Lamezia Terme - “La chiesa in un quartiere è quel punto che ti fa guardare dal presente verso il futuro e se non fa questo non è Chiesa”. Così il vescovo, monsignor Serafino Parisi, ha concluso il suo intervento al convegno “La chiesa di San Giuseppe Artigiano in occasione del XXV anno della sua consacrazione”. Un intervento, il suo, nel corso del quale monsignor Parisi, tra le altre cose, ha evidenziato come “in un quartiere inesistente, con una planimetria che presenta soltanto una visione generale dall'alto di una città che si sta mettendo insieme per costituire quello che ancora non è, Lamezia Terme, ad un certo punto si costruisce una chiesa che diventa l'elemento di aggregazione con alcune dinamiche che sono, per esempio, quelle religiose in quanto la chiesa è il luogo all'interno del quale si riunisce una comunità. Poi, intorno a questa chiesa cominciano a venire edificati dei palazzi, delle case: si comincia a strutturare un ambiente urbano, si inizia ad antropizzare quella planimetria che prima era semplicemente nulla. Allora, intorno a quella chiesa si crea un aggregato urbano che ancora presenta quella inquietudine della ricerca dell'altro come figlio, come fratello, senza ancora riconoscerlo”. Ed è in questo contesto che la chiesa diventa elemento centrale per “creare socialità, comunità, per vivere una comunione. Allora, quel desiderio umano di mettermi in relazione con l'altro che non passa, e non può passare, dalla vendita del fratello e dai riconoscimenti successivi, ma deve passare necessariamente dalla prossimità con l'altro, dentro questa dinamica la chiesa fa la sua opera d'arte: cioè quella di un aggregatore capace di indicare la possibilità di trasformare una massa amorfa in un popolo strutturato. E questo – ha concluso il Vescovo - è il quadro più bello che una chiesa, una parrocchia, può realizzare: quella, cioè, di far convivere queste espressioni diverse dell'arte e, dentro queste espressioni diverse dell'arte, ognuno con la propria caratteristica e con la propria sensibilità”.
Un momento di riflessione, quindi, che ha permesso di ripercorrere anche i momenti salienti della storia di questa giovane parrocchia scanditi dalla relazione dell’architetto Francesco Volpe che ha tracciato, a grandi linee, quelle che sono state le indicazioni degli aspetti architettonici che, negli anni, hanno rappresentato gli elementi chiave nella realizzazione delle chiese: “Con l'avvento del cristianesimo – ha detto Volpe - l'edificio per il culto è inteso come luogo per la collettività, per la comunità dei credenti che si riunisce per condividere la ‘Fractio Panis’ e l'ascolto della verità rivelata attraverso l'annuncio del Vangelo. Per tale motivo il ‘luogo’ assume la duplice valenza di luogo della comunità e luogo della presenza di Dio; ciò gli conferisce quella dimensione totalizzante e assoluta percepita e attesa da ogni persona che lo fruisce. Fulcro centrale del rito della Santa Messa è il Mistero di Cristo, morto e risorto, ma anche Verbo Eterno che si manifesta agli uomini mediante la Parola; pertanto, il rito si articola nei due momenti salienti dell'ascolto della Parola e del Sacrificio Eucaristico. Le prime comunità di Cristiani, dunque, necessitavano di uno spazio dove ascoltare la Parola, con conseguente spiegazione dei significati da parte dei ministri, e di uno spazio dove celebrare il rito eucaristico”.
L’artista Maurizio Carnevali, invece, nell’offrire la lettura iconografica dei dipinti che ha realizzato nella chiesa, ha raccontato della sua esperienza di “visione materialistica ma mai scevra di una buona dose di spiritualismo che ostinatamente ho ricercato nell’animo mio, degli uomini e, quindi, della chiesa” che è stata, poi, alla base della realizzazione delle sue opere che raccontano “Giuseppe, Maria, Gesù nello splendore della propria vita terrena assurgere ad esempi spirituali così alti da avvicinarsi a Dio. La mia prima preoccupazione – ha detto - fu quella di realizzare un'opera che potesse essere condivisa dalla Comunità. Quale sarebbe stata, dunque, la cifra attraverso cui giungere a tale obiettivo se non quella di adottare un linguaggio, per molti versi universale, che attingendo alla storia della pittura religiosa, mi avrebbe portato alla narrazione iconografica dei temi in questione. Ciò naturalmente avrebbe comportato porre in secondo piano quelle soluzioni estetiche che in quel preciso momento erano in atto nella mia personale ricerca e che si indirizzavano verso esiti sicuramente più informali. Fu una scelta che comunque non mi procurò grande sacrificio poiché ero ben consapevole che avrei in ogni caso trovato un punto di equilibrio fra le mie convinzioni formali e le aspettative non solo della committenza, ma soprattutto, dei fedeli che avrebbero posato il loro sguardo giorno dopo giorno nel tempo a venire sul mio lavoro”.
Per don Vincenzo Lopasso, docente di Sacra Scrittura alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, che ha approfondito con nota teologica i temi trattati nelle vetrate con il racconto della vita di Giuseppe l’egiziano e di Giuseppe padre putativo di Gesù, nella chiesa di San Giuseppe Artigiano “convivono antico e nuovo testamento. In qualche modo – ha detto – si vogliono richiamare gli antefatti della storia della salvezza, trattare delle origini, nascoste in Dio, di san Giuseppe; in pratica, invitare a riscoprire il piano di Dio realizzatosi in san Giuseppe nella lettura delle pagine dell'Antico Testamento che narrano la storia del suo antenato, Giuseppe il patriarca. Secondo la genealogia di Gesù del Vangelo di Matteo Giuseppe è figlio di Giacobbe. Tuttavia non direttamente, perché Giacobbe, figlio di Isacco, sta a capo della genealogia che inizia con Abramo Paradossalmente, però, in Matteo 1,16 leggiamo che gli ultimi anelli della catena che avvicinano a Giuseppe furono Mattan e Giacobbe, ‘il quale generò Giuseppe, lo sposo di Maria’. Se non può trattarsi del figlio di Abramo, menzionato all'inizio della genealogia, perché si nomina il padre di san Giuseppe con il nome di Giacobbe? Tale domanda è d'obbligo perché nella genealogia secondo Luca il padre di san Giuseppe è menzionato con il nome di Eli (Lc 3,23). Che Matteo abbia voluto presentare san Giuseppe alla luce dell'altro, figlio del patriarca Giacobbe?”.
Ad apertura dell’incontro, il prefetto di Catanzaro, Castrese De Rosa, nel salutare i presenti, ha parlato del “senso di comunità che noi dobbiamo sempre più sviluppare. Siate vicini ai nostri sacerdoti – ha aggiunto - ed anche alle forze dell'ordine. Dico sempre che lo Stato si accredita non per le funzioni che noi ricompriamo ma per il modo in cui le esercitiamo ed io cercherò di farlo con una presenza attiva sul territorio, vicino soprattutto alle persone fragili, vulnerabili, a quelle che trovano poco ascolto. Se riusciamo a essere umili, con i piedi per terra, vicino ai cittadini – ha concluso -, io credo che riusciamo a fare bene il nostro il nostro dovere ed il nostro lavoro”. Gli atti del convegno, moderato dal parroco, don Fabio Stanizzo, saranno pubblicati e consegnati alla comunità il primo maggio prossimo, giorno dell’apertura al culto della chiesa.
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