Calabria: Sedicenne uccisa, pena ridotta a fidanzato da 22 a 18 anni

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Catanzaro - Pena ridotta in appello per Davide Morrone, 18 anni, il giovane che nel maggio del 2013, quando era ancora minorenne, uccise a Corigliano Calabro la fidanzata sedicenne, Fabiana Luzzi, bruciandone il corpo quando era ancora viva. I giudici della sezione minorenni della Corte d'assise d'appello di Catanzaro, accogliendo la richiesta dei difensori, Giovanni Zagarese ed Antonio Pucci, hanno riconosciuto la seminfermità mentale dell'imputato, adottando una decisione diametralmente opposta rispetto quella dei loro colleghi di primo grado, che avevano invece rigettato l'istanza dei due legali. È stata esclusa, inoltre, l'aggravante della premeditazione. Davide Morrone avrà tempo di meditare a lungo sulle sue responsabilità nella comunità di recupero in Liguria in cui si trova detenuto da alcuni mesi dopo il suo fermo eseguito dai carabinieri il giorno dopo l'omicidio. Per lui si prospetta un lungo periodo di internamento, anche se è presumibile, se terrà una condotta corretta, che resterà detenuto per un periodo di tempo inferiore ai 18 anni che gli sono stati comminati. E potrà a quel punto, data la sua giovane età, rifarsi una vita mettendosi alle spalle il dramma che ha vissuto e provocato.

I genitori di Fabiana, Mario e Rosa Luzzi, hanno espresso contrarietà ed amarezza per la riduzione di pena decisa dai giudici d'appello, ma non hanno fatto, al momento, alcun commento. Nei loro cuori resta l'amarezza ed il dolore per la sorte subita dalla figlia, colpevole soltanto di avere riservato un'eccessiva fiducia nei confronti di un ragazzo rivelatosi un assassino. Quella fiducia che il giorno dopo l'omicidio la indusse ad accettare la proposta di Davide, che andò a prenderla all'uscita della scuola frequentata dalla ragazza ed a salire in sella allo scooter del giovane per andare a "chiarire" in un posto isolato alcune questioni per le quali negli ultimi tempi avevano avuto vivaci discussioni. Questioni banali, come quelle che possono esserci tra ragazzi appena affacciatisi alla vita ed alle sue mille implicazioni, ma che nella mente di Davide Morrone, evidentemente, era diventate patologicamente importanti al punto da indurlo ad accoltellare la fidanzata ed a bruciarne il corpo. Tale era l'odio che aveva accumulato nei confronti della ragazza. Quel che all'epoca fece scalpore fu non soltanto la confessione di Davide Morrone, ma soprattutto la sua rivelazione di avere bruciato il corpo della ragazza quando era ancora viva e tentava disperatamente di difendersi. Una crudeltà ed una determinazione assolutamente inspiegabili per un ragazzo non ancora maggiorenne.

Padre Fabiana: "Massacrati da sentenza di appello"

"Come padre di Fabiana, insieme a tutta la mia famiglia, sono completamente pietrificato, atterrito, massacrato, scosso ed impaurito da una sentenza d' appello che ci ha causato solo dolore". Lo afferma, in una lettera aperta inviata all'ANSA, Mario Luzzi, padre di Fabiana, la sedicenne uccisa e bruciata viva nel 2013 a Corigliano Calabro dal fidanzato, Davide Morrone, nei confronti del quale ieri la Corte d'appello di Catanzaro ha disposto una riduzione da 22 a 18 anni della condanna inflittagli in primo grado, riconoscendogli anche la seminfermità mentale ed escludendo la premeditazione. "I giudici, nella sentenza - aggiunge - hanno tenuto conto di una falsa infermità mentale dell'assassino, escludendo la premeditazione. Allora io vorrei chiedere: come mai il 'mostro' è andato a prelevare e sequestrare Fabiana a scuola armato di coltello e non con un mazzo di rose? Perché, se soffriva di una qualsiasi forma di malattia mentale, i suoi genitori, in tutti gli anni pregressi, non l'hanno fatto curare? Chiedo inoltre allo Stato italiano: quanto vale la vita di una ragazza che è stata crudelmente massacrata e distrutta insieme alla sua famiglia e ad una comunità intera sconvolta da tanta violenza? O vogliamo dire che per lo Stato italiano vale di più la vita di un crudele e spietato assassino? Perché a tutti i costi lo vogliono recuperare in una comunità?". "Da essere umano e da padre, rispettoso delle leggi umane e divine - dice ancora Mario Luzzi - mi sento oltraggiato e violentato psicologicamente da una giustizia che tiene conto solo degli assassini, riducendo le loro condanne, e non delle vittime. Io penso che i mostri vadano rinchiusi per sempre, con una palla al piede, ai lavori forzati, dall'alba al tramonto, e non trattati come normali cittadini, con tutti i comfort. Un assassino non dovrebbe avere un'altra possibilità di rifarsi una vita, così come non ce l'hanno le vittime. In tutte le aule di giustizia compare la scritta 'La legge è uguale per tutti', ma alla luce della cruda esperienza che abbiamo vissuto mi spiace affermare che non è così. Ci si dimentica troppo spesso e troppo presto del valore della vita umana solo perché le vittime non possono più difendersi. E ci si dimentica del valore e del rispetto per i familiari delle vittime, che restano per tutta la vita con la morte nel cuore. Agli avvocati, che dovrebbero essere i nostri tutori, dico che, anziché difendere in modo così ardito pericolosi assassini, si dovrebbero impegnare perché vengano applicate le leggi a favore delle vittime". "Spero - conclude il padre di Fabiana Luzzi - che in Cassazione questa sentenza venga ribaltata e che gli diano l'ergastolo. Lo stesso a cui é stata costretta mia figlia".

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