Lamezia Terme - Una donna che all’improvviso si ritrova vedova ed è costretta alla fuga pur non aver commesso alcun reato. È questo il paradosso alla base della trama de “La Fuggitiva", la nuova e attesissima serie televisiva del regista lametino Carlo Carlei, in onda su Rai Uno a partire da lunedì 5 aprile e che ci accompagnerà per quattro puntate. Una storia avvincente, magistralmente diretta e girata tra Roma, Piemonte, Valle d'Aosta. Interpretata, nel ruolo principale, da Vittoria Puccini, qui forse nella performance migliore della sua carriera. Arianna, il nome della protagonista, è la donna in fuga. Dopo la morte del marito, un assessore all'Urbanistica di un comune in provincia di Torino, diventa la prima sospettata del delitto. Arianna compie l’unica scelta possibile: fuggire. Da qui comincia una lunga ed estenuante ricerca della verità che la costringerà a separarsi da suo figlio per proteggerlo dai pericoli che man mano incontrerà nel suo percorso. Durante la sua fuga, emerge anche un lato oscuro della personalità di Arianna e la donna dovrà giocoforza evocare i fantasmi del suo passato per capire bene come operare le scelte giuste nel presente. Una serie intensa e spettacolare come da sempre avviene quando ci troviamo a guardare i film di Carlo Carlei. E il regista, al Lametino.it, parla di questa nuova esperienza, soffermandosi anche su aspetti legati alla città d’origine e alla nascita di nuovi talenti che si avvicinano al mondo del cinema e della televisione. Un action thriller che si discosta dalle ultime produzioni della Rai. Una vicenda ricca di suspense ma dai profondi risvolti piscologici, nella quale la protagonista deve rivisitare il suo passato per trovare la forza e l’astuzia che le consentiranno di orientarsi meglio nel labirinto di intrighi e misteri di fronte ai quali la vita la mette drammaticamente di fronte.
C'è un Carlei in stile Hollywood che rende la storia ancora più suggestiva. È così?
"Sicuramente come genere sì. Anche se le tematiche in qualche modo sono state già affrontate in precedenza. Forse questo è il lavoro tra quelli realizzati che più si avvicina alla "Corsa dell'Innocente" perché c'è molta azione, c'è una protagonista che è perennamene in fuga e che si deve guardare sia dai nemici che l'hanno incastrata sia dalla polizia che le dà la caccia. Da un punto di vista del linguaggio visivo ho cercato di fare una serie moderna, rendendola più “internazionale” possibile nella luce, nelle ambientazioni e soprattutto nella scelta delle locations. Quando mi hanno proposto questa serie, la sceneggiatura era molto diversa da quella finale. Era essenzialmente un thriller finanziario, con funzionari di banca corrotti, ecc. Dissi che non mi interessava, poi però mi hanno dato carta bianca e ho ricominciato tutto da capo, cambiando completamente la premessa e l’ambientazione, in modo da espandere in maniera più universale alcune tematiche già affrontate nel ‘Giudice Meschino’, e cioè la connivenza fra criminalità organizzata e una parte della politica corrotta e ovviamente avvezza al malaffare. Ne ‘La Fuggitiva’ vi sono echi e suggestioni di lavori che ho fatto in precedenza. Per esempio ‘I Bastardi di Pizzofalcone’ era il tentativo, credo riuscito a giudicare dal gradimento del pubblico, di reinventare il genere poliziesco di squadra, cercando anche di elevarlo in termini di qualità, dando un peso al vissuto di ognuno dei personaggi. Qui ho seguito un paradigma simile, ma se nei Bastardi l’andamento era a volte più compassato e contemplativo, questa serie invece ha dei ritmi frenetici che sono più riconducibili a film ad alto tasso di spettacolarità fatti per il grande schermo. Un modello di riferimento, fin dal titolo, è “Il Fuggitivo” con Harrison Ford, anche se ovviamente La Fuggitiva si svolge in un contesto socio-economico completamente diverso. Qualcuno ha detto che nel cinema o nella televisione non si dice mai nulla veramente di nuovo, ma esistono degli stilemi che si possono continuamente aggiornare, reinventare, dando luogo