Lamezia, la testimonianza della rabbina Aiello per la Giornata della Memoria: “L'odio cresce quando le brave persone non fanno nulla"

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Lamezia Terme - Una testimonianza importante quella di Rabbi Barbara Aiello, figlia di uno dei liberatori del campo di sterminio di Buchenwald e prima rabbino donna in Italia, operante presso la Congregazione “Ner Tamid del Sud” a Serrastretta, dove, come spiega lei stessa, “si trova la prima sinagoga attiva in Calabria da circa 500 anni, ovvero dal tempo dell’Inquisizione”. Rabbi Aiello si racconta, e racconta il suo popolo, in occasione della Giornata della Memoria delle vittime della Shoah, evento sentito profondamente anche nella sua piccola comunità come ovunque nel mondo siano ancora vivi sentimenti di umanità, fratellanza, pace fra le genti.

In un tempo controverso come questo, in cui i testimoni viventi della Shoah sono ogni anno di meno, e il ricordo autentico del loro vissuto rischia di perdersi, qual è il messaggio che tutti dovremmo tenere presente per continuare a tenere viva la memoria?

“Mantenere una memoria autentica della Shoah diventa ogni giorno più importante. Quest’anno, il 2025, mentre si compie l’ottantesimo anniversario dalla liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, è importante sottolineare quanto segue: nel 2004, l’anno in cui ho cominciato a lavorare come rabbina a Milano, c’erano approssimativamente 564.000 superstiti viventi dei campi di concentramento nazisti. Dieci anni dopo, nel 2014, il numero è sceso a 500.000.  Oggi i superstiti della Shoah hanno un’età media di 86 anni, e il loro numero è sceso a 245.000 – meno della metà, rispetto a 20 anni fa – e la maggior parte, essendo molto avanti negli anni (il più anziano ha recentemente compiuto 113 anni) necessitano di cure continue. Cosa significa questo per noi ebrei? La mia generazione è pienamente cosciente del fatto che corriamo il pericolo di perdere i nostri testimoni oculari dell’orrore nazista. Quanto alla prossima generazione, pochi dei bambini di oggi vivranno l’esperienza profonda di conoscere un sopravvissuto. In Italia ciò ha un impatto profondo a causa del fatto che vivono qui solo 10 superstiti della Shoah. Come Rabbina dell’unica sinagoga della Calabria, sono personalmente cosciente di quanto sia importante condividere le storie dei sopravvissuti con i bambini calabresi. Quest’anno ho parlato agli studenti di Sambiase, Conflenti, Motta Santa Lucia, Martirano, Catanzaro e Catanzaro Lido. A queste presentazioni io sottolineo il coraggio dei “Giusti fra le Nazioni” – donne e uomini che hanno rischiato le loro vite per salvare uomini, donne e bambini ebrei. Quando i nostri testimoni oculari della Shoà saranno scomparsi, le loro storie dovranno essere raccontate: ad esempio il coraggio di Irene Sendler, un’infermiera polacca che salvò 2.500 bambini ebrei, e Sir Nicholas Winston che creò il “Kindertransport” per portare 669 bambini ebrei fuori dalla Germania, verso l’Inghilterra. In più, come dico agli studenti, “che non accada mai più”: bisogna sottolineare che persone proprio come loro possono sempre farsi avanti per aiutare gli altri, se questi vengono perseguitati”.

Oltre al dovere di ricordare, quali sono i comportamenti concreti che dovremmo mettere in atto perché ciò che è stato non si ripeta mai più?

“Questo è ciò che dico agli studenti: l’Olocausto non è iniziato con Auschwitz o con i campi di concentramento. L’Olocausto non è iniziato con le camere a gas. L’Olocausto è iniziato con il bullismo e poi con l’isolamento di un gruppo di persone perché diverse. Quindi ci chiediamo: come possiamo fermare l’antisemitismo? La risposta non sta solo nel popolo ebraico, ma in tutti noi. Possiamo fermare l’antisemitismo se restiamo uniti. Se quelli che non sono ebrei si alzano e aiutano i loro amici e vicini ebrei. La lezione della Shoah è questa: sappiamo che l’antisemitismo cresce quando le brave persone non fanno nulla”.

Esistono anche sul nostro territorio storie e testimoni, o anche parenti di sopravvissuti alla Shoah con i quali lei è venuta a contatto? Cosa le è capitato di sentir raccontare e quali emozioni le ha suscitato?

“Ho avuto amicizie personali con diversi calabresi i cui parenti erano stati uccisi dai nazisti. Purtroppo, questi amici oggi sono morti. Mio padre fu uno dei liberatori del campo di sterminio di Buchenwald. Essendo un soldato ebreo, quest’esperienze fu per lui molto personale, e lo colpì profondamente. Racconto spesso la sua storia. Era calabrese, come mio nonno e tutti i miei antenati, e la mia esperienza come rabbina in Calabria – sono nata negli Stati Uniti – nasce proprio dal suo vissuto: quando mi raccontò ciò che aveva visto gli feci la promessa di aiutare il nostro popolo, gli ebrei. Ed è quello che ho fatto”.

Giulia De Sensi

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