Catania - Durante l'operazione, denominata 'Scarface', la Guardia di Finanza di Catania insieme agli uomini dello Scico di Roma, hanno arrestato il luogotenente Francesco Caccamo, 53 anni, originario di Palermo, in servizio al 'gruppo' del capoluogo etneo. Sono stati arrestati per false attestazioni e omissioni e posti ai domiciliari anche altri 5 finanziari: Domenico Minuto, di 51 anni, di Catania; Gianfranco Corigliano, di 43 anni, di Villa San Giovanni (Reggio Calabria); Santo Marino, di 37 anni, di Reggio Calabria; Massimiliano Palermo, di 56 anni, di Catania; e Antonino Surace, di 52 anni, di Reggio Calabria.
Il luogotenente Francesco Caccamo di avere dato un "contributo causale all'associazione di stampo mafioso". Arrestate anche altre 10 persone, compreso il boss Sebastiano Mazzei, figlio di Santo, reggente dell'omonimo clan noto come quello dei 'carcagnusi'. I reati ipotizzati, a vario titolo, sono di intestazione fittizia di beni, estorsione e bancarotta fraudolenta, reato al quale la procura di Catania contesta per la prima volta anche l'aggravante dei metodi mafiosi. Durante l'operazione sono stati sequestrati beni per oltre 65 milioni di euro: società di costruzione, ville, magazzini, un lido balneare e una discoteca. Un distinto filone investigativo, collegato all'inchiesta 'Scarface', ha fatto emergere le posizioni, estranee alle vicende mafiose del clan, di altri cinque militari della guardia di finanza in servizio a Catania che sono stati sottoposti agli arresti domiciliari per false attestazioni e omissioni nel corso di un'operazione antidroga. Secondo quanto emerso delle indagini della guardia di finanza di Catania coordinate dalla Dda della Procura etnea i componenti dell'organizzazione mafiosa preposti alla gestione degli affari economici del clan, dopo aver fittiziamente creato, anche nel centro e nel nord Italia, alcune società operanti per lo più nei settori dell'edilizia e delle lavorazioni tessili, intestandone le quote a prestanome. Poi provvedevano all'acquisto di prodotti e materiali per rilevanti importi senza pagare, facendo leva sul potere di intimidazione mafiosa. Ci sarebbero stati episodi di violenze e minacce sia nei confronti di fornitori-creditori sia di clienti ai quali non era stata emessa la fattura fiscale. Il sistema così ideato, operando a monte (acquisti di merce non pagata) e a valle (vendite in nero), realizzava l'illecito arricchimento degli associati e il progressivo depauperamento delle società, fino al loro fallimento. Aprivano imprese nel settore edile e tessili e poi le facevano fallire non pagando i fornitori e vendendo i prodotti in nero servendosi del potere intimidatorio della mafia. E' la tecnica di arricchimento del clan Mazzei il cui reggente era Sebastiano, figlio dello storico capomafia Santo.
Il provvedimento cautelare è stato notificato a Sebastiano Mazzei, 42 anni, figlio del capomafia Santo, ritenuto il reggente del clan dei 'carcagnusi'; Gaetano Cantarella, di 62 anni; Ivano Francesco Cerbo, di 54, originario di Livigno (Sondrio); William Alfonso Cerbo, di 32; Cirino Antonio D'Assero, di 45, originario di Livorno Ferraris (Vercelli); Gabriele Santi Di Grazia, di 33; Michele Di Grazia, di 25; Angelo Finocchiaro, di 67, di Acicatena ; Carmelo Panebianco, di 54; Luigi Zennaro, di 56; e il luogotenente Francesco Caccamo, di 53 anni, originario di Palermo. L'operazione trae origine dalle attività svolte nell'ambito della indagine 'Reset' che, nel novembre del 2013, aveva portato all'arresto di 24 componenti del clan Santapaola, cosiddetto 'gruppo' della stazione. In quel contesto erano emersi specifici elementi relativi alla riconducibilità di alcune attività economiche alla famiglia mafiosa dei Mazzei.
© RIPRODUZIONE RISERVATA