a qualcosa di completamente nuovo ed originale. Io sono strafelice per i risultati artistici de “La Fuggitiva”, perché sia a livello di linguaggio che di tematiche lo giudico un lavoro non meno personale di un film d’autore. La vera sfida per me era quella di realizzare, all’interno di quelli che sono i limiti di una produzione televisiva italiana, che non ha i budget o i tempi di lavorazione di una serie televisiva americana, un prodotto spettacolare, ricco di suspense, che potesse sedurre il pubblico e tenerlo incollato alla poltrona fino alla fine. La mia esperienza e le prime reazioni di chi ha visto “La Fuggitiva” mi dicono che ci sono riuscito e questo per me è motivo di grande soddisfazione. Ho avuto anche la possibilità di sperimentare, di giocare con i generi e addirittura di auto-citarmi, perché la cosa curiosa è che nella “Fuggitiva” ci sono varie citazioni di film che ho già realizzato, da la “Corsa dell'Innocente” a “Padre Pio”, che non sono semplicemente dei vezzi autoreferenziali ma sono delle idee che mi sono sempre piaciute, e che ho quindi voluto riproporre in un altro contesto narrativo dato che funzionano alla grande anche qui… Io credo che si possano dirigere serie televisive approcciando il lavoro come si farebbe con un film d’autore, senza cioè rinunciare al proprio stile personale e alla propria creatività. In questo senso non c’è differenza fra “Padre Pio” e “Romeo & Juliet”, fra “I Bastardi di Pizzofalcone” e “La Corsa dell’Innocente”. Essere un regista di serie televisive di successo non è che sia una soddisfazione meno gratificante dall’essere un regista di film di successo per il grande schermo".
Nel cast oltre alla protagonista principale, la Puccini, spiccano altre figure femminili. Una scelta precisa?
"Sì. Il principale motivo di attrazione per me è stato che La Fuggitiva è una serie al femminile. È la prima volta che faccio un lavoro con una protagonista e una co-protagonista femminile. C’è una vera e propria caccia fra Vittoria Puccini che è la Fuggitiva e Pina Turco che è la poliziotta che la insegue e che si stupisce per il comportamento atipico dell’indiziata. Per essere una madre casalinga Arianna si difende bene con mosse da esperta di arti marziali, sa usare bene le armi ed è dotata di forza e agilità fisica non comuni. Insomma, una guerriera. Come mai? La risposta è nel passato di Arianna. Da piccola fu rapita, salvata dalla strage della sua famiglia in seguito ad una rapina finita male, fu portata a Sarajevo, proprio quando stava per scoppiare la guerra dei Balcani e lì ha dovuto imparare a sopravvivere. Nella serie vi sono quindi due linee di mistero. Quella del passato, sul perché Arianna è diventata quella che è diventata, e quella sul presente, con la ricerca dei motivi per i quali viene incastrata. Cosa si cela dietro l’omicidio di suo marito? Che tipo di cospirazione ha fatto si che lei non venisse uccisa insieme a lui ma diventasse il capro espiatorio, con tutti gli indizi puntati contro di lei? Cercare di dipanare queste due linee di mistero, è quello che in un certo senso fa andare avanti a tutta velocità il racconto, quello che propelle la storia verso un finale inaspettato e super-spettacolare".
Nel cast anche attori che hanno già lavorato con te in altre produzioni.
"Spesso succede che un regista, quando si trova bene con degli attori, tende a lavorare di nuovo con loro. Per cui in questo cast c'è Maurizio Marchetti, che era don Mico Rota nel Giudice Meschino, c'è Costantino Comito che è un altro bravissimo attore di Vibo; Franz Cantalupo che è siciliano, che ha già lavorato sia nel ‘Giudice’ che nei ‘Bastardi di Pizzofalcone’. Mi fido molto di loro artisticamente e poi sono persone con le quali mi trovo bene anche dal punto di vista umano".
Parlando diverse volte con molti attori delle tue produzioni, quelli che hai nominato ma anche altri, esce fuori sovente il "lato umano" di Carlei. A dimostrazione che, nonostante la fama, c'è anche molta umiltà nell'approccio che hai con gli attori. Anche quelli meno noti.
