Terrorismo e terrore nel mondo musulmano. Quali possibilità per porvi termine?

Scritto da  Pubblicato in Pino Gullà

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pino_gulla.jpgL’Italia in lutto per i connazionali morti sotto i colpi dei jihadisti a Dacca, capitale del Bangladesh, insieme ad altri stranieri, soprattutto giapponesi.  Si trovavano in un ristorante molto frequentato a due passi dall’ambasciata italiana. Hanno perso la vita 20 ostaggi. Secondo le autorità bengalesi i responsabili apparterrebbero ad un gruppo locale terrorista islamico vicino ad al-Qaida, ma altri dicono affiliato all’Isis che lo ha rivendicato. Ancora le notizie sono frammentarie. Addirittura si è parlato di un emiro senza volto a capo del movimento che dovrebbe aprire un nuovo fronte di lotta (speriamo di no) nel Sud Est Asiatico.  Lutto nazionale in Bangladesh e funerali di Stato. La premier Hasina ha reso omaggio alle 20 vittime  alla presenza dell’ambasciatore italiano Mario Palma e degli altri diplomatici. Autobomba a Bagdad, 200 morti e pure tanti bambini, non si contano i feriti; preso a sassate da una folla inferocita il corteo del ministro Haider al-Abadi in visita nei luoghi del massacro. Il comportamento la dice lunga sulla popolarità del governo. Di diversa matrice gli attentati: Il primo, secondo le autorità di Dacca, ha visto protagonisti giovani benestanti della borghesia bengalese diventati per moda (così hanno detto) killer integralisti; il secondo, gesto del kamikaze in uno shopping center a Karada dalle conseguenze devastanti come rappresaglia o risposta dopo la cacciata dell’Isis da Falluja, sua roccaforte a 50 chilometri dalla capitale irachena. Da registrare un’altra azione terroristica nel quartiere est. Minor tragedia, solo due feriti, a Genda in Arabia Saudita. Insomma una lunga scia di sangue che sembra non avere fine. Modi diversi di reazione del terrorismo fondamentalista nel momento in cui il sedicente califfato è costretto ad arretrare dai territori precedentemente conquistati. Cerchiamo di analizzare i primi due attentati. In Bangladesh prevale lo spirito di emulazione di rampolli della borghesia benestante alla ricerca dell’azione falsamente eroica in luoghi pubblici (bar, hotel), come è avvenuto in Europa e in altre regioni del mondo, attentati di cui si sono resi protagonisti sia  lupi solitari sia piccoli gruppi a mo’ di commando che agiscono autonomamente, e su cui, ad operazione conclusa, il califfo nero imprime il proprio marchio. Il secondo è il metodo classico, adottato non solo dall’Isis, del kamikaze che si fa saltare in aria per la guerra santa. Entrambi di forte impatto mediatico. Creano terrore, effetto domino e nuovi adepti di cui il sedicente stato islamico ha urgente bisogno considerato il momento di crisi che sta attraversando dopo il ritiro da alcuni territori conquistati.

Brevi considerazioni e integrazione di nuovi elementi rispetto a ciò che abbiamo commentato in passato sul terrorismo pseudo-religioso in funzione di un’ulteriore comprensione “della guerra a pezzi” che coinvolge o mette in difficoltà i leader dell’Occidente (Obama, Putin…) e dell’Isis che si adegua in modo efficace anche nelle difficoltà. Un sedicente stato islamico flessibile. Motivi politici, etnici, economico-finanziari, storici si intrecciano rendendo complesse le problematiche mondiali e di difficile soluzione se non si superano i paradigmi schematici del passato. Bisogna essere consapevoli ormai che gli interventi delle potenze occidentali hanno fatto saltare gli equilibri (a volte precari ma pur sempre equilibri) dei dittatori Saddam e Gheddafi senza sostituire altro. Sono rimasti le macerie, governi deboli e diverse etnie che non si mettono d’accordo. In tale humus il terrorismo integralista fiorisce e facilmente riesce a fomentare odio verso le potenze occidentali che, per il califfo nero, hanno portato guerra e distruzione. Riesce a esportarlo in Occidente come abbiamo potuto vedere drammaticamente, cercando di farlo passare come scontro tra religioni (gli odiati crociati). Non è vero! Lo scontro è all’interno del mondo islamico, soprattutto tra sciiti e sunniti a cui fanno riferimento anche altri gruppi etnici minori. Purtroppo i giovani vengono manipolati; poveri e  ricchi ci cascano. E così foreign fighters, gruppi autonomi, lupi solitari si scatenano.

In articoli di qualche tempo fa abbiamo citato Louise Shelley che lodava l’efficacia dell’intelligence italiana. La professoressa e direttrice del Terrorism Transnational Crime and Corruption Center alla George Mason University (Virginia, Usa) in quella intervista parlò anche d’altro, per esempio “che criminalità e terrorismo interagiscono in vario modo con l’economia reale”. Nell’editoriale di Limes del marzo 2015 abbiamo letto: “Il volume di traffici connessi al terrorismo e alle mafie, favoriti dalla corruzione e dal deperimento delle istituzioni, sono favolosi. Il contrabbando di armi, droga ed esseri umani valeva il 7% del commercio mondiale alla fine del secolo sorso, oggi è stimato a quote superiori (Shelley)”. Ci siamo già espressi online riguardo alla  storia dei disastri perpetrati dalle super potenze (USA e URSS) e delle potenze occidentali in Medio Oriente e nel mondo islamico: invasioni e Primavere Arabe hanno creato  la disgregazione di alcuni  Stati. Per realizzare condizioni di democrazia negli stessi ci vorrebbero oltre ai politici di levatura internazionale, etnologi, antropologi, sociologi e studiosi di Storia delle religioni. Per adesso basterebbe iniziare interrompendo “il libero flusso dei capitali, incentivato dalle nuove tecnologie e dai modelli algoritmici, la disponibilità di safe havens (beni rifugio, valuta di rifugio), dimenticati quanto non istituiti ai propri fini dalle grandi potenze e la fragilità dei controlli transnazionali sul riciclaggio del denaro [che] alimentano la zona oscura  della globalizzazione, aperta alle scorrerie dei trafficanti d’ogni genere, jihadisti inclusi (Limes)” . E ancora, ci sono Stati finanziatori dei jihadisti, magari nostri alleati o con i quali abbiamo continui rapporti commerciali e finanziari? Sarebbe un buon inizio bloccare tutto ciò per poi pensare al resto.  Dimostrerebbe la voglia di fare sul serio. Non bastano le costernazioni dei Capi di Stato, pur dolorose e sincere, davanti alle telecamere dopo le tragedie ormai quotidiane.

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