Nelle “Panama Papers” anche Oscar Rovelli, figlio di Nino proprietario Gruppo Sir

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Lamezia Terme – Sono stati pubblicati ieri sera e già hanno suscitato polemiche per i nomi presenti. Si tratta dei Panama Papers, 11,5 milioni di documenti, riconducibili allo studio legale specializzato in operazioni offshore panamense, Mossack Fonseca, pubblicati da un consorzio internazionale di giornalisti d’inchiesta che hanno lavorato (in più di 400 giornalisti da 76 paesi) per rendere pubblici i dati al loro interno. Si tratta di documenti prima secretati che riguardano conti di società, privati, personaggi del mondo politico, economico a livello mondiale in un arco di tempo che va dalla fine degli anni ’70 fino al 2015. 

Quarant’anni di storia economica che mettono a nudo una rete di 214.488 società offshore e portano alla luce anche i nomi di politici, tra cui diversi leader politici mondiali, come personaggi vicini al leader russo Vladimir Putin, il primo ministro islandese, Gunnalaugsson, il presidente argentino Mauricio Macri, ma anche personaggi del mondo economico, criminale o sportivo, come Lionel Messi, Michel Platini e Blatter. 

Non mancano, naturalmente, gli italiani: ottocento in tutto e i nomi più i vista sono quelli del presidente Alitalia Luca Cordero di Montezemolo, Giuseppe Donaldo Nicosia, già finito sotto inchiesta per frode fiscale e bancarotta fraudolenta insieme a Marcello Dell’Utri di cui era socio; compare anche l’ex pilota di Formula Uno, Jarno Trulli e si può scorgere, tra i nomi, per ora, resi pubblici, anche quello di Oscar Rovelli, figlio dell’imprenditore Nino Rovelli, colui che fu considerato il re della chimica e che controllava, negli anni ’70 il Gruppo chimico Sir. Il figlio dell’imprenditore è titolare di azioni della Countryside Group Ltd con sede alle Seychelles. I Rovelli sono strettamente legati a Lamezia, proprio perché, quarant’anni fa, fu proprio ad opera dell’imprenditore che “nacque” la Sir, quella che ormai è diventata solo un lontano ricordo, un vagito di uno sviluppo industriale mai avvenuto. La prospettiva di posti di lavoro e quella di uno sviluppo di un’area con molteplici potenzialità, che però, di fatto, è rimasta ferma. 

A fare salire ancora di più alla ribalta delle cronache l’imprenditore fu il caso, finito in Tribunale tra Rovelli e l’IMI, la banca all’epoca statale che, secondo l’imprenditore, non aveva concesso il finanziamento. Una storia che si è conclusa nel peggiore dei modi. In un primo momento arrivò la sentenza del Tribunale di Roma che diede ragione ai Rovelli, condannando l’IMI ad un risarcimento di 800 miliardi di lire. Ma la questione successivamente si è capovolta: i Rovelli furono accusati di aver “comprato la sentenza decisiva a suon di bustarelle”, e la condanna della Cassazione arrivò dieci anni fa, nel 2006. Condanna che confermò l’impianto accusatorio e la corruzione dei giudici e che portò alla scoperta di paradisi fiscali dove la famiglia avrebbe conservato i soldi del risarcimento IMI, sequestrati negli anni passati.

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