"Tranne rare eccezioni, ho sempre avuto un bellissimo rapporto con gli attori con i quali ho lavorato. Le poche volte in cui non è successo, è quando mi sono reso conto di aver fatto una scelta sbagliata. Io non faccio compromessi e mi assumo la responsabilità di tutte le scelte, anche a livello di cast, ma può capitare di rimanere delusi soprattutto dal punto di vista umano o di scoprire che qualcuno non era il professionista serio e dedicato che ti aspettavi. Quando non ci si impegna abbastanza o si mettono i propri interessi davanti a quelli del lavoro per cui sei stato assunto si rischia di perdere credibilità e concentrazione. E con me non deve succedere. Per cui, come nella vita, ci metti una croce sopra e non ci lavori più. Però la cosa che mi rende più felice, lasciando da parte la Fuggitiva e quello che hanno detto i ragazzi, è la stima e la considerazione da parte del 99 per cento degli attori con cui ho lavorato. Una stima da un punto di vista umano ma soprattutto professionale, per come sono stati presi per mano e diretti fino allo spasimo pur di trovare la chiave giusta per entrare all'interno di ognuno dei personaggi da interpretare. Sentire in giro la frase: “Come mi ha fatto lavorare Carlei, nessun altro.” è per me un motivo d'orgoglio. A me sorprende quando qualcuno dice: però Carlei è un po' scostante, antipatico. Molto spesso la serietà da un punto di vista professionale, il rigore artistico, l'impegno che ci si mette, insomma, il fatto comunque poi di voler essere una persona per bene, irreprensibile, che non cede a compromessi, eccetera, viene scambiato per ritrosia, per antipatia, snobismo. Ma è un modo miope di guardare alle cose. Ti faccio un esempio: spesso mi trovo costretto a dire no agli inviti di tanti piccoli Festival che si fanno in giro per l’Italia, in cui ti vogliono dare a tutti costi un premio. Ecco, quando posso non mi tiro mai indietro se l’invito arriva da scuole o università. Mi piace raccontare i miei film in un contesto didattico ma l’esperienza mi ha insegnato, dopo 27 anni vissuti in America, che quando torni qui non puoi conoscere mai bene la natura e il background delle persone che ti trovi di fronte. Ho capito che non si puo’ dire di si a tutti e che a volte un minimo di filtro o di attenzione bisogna mettercela. Sul lavoro invece sarebbe assurdo non instaurare un rapporto “caldo” dal punto di vista umano con delle persone a cui devi spiegare come interpretare un certo personaggio, non lo puoi fare con degli input monocordi, con delle fredde istruzioni, lo devi fare ragionando, capendo la psicologia di ogni attore e per farlo devi metterti al loro stesso livello, non certo guardarli dall'alto".
Possiamo dire che c'è una sorta di riconoscimento dell'Italia, del cinema italiano, nei tuoi confronti rispetto a quello che tu hai rappresentato e realizzato in America? Come se qualcuno avesse riscoperto il tuo talento...
"Non credo. Non gioco a fare l’incompreso ma se questo sentimento c'è, comunque non si vede. Nel senso che non lo percepisco. Può essere un sentimento trasversale, magari all’interno dell’industria cinematografica, con attori o tecnici che mi stimano e vorrebbero lavorare con me, ma non è che a qualcuno sia venuta l’idea di scrivere un libro, dico per dire, sul sottoscritto o sui miei film. Probabilmente pago il fatto di non frequentare salotti e di non aver mai chiesto protezioni politiche. Detesto le caste, ma starne fuori significa poi pagare un prezzo. Che è quello di essere ignorato, indipendentemente dai successi più o meno acquisiti nella tua carriera. La verità poi è che non si hanno gli strumenti, critici o esegetici, per ammettere che c'è qualcuno che può esprimere il suo talento anche all'interno di un medium come la televisione, nei confronti della quale invece si nutre un certo snobismo intellettuale. E’ pur vero che la televisione oggi, soprattutto in Italia, è un calderone dove ci sono ovviamente pochi alti e molti bassi in termini di qualità, ma proprio per questo uno alla fine la qualità dovrebbe saperla distinguere. Purtroppo, però il valore assoluto di una serie o telefilm non