Lamezia, messa del Vescovo per la solennità dei Santi Patroni Pietro e Paolo

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Lamezia Terme - Solennità dei Santi Patroni Pietro e Paolo in città. Questa mattina il Vescovo monsignor Serafino Parisi, ha presieduto la Celebrazioni Eucaristiche delle 10:30, con la presenza del Clero diocesano. Alle 18:30 al termine della messa si svolgerà la processione. In questi giorni, infatti, in Cattedrale, accompagnati dalle loro comunità, alcuni sacerdoti della Diocesi si sono alternati nell’officiare le Sante Messe in preparazione della festa di oggi.

Durante la messa della sera, come ogni anno, viene espresso l’atto di affidamento della Città ai Patroni, con la consegna simbolica da parte del Sindaco di un plastico raffigurante la città di Lamezia Terme nelle mani della statua di San Pietro. Successivamente si svolge la tradizionale processione per le vie della città. Attesi tanti fedeli per i festeggiamenti che termineranno con uno spettacolo finale di fuochi pirotecnici.

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I Santi Pietro e Paolo, “ci indicano che non c'è altra strada che ai credenti è chiesto di percorrere se non quella che il Signore pone davanti a noi ed è la strada, non delle piste che immaginiamo, delle scorciatoie che vogliamo prendere” ma “la strada è quella che viene messa davanti a noi e che dobbiamo percorrere perché il Signore vuole che quella strada sia percorsa nonostante la nostra fragilità le nostre cadute: quelle di Pietro e quelle di Paolo. Però, lì c'è sempre il Signore ad attendere l'umanità e a dire tu puoi risorgere” e noi “non possiamo rispondere a Gesù con le parole degli altri. Dobbiamo rispondere a Gesù con le nostre parole, con la vita che diventa parola difficilissima. Con la testimonianza che diventa parola. Con la liberazione nostra, non degli altri, che diventa parola. Perché a chiedere la conversione degli altri siamo tutti bravi” mentre, invece, “la liberazione parte innanzitutto da noi stessi”. Questi alcuni passaggi dell’omelia del Vescovo, monsignor Serafino Parisi, in occasione della celebrazione della santa Messa per la festa dei Santi Patroni Pietro e Paolo di cui “siamo abituati a pensare, giustamente, così c'è stato detto e così è, come a due colonne sulle quali si regge la Chiesa insieme alle altre colonne che sono gli apostoli”.

Nel fare riferimento alle letture del giorno, monsignor Serafino Parisi, rivolgendosi stamani alla comunità dei fedeli ed al Clero diocesano, riuniti in Cattedrale, ha sottolineato come “la Parola della testimonianza attraversa la nostra vita crocifissa. Magari perché è una vita di limite. Però questa testimonianza diventa l'unica parola che il mondo comprende e attende da noi. Ecco perché, alla fine, la strada che dobbiamo seguire è Gesù Cristo. Quella che Pietro ha seguito. Quella strada sulla quale ha incontrato Cristo che gli ha cambiato la vita non poteva che essere la via di Gesù, che è Gesù. Ed è questa, allora, l’indicazione che ci danno gli apostoli”. Ma, “la Parola è stabile nella misura in cui attraversa la mia esistenza e, una volta che questa parola stabile, ha attraversato la mia esistenza, accade quello che è accaduto nel cancello del carcere, nel mare Rosso o sulla strada di Damasco: si apre una via, la via dei redenti”. Quindi l’augurio che “il rendimento di grazia diventi testimonianza”. Nel corso della sua omelia, il Vescovo ha parlato dell'idea di una Chiesa stabilita sulla roccia che, “certamente – ha detto - richiama la stabilità della Chiesa e questo ci dà una certa sicurezza: sia per la promessa, ma anche per la effettiva stabilità della Chiesa. Però, non possiamo essere tratti in inganno da questa immagine e, quindi, pensare una Chiesa ferma, paralizzata che farebbe comodo ad alcuni”. 

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Per monsignor Serafino Parisi, infatti, “farebbe comodo ad alcuni se la Chiesa fosse tetraplegica ed afona. E più di uno riderebbe, godrebbe. Invece, in tutte e tre letture di oggi c'è un'immagine che per noi è fondamentale: è quella della strada, la via. Tutto accade lungo quella via: sia la liberazione di Pietro, sia la corsa di Paolo, sia la strada sulla quale Gesù, nei pressi di Cesarea di Filippo, chiede ai suoi discepoli ‘la gente chi dice che io sia? È per voi chi sono io?’. Io credo che l'immagine della strada debba essere considerata costitutiva allo stesso modo nel quale immaginiamo costitutiva la roccia del fondamento, le colonne che sono il basamento della Chiesa. Tra l'altro, nei testi di oggi – ha aggiunto - , questa strada non solo è richiamata immediatamente come lo scenario che Gesù viaggiando, andando da una parte all'altra, percorreva quotidianamente, ma è anche evocata come, per esempio, nel primo testo della liberazione di Pietro dal carcere. Non è il semplice racconto di una liberazione miracolosa, però è la rivelazione a Pietro del messaggio e della qualità di esso, che aveva ormai preso la sua esistenza e che doveva essere il punto di aggancio e il punto di annuncio di proclamazione della Parola presso gli altri. Pietro si trova il cancello insuperabile davanti. Ma quel cancello si apre, come si apre il mare dell’esodo, e percorre la strada per andare nella casa dove erano riuniti i primi cristiani. E allora quello che Pietro comprende, dopo lo stordimento, non è soltanto la sua liberazione, ma quello che Pietro comprende è che il Signore nella storia interviene sempre allo stesso modo perché - lo dicono i salmi - l’agire di Dio è immutabile. E se questo agire di Dio è immutabile vuol dire che è stabile. Ma questa stabilità mette in movimento, sembra paradossale, addirittura sembra impossibile: una stabilità dinamica. Perché siamo messi in movimento e questo movimento Pietro lo percepisce e cercherà di dirlo a tutti, nonostante la sua fragilità.

“Il Signore – ha sottolineato il Vescovo - quando trova gli ostacoli non li aggira. Li attraversa. Quando gli è stato detto: ‘se sei un figlio di Dio, scendi dalla Croce e ti crederemo’, il Signore non scende dalla Croce, ci rimane sopra perché, sconvolgendo la logica del mondo, quello doveva essere il modo per testimoniare l'amore di Dio, il superamento del dolore pur dentro il dolore. L'oltre del male, affrontando la croce e il male. E allora Pietro comprende che, nonostante la sua fragilità, è chiamato a compiere la strada della liberazione da tutte le sue schiavitù umane e probabilmente anche affettive religiose. Questa è la forza. Non solo realistica ma anche evocativa e vera di questa pagina. Che poi è lo stesso richiamo di Paolo che possiamo dire che è stato uno che è sempre stato in movimento. Un simbolo del movimento perché stava correndo sulla strada di Damasco. Anche qui la strada per andare a distruggere la Chiesa e su quella strada si ferma. Anche qui una corsa da una parte all'altra: dalla Terra Santa verso Roma, dalla Terra Santa verso la Galazia, dalla Terra Santa verso la Grecia. Paolo si muove da tutte le parti, non si ferma mai. Alla fine, lo avevano pure incatenato, anche lui nel carcere” e “quando si rivolge a Timoteo lo chiama figlio mio, ‘perché io ti ho generato nella fede di colui che mi ha insegnato che c'è una strada da percorrere, c'è una strada da seguire’ ed è quella strada che anche lì è una strada dove accade, ancora una volta la liberazione e ancora una volta si passa dalla notte al giorno, dal buio della cecità”.

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