Gioia Tauro - Questa mattina un'operazione della Guardia di Finanza di Reggio Calabria ha portato all'esecuzione di 13 provvedimenti di fermo nei confronti di altrettante persone presunte appartenenti ad un'organizzazione criminale responsabile dell'illecita importazione in Italia, attraverso il porto di Gioia Tauro, di rilevanti quantitativi di cocaina provenienti dal Sud America e diretti in tutta Europa. I reati contestati ai fermati sono associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti. L'indagine della Guardia di finanza, durata tre anni e denominata "Puerto liberado", ha consentito, oltre ai 13 fermi, di denunciare complessivamente 61 persone, coinvolte a vario titolo nel traffico di droga. Anche una "squadra" di dipendenti del porto di Gioia Tauro, che lavoravano all'interno dello scalo, era in grado di garantire la fuoriuscita di consistenti carichi di cocaina all'esterno della struttura, eludendo i controlli di polizia. Nell'ambito dell'operazione sono state sequestrate anche oltre 4 tonnellate di cocaina purissima che, sul mercato, avrebbero fruttato circa 800 milioni di euro.
Un codice a portuali infedeli per individuare coca
Un codice alfanumerico da consegnare ad un gruppo di portuali infedeli per permettergli di individuare la nave ed il container con la droga da fare uscire dal porto di Gioia Tauro. Era il modus operandi dell'organizzazione sgominata questa mattina dalla Guardia di finanza di Reggio Calabria con il fermo, disposto dalla Dda, di 13 persone, tra le quali sei tra dipendenti ed ex dipendenti di società operanti sul sedime portuale ed il rappresentante legale di una società di trasporti che opera nella piana di Gioia Tauro. Ad illustrare i dettagli dell'operazione sono stati il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho, il comandante provinciale della Guardia di finanza Alessandro Barbera, ed il comandante regionale delle Fiamme gialle Gianluigi Miglioli. "I fermati - ha detto Cafiero de Raho - sono il primo impatto di una rete criminale più vasta cui è demandato il compito di far superare i controlli della barriera doganale. La cocaina, una volta fuori dal porto, prendeva destinazioni diverse e finiva non solo nella disponibilità delle cosche della 'ndrangheta, ma anche a Cosa nostra ed alla camorra". Perno dell'organizzazione, secondo l'accusa, era Giuseppe Brandimarte, ex dipendente del porto e ritenuto un elemento di spicco della 'ndrangheta, coinvolto nella faida con i Priolo. Nel dicembre 2011 rimase gravemente ferito in un agguato. "Brandimarte ed il fratello Alfonso - ha detto Barbera - per evitare le rappresaglie, si muovevano su auto blindate cambiando spesso residenza. La loro disponibilità veniva liquidata di volta in volta con una percentuale tra il 10 ed il 30% della quantità della cocaina importata, a seconda del peso criminale delle cosche che ne avevano ordinato l'acquisto". "Tra le nuove metodologie sperimentate dal gruppo - ha sottolineato ancora Cafiero de Raho - per testare la reattività degli inquirenti, vi era anche l'eventualità di sacrificare piccoli carichi di cocaina, riservandosi successivamente l'invio di un carico molto più consistente". Il gen. Miglioli ha avuto parole di apprezzamento per il personale che ha eseguito l'operazione ed ha sottolineato l'efficacia della collaborazione con la Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria.
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