rappresenta più un fattore discriminante come lo era una volta, quando c'era addirittura un indice di qualità dei prodotti. Adesso quello che conta è soprattutto l'audience, il numero di spettatori che una determinata trasmissione riesce ad attrarre. Poi può essere una schifezza o un capolavoro ma la prima cosa che si guarda ormai sono i numeri. E questo è un peccato perché al cinema, molto spesso, i grandi film d'autore, che vincono la Palma d'Oro o che vincono l'Oscar, non sono sempre necessariamente dei grandi successi commerciali pur essendo opere che poi rimangono nella Storia. Bisognerebbe dare più spazio a produzioni innovative, ma è complicato perché la sfida per un regista televisivo è fare qualcosa di qualità, cercando allo stesso tempo di fare anche intrattenimento “popolare”, riuscire cioè a fare opere che piacciano ad un pubblico specifico come può essere quello di Rai Uno che è un vero e proprio zoccolo duro, fedelissimo e monolitico, sia a livello anagrafico che di gusti. Poi c'è un altro aspetto da valutare, purtroppo non tanto edificante: la televisione, sicuramente anche per sue colpe, non viene presa tanto sul serio dalla critica. E questo mi dispiace. In America le produzioni televisive sono una cosa seria, su Variety o Hollywood Reporter ormai le recensioni delle prime televisive hanno il medesimo spazio di quelle dei film per il Cinema, e i critici sono in genere molto preparati. In Italia questo non esiste, tranne in qualche spazio ristretto su un paio di quotidiani. Insomma, non vi sono nemmeno degli interlocutori con cui rapportarti, con cui creare una dialettica. Diciamo che la televisione è abbandonata a se stessa da un punto di vista critico e prigioniera dei dati dell'Auditel che sono importanti ma anche limitanti. Nel senso che le limitazioni per poter fare qualcosa di nuovo, poter sperimentare e offrire un prodotto, come si dice in inglese, "outside the box", fuori dal comune, sono limitazioni fortissime. In questo contesto la cosa di cui sono più fiero per quanto riguarda la "Fuggitiva" è che, pur avendo già diretto delle serie di qualità che hanno avuto molto successo, questa è quella che sicuramente osa di più ed è più innovativa, perché gioca con i generi, non rallenta mai e sorprende continuamente".
Quanta Calabria c'è in questo film e cosa rappresenta oggi per te la nostra regione anche da un punto di vista della narrazione?
"La Calabria rappresenta un passato che è sempre presente in me. Il luogo da cui provengo, dove sono andato a scuola, e dove ho studiato anche la vita. È il posto dove sono cresciuto non solo come studente, ma anche come essere umano. E quello è fondamentale. La forza e la determinazione che mi porto dietro è molto simile a quella di tanti miei conterranei che in giro per il mondo hanno avuto una chance per esprimere il proprio talento a seconda delle discipline che hanno scelto come mestiere. Ne La Fuggitiva ho avuto la possibilità di fare esprimere dei giovani talenti calabresi, soprattutto lametini. Credo che sia importante nella vita, quando se ne ha la possibilità, restituire anche qualcosa, idealmente, alla propria terra. Non è un obbligo, né una prescrizione, ma un desiderio, un principio etico forse che ti fa sentire meglio nel momento in cui lo realizzi. Per fortuna sono cambiati i tempi rispetto a quando ero ragazzo e se dicevo che volevo fare il cinema la gente mi rideva dietro, mi prendeva per pazzo. Si può dire che i reality show, che peraltro detesto, hanno comunque realizzato un'unica cosa positiva: hanno sdoganato il fatto che dei mondi lontani e quasi impossibili da raggiungere senza raccomandazioni, come quello dello spettacolo, sono diventati più accessibili. Anche se il rischio è quello di credere che basti un colpo di fortuna, che non bisogna invece studiare seriamente come in ogni altra disciplina. Perché non ci si improvvisa, non per sempre. Comunque, se oggi un ragazzo a Lamezia dice di voler studiare recitazione piuttosto che regia, la gente non gli ride in faccia. E questo è un grande cambiamento".
E infatti oggi Lamezia esprime tante potenzialità. C'è molto fermento...
