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La Calabria durante la dominazione aragonese: privilegi baronali e miseria popolare
Scritto da Lametino7 Pubblicato in Francesco Vescio© RIPRODUZIONE RISERVATA
Nel 1492 terminò nell’Italia meridionale continentale la dominazione angioina ed il Regno di Napoli passò sotto la sovranità di Alfonso d’Aragona, il quale era già re di Sicilia e di Sardegna , oltre che dell’ Aragona in Spagna; per esplicitare in modo chiaro la natura del secolare conflitto tra le due dinastie va ricordato che il conflitto risaliva all’origine della conquista del Regno di Napoli e di Sicilia da parte di Carlo I d’Angiò, quando, nel 1266, a Benevento sconfisse Manfredi, figlio naturale di Federico II. Precedentemente (6 gennaio dello stesso anno) Carlo d’Angiò era stato incoronato re di Sicilia in San Pietro , dopo aver giurato fedeltà alla Chiesa (Francesco Lemmi, Storia d’Italia fino all’Unità, Sansoni, Firenze,1965, p. 110 ). Ma Pietro III d’Aragona, sposo della figlia di Manfredi Costanza, non riconobbe tale stato di cose e rivendicava la legittima successione al trono normanno- svevo; l’occasione per passare dalla rivendicazione di principio all’azione di fatto al sovrano aragonese la offrì la rivolta popolare, detta dei Vespri, scoppiata a Palermo e subito diffusasi in tutta la Sicilia (1282), contro il dominio angioino ritenuto particolarmente oppressivo. I ribelli siciliani offrirono la corona proprio a Pietro III, il quale accettò e entrò in guerra contro gli Angioini.
La lotta fu lunga e fu conclusa con la pace di Caltabellotta (1302) con il riconoscimento del dominio aragonese sulla Sicilia. Ma il conflitto tra le due dinastie continuò con alterne vicende fino alla vittoria aragonese sopra ricordata. Gli Angioini da Napoli si ritirarono nel loro feudo in Provenza, in attesa di un possibile ritorno. Tale conflitto dinastico perdurò nel tempo ed ebbe forti ripercussioni negative nella vita politica in quanto: ” Sopravvisse nel regno un forte partito filoangioino, nelle cui file militò la parte più anarchica e turbolenta della nobiltà napoletana” (Rosario Villari, Mille Anni di Storia – Dalla Città Medievale all’Unità dell’Europa, Laterza, Roma- Bari, 2000, pp. 101-102). Nel presente scritto si cercherà di delineare gli effetti più rilevanti della dominazione aragonese in Calabria, tenendo presente, però, che quella dinastia agiva in un teatro politico, diplomatico e militare di ampio raggio che comprendeva i vari Stati italiani, con particolare riguardo lo Stato della Chiesa e i mutevoli rapporti con il Papato, ed, inoltre, la Spagna, la Francia e non ultimo l’ Impero Ottomano che tendeva ad espandersi verso l’occidente ed in particolare nei vicini Balcani. L’ impatto della monarchia aragonese nella nostra regione è stato delineato nei seguenti termini:
“Quando Alfonso d’Aragona riuscì nel 1442 a conquistare il Regno di Napoli, era consapevole della precarietà della potenza della monarchia, la quale, durante l’ultimo periodo angioino, aveva subito un costante declino, per opera soprattutto della potente feudalità regnicola. Lo stesso Alfonso aveva sperimentato nel 1422 l’effimero e turbolento possesso della Calabria, quando Giovanna II lo aveva adottato come figlio per farsene un sostegno nella lotta dinastica che travagliava la dinastia angioina. Alfonso, come figlio adottivo, aveva assunto il titolo di duca di Calabria ed aveva lasciato nella regione, col titolo di viceré, Giovanni de Ixar, un nobile aragonese che istituì a Tropea il quartiere generale per la conquista della regione. Ma se nella parte meridionale i nobili si schierarono a favore della causa aragonese, nella parte settentrionale della regione, e più particolarmente