 193, a cui successe Pertinace, anch’egli assassinato nel marzo dello stesso anno da un pretoriano, N.d.R.] , diventano rari e sfumano nel III e IV secolo, indice eloquente di una decadenza che ormai interessa tutta la regione” (Giuseppe Brasacchio, op. cit., p.10). Le note precedenti chiariscono sufficientemente come l’economia, la vita civile e sociale del Bruzio fosse organicamente collegata, purtroppo, al destino dell’Impero Romano in quel periodo storico.