"Sì. Sono molto contento che Mario Vitale, che ha lavorato assistente alla regia sul set del “Giudice Meschino”, abbia realizzato il suo primo lungometraggio, fra l’altro molto bello; che Ernesto Censore, uno dei miei assistenti sul set dei "Bastardi di Pizzofalcone" si sia laureato con uno splendido saggio di fine corso al Centro Sperimentale di Cinematografia. E poi voglio ancora ricordare Nicola Barberio, altro mio assistente su La Fuggitiva a cui auguro altrettanta fortuna. Sono ragazzi di Lamezia, sono ragazzi appassionati di cinema, dotati di talento e in altri tempi difficilmente avrebbero avuto la possibilità di esprimere la loro creatività. E poi ci sono i giovani interpreti che hanno lavorato ne La Fuggitiva, come Vittoria Gargano, Tommaso Barone, Pino Torcasio e Antonino Koukounouris, tutti anch'essi lametini, che hanno pienamente dimostrato di meritarsi questa chance. Voglio poi ricordare anche Marina Crialesi, che ha esordito con me ne ‘Il Confine’, ha poi interpretato un ruolo coraggioso ne ‘I Bastardi di Pizzofalcone’ e adesso è un’attrice affermata nel panorama televisivo italiano".
Quali sono i desideri di Carlei per la sua città? Cosa pensa di Lamezia e della Calabria un regista ormai affermato? Una regione con nuovi fermenti culturali sì, ma ancora in balia della criminalità organizzata, di una sanità che non funziona e di tanti mali atavici che purtroppo sembrano duri a morire e verso i quali l'unico argine sembrano essere le inchieste di un magistrato come Gratteri.
"Il discorso è molto complesso e si rischia di dire cose superficiali. L'unica cosa che voglio dire è che il cittadino Carlei si augura che dei problemi davvero gravi, nati ovviamente anche da decenni di dimenticanza e negligenza da parte dello Stato da una parte, e di indolenza e rassegnazione dei cittadini dall’altra, possano a poco a poco essere risolti. Ma per farlo deve cambiare l’atteggiamento della gente, di ogni singolo cittadino. Come mai riusciamo ad eccellere in tutti i campi nel mondo e invece rimanendo qui rimaniamo immobili, inerti, come invischiati in un magma di accettazione del torto e delle ingiustizie senza riuscire a ribellarci nemmeno nel segreto del cubicolo dove andiamo a votare, soli con la nostra coscienza. Dove sono il coraggio e lo spirito di quei nostri conterranei che si sono sporcati le mani nei cantieri di tutto il mondo? Ci sono storie bellissime di calabresi che sono andati in America, Australia e pur cominciando dal basso sono diventati esempi viventi di grande successo. La cosa che dispiace è che uno se ne deve andare fuori e non far beneficiare del proprio talento la propria terra. È questo quello che io trovo sbagliato e doloroso. Quindi, che dire? Tutta la vita col procuratore Gratteri, che è una persona per bene che fa il suo dovere, un servitore integerrimo dello Stato che vorrebbe davvero cambiare volto alla nostra terra, ma purtroppo non ha poteri sovrannaturali e neppure una bacchetta magica. Se non cambiano noi, se non cambia la mentalità delle persone, se non capiamo che non bisogna scegliere i compromessi o gli asservimenti per un beneficio personale, anche se piccolo, non ne usciremo mai fuori. Se non ci mettiamo in testa che il bene che conta veramente è il bene della comunità, e che bisognerebbe fare anche un passo indietro di fronte a delle scorciatoie morali da cui trarremmo profitto, io credo che non se ne uscirà mai. Ricostruire lo spirito di una regione sfruttando al massimo quelle che sono le qualità che ci rendono assolutamente unici nel mondo, significa alzarsi la mattina, rimboccarsi le maniche e dire a noi stessi: come possiamo cambiare questa situazione? Insegnando magari alle nuove generazioni la necessità di compiere sempre delle scelte morali nella vita. Di guardare alla sostanza delle cose, non all’apparenza. A costo di ripetermi, spesso siamo noi stessi ad auto-flagellarci, a non voler nessun cambiamento, quando votiamo persone sbagliate e moralmente inadeguate a rappresentarci, persone che sdoganano i criminali all'interno delle giunte comunali. Ecco che allora quando la criminalità si insinua ovunque nell’economia e nella politica nella nostra società, non possiamo addossare le colpe ad altri o al fato. Facciamo piuttosto le cose giuste, scegliamo le persone che hanno un rigore morale e una reputazione assolutamente limpida, piuttosto che il solito “amico” che poi amico non è. Usciamo dalle solite dinamiche clientelari e di meschina convenienza e facciamo di tutto per lasciare ai nostri figli una Calabria più pulita, dentro e fuori".
Antonio Cannone
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