Non solo intelligence per isolare e sconfiggere il terrorismo islamista

Scritto da  Pubblicato in Pino Gullà

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

pino_gulla.jpg

 Purtroppo si vive ormai di presente quasi istantaneo, ci dimentichiamo facilmente di ciò che è avvenuto la settimana  prima. Abbiamo difficoltà a ricordare le origini di fatti recenti. Figuriamoci di quelle lontane. Succede anche con il terrorismo islamico. Pensiamo che basti esaminare le vicende del califfo nero o al massimo il passato prossimo riguardante Bin Laden per comprendere il grave problema che abbiamo di fronte. Ci dimentichiamo, innanzitutto, dell’importanza della storia che ci può chiarire gli avvenimenti legandoli l’un l’altro ed evidenziandone pure la complessità. Inoltre non coltiviamo in modo adeguato alcune discipline, come ad esempio antropologia e sociologia, che tornerebbero utili nel tentare di risolvere le problematiche contemporanee quale il jihadismo, devastante non solo in Francia e in Europa, ma anche nelle altre regioni del mondo. Terrorismo globale. Per sconfiggerlo sicuramente prevenzione e sicurezza stanno al primo posto, ma perché siano efficaci pure nel medio termine, abbiamo bisogno di antropologia, sociologia, storiografia, storia delle religioni…

 Due giovani studiosi, Edoardo Baldaro e Silvia D’Amato, hanno affrontato il fenomeno in modo multidisciplinare nel saggio “L’islamizzazione dell’insicurezza in Francia”. Storico-culturale il loro punto di partenza, successivamente politico e sociologico. In primis una data: il 1798, la campagna militare in Egitto di Napoleone Bonaparte. Fu l’iniziale contatto con un “islam popolare” che arrivò al grande pubblico transalpino attraverso l’arte e la letteratura. Poi il momento coloniale orientò le élite a dare spazio alle rappresentanze religiose: “La soluzione [era] l’assimilation, la promessa di completa uguaglianza per gli individui civilizzati capaci di riconoscersi nel patto repubblicano. Un modello la cui eredità si ritrova ancora oggi, nonostante mostrasse le sue crepe nei primi anni Venti, in molti aspetti della cultura francese”. Dopo la II guerra mondiale il boom economico transalpino richiese mano d’opera straniera e giunsero in Francia lavoratori maghrebini, soprattutto dall’Algeria, con il desiderio di ritornare presto in madrepatria, di conseguenza il problema religioso ancora non si poneva.

A metà degli anni Sessanta cambiarono le cose quando agli immigrati fu concesso il diritto di ricongiungimento al coniuge; negli anni Settanta nacquero “i primi movimenti associativi a connotazione religiosa, principalmente di natura sindacale”. Agli inizi degli anni Ottanta fiorirono le associazioni giovanili che avevano come riferimento Tariq Ramadan, pensatore e accademico svizzero. Sullo studioso elvetico gli autori del saggio chiariscono in nota quanto segue: “[Tariq Ramadan] si è fatto portatore di un Islam impegnato nelle società europee [invitando] i giovani ad essere attivi non solo nell’ambito della religione, ma più generalmente (…) nel sociale e in politica”, ai fini di un’integrazione operosa nella società transalpina. Negli stessi anni fu riconosciuto agli stranieri il diritto di associarsi pubblicamente.

 Altre iniziative importanti pilotate dalle istituzioni francesi: nel 1990 il Corif, il primo Consiglio di riflessione sull’Islam; nel 2003 il Cfcm, il Consiglio francese del culto musulmano per affrontare le problematiche di interesse islamico, protagonista dell’iniziativa l’allora ministro dell’Interno Nicholas Sarkozy. Le sue parole: “La mia idea è creare le condizioni per l’espressione di un Islam di Francia e non un Islam in Francia. Vorrei che l’Islam uscisse dalla clandestinità, si sedesse alla tavola della Repubblica, senza che mai il fondamentalismo abbia il diritto di sedersi”.

Malauguratamente i fatti hanno preso una piega drammatica da Charlie Hebdo in poi e oggi il terrorismo pseudo religioso colpisce la popolazione inerme manipolando e fomentando la seconda e la terza generazione dei musulmani transalpini. Dalle indagini dell’ultimo attentato a Nizza, su “La Promenade des Anglais”, di cui abbiamo scritto nell’edizione cartacea, è emersa la radicalizzazione veloce dello stragista. Questo aspetto viene affrontato nel saggio di Baldaro e D’Amato sostenendo che la conversione dei giovani musulmani si manifesta in carcere, mentre incisivi per la radicalizzazione risultano internet e i social network. In questi casi la religione “è anzitutto una questione di affermazione e riconoscimento identitario dell’individuo” dissociatosi, aggiungiamo noi, dalla realtà umana in cui vive e, pertanto, può testimoniare la propria religione per giustificare la violenza indiscriminata verso gli altri.

  In particolare la radicalizzazione violenta ha bisogno “dell’interazione umana e ci deve essere pure una certa predisposizione”. Le parole degli studiosi mettono in rilievo la complessità del terrorismo islamico: “E’ impossibile comprendere questi fenomeni senza tenere in giusta considerazione il peso delle relazioni sociali…”. Quindi non solo prevenzione e antiterrorismo. Si potrebbe iniziare con inchieste mirate a individuare le frustrazioni e il malcontento in alcuni gruppi delle comunità musulmane francesi ed europee che il più delle volte vanno al di là dell’appartenenza religiosa, avendo a che fare con difficoltà sociali, esistenziali e di emarginazione. Ma non solo.

 L’insoddisfazione è presente ugualmente in fasce giovanili di provenienza familiare perfettamente integrata. Da qui prendono le mosse desideri confusi di riscatto, protagonismo, nichilismo. Bisogna intervenire con strumenti adeguati culturalmente capaci di affrontare le difficoltà del disagio e dell’insofferenza.

© RIPRODUZIONE RISERVATA