in Val di Crati e a Cosenza, ogni sforzo si infranse contro il potente esercito filoangioino. Lo Ixar fu perciò costretto ad abbandonare la regione, anche per le sopraggiunte discordie tra Giovanna II e Alfonso d’Aragona […] Un ventennio dopo, nel 1443, Alfonso continuò la sua condotta prodiga nei riguardi della feudalità, con lo scopo di evidente di consolidare le basi della monarchia. Alfonso era certamente consapevole che le concessioni, mentre irrobustivano le nuove e vecchie casate feudali , indebolivano la corona; ma, purtroppo, i rapporti di forza erano tali da consigliare il Magnanimo a blandire la potente feudalità con concessioni e privilegi […] Sta di fatto che Alfonso, tutto preso a realizzare il sogno di un grande Stato mediterraneo, fu trascinato in lunghe e costose guerre al di fuori del Regno che lo costrinsero ad imporre pesanti tributi ai sudditi. Egli non ebbe la visione realistica delle condizioni del Regno , che usciva stremato ed impoverito da oltre un secolo di malgoverno angioino. Il Regno avrebbe avuto bisogno di una lunga pace per tonificare l’economia , per rimarginare le ferite che avevan prodotto le lotte tra popolo e feudalità. I rapporti di forza tra Corona e baronaggio in Calabria erano favorevoli a quest’ultimo, onde Alfonso fu indotto a sacrificare suo malgrado gli interessi del popolo” (Giuseppe Brasacchio, Storia Economica della Calabria- Dalla Dominazione Aragonese – 1442 – al Viceregno – 1734, Edizioni Effe Emme, Chiaravalle Centrale, 1977, pp. 7-8). Per dare un quadro generale della situazione complessiva in cui viveva la stragrande maggioranza della popolazione calabrese in quel periodo storico si riporta il passo successivo:
“Essendo i popoli poverissimi ed enormi i bisogni dello Stato, le Università [Allora con tale termine si intendeva la circoscrizione amministrativa corrispondente, grosso modo, all’odierno Comune, N.d.R.], siccome [erano] quelle che rispondevano de’ pagamenti de’ cittadini, in poco di tempo furono condotte in gravissime distrette per le multe degli uffiziali del re e per le contribuzioni pagate pei cittadini poveri, delle quali non era facile cosa rifarsi; imperocché le imposte del fuoco o funzioni fiscali, come le dissero allora, erano sostenute con poca ragione egualmente da poveri e ricchi. Di qui la necessità d’imporre nuove tasse, ed i cittadini si partivano e ponevano stanza, ove fosse stata più comportevole la vita; cosa che poi divenne più frequente e dolorosa a tempo di mala signoria di Spagna, quando parve a molti meglio di emigrare in fine presso i Turchi. Crebbe poi il male, quando lo stesso re Alfonso, aggravando di volta in volta il tributo del fuoco, rese la condizione delle Università affatto disperata. In Calabria il trattamento fatto alle città fu vario e seconda de’ luoghi e delle circostanze. E così mentre Catanzaro riacquistava la sua demanialità, Reggio la perdeva” ( Oreste Dito, La Storia Calabrese e la Dimora degli Ebrei in Calabria dal Secolo V alla Seconda Metà del Secolo XVI – Nuovo Contributo per la Storia della Quistione Meridionale, Edizione Brenner, Cosenza, Ristampa 1979, p. 207).
Per cogliere appieno le condizioni di vita della gente comune in quel periodo storico, pare opportuno sottolineare che le comunità facevano di tutto per diventare “ Università demaniali”, cioè sottoposte alle autorità regie, al fine di evitare di essere sottomesse ad un barone, che, di regola per loro era un signore ancora più oppressivo del re. L’altro aspetto da evidenziare era il fatto che, nonostante quelle precarie condizioni di vita della generalità della popolazione, la Calabria di allora era una terra contesa da tanti sovrani europei ed era oggetto di mire espansionistiche da parte dei Turchi.