La complessa questione israelo-palestinese e l’attuale sanguinaria belligeranza

Scritto da  Pubblicato in Pino Gullà

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pino_gulla_865eb_a280e_8b2cb_708ae_7bd60_dbe72_1b2ed_af80b_ab265_f0cb0_ec3b1_4918c.jpgIl 7 ottobre scorso il gruppo palestinese di Hamas ha lanciato razzi verso Israele; nel contempo ha oltrepassato i confini della Striscia di Gaza. Risposta di Israele con decine di aerei che hanno colpito, ufficialmente, gli obiettivi militari. Migliaia di vittime da una parte e dall’altra, soprattutto civili inermi, donne e bambini. L’ennesimo conflitto israelo-palestinese, il più cruento degli ultimi anni. Orribili le immagini alla tv. Da noi alcuni talk politici molto di parte; altri urlati fino all’inverosimile; quasi sempre strumentali alla politica politicante, magari in funzione elettorale. Sono andato alla ricerca di letture per essere informato da fonti attendibili e con spirito critico, in modo da riuscire a leggere notizie di tale gravità e a guardare video così abominevoli e sanguinari. Ho scelto alcune analisi della geopolitica pubblicate su Domino del mese scorso come quelle di Marco Di Lillo e di Emmanuele Panero, rispettivamente direttore e analista Difesa e Sicurezza del Centro Studi Internazionale (CeSi). Gli studi evidenziano l’aspetto militare.

L’attacco, considerato “complesso e inaspettato”, è stato lanciato dalle Brigate Izz ad-Din al-Qassam, il braccio armato di Hamas attualmente al governo di Gaza, Movimento di resistenza islamica (Harakat al-Muqawama al-Islamiya). Azioni terrestri, marittime e aeree. La novità sorprendente è che l’intelligence israeliana non è stata in grado di prevedere questa azione militare. Non se l’aspettava. I miliziani hanno lanciato, all’inizio, migliaia di razzi; immediatamente dopo “piccoli velivoli a pilotaggio da remoto”; poi droni kamikaze; quindi si sono infiltrati oltre confine con deltaplani, motociclette e pick-up. Ingaggiati combattimenti in territorio israeliano. Hanno colpito con atrocità inenarrabili pure insediamenti civili, catturando numerosi ostaggi. L’effetto sorpresa ha funzionato; soltanto successivamente è stata avviata da Israele l’operazione Spada d’Acciaio: “Questa è iniziata con una massiva e sistematica campagna aerea di bersagliamento […] contro il territorio della striscia di Gaza, distruggendo, mediante munizionamento guidato di precisione ad impatto ridotto, […] postazioni ed edifici ricondotti all’attività di Hamas”.

Necessario il ripasso della storia per comprendere fino in fondo cause ed effetti di una guerra così orrenda e di una situazione di belligeranza costante dal ’48 ad oggi con stragi disumane. È importante conservare la memoria o recuperarla quando non si riesce a ricordare fatti storici finiti nel dimenticatoio per il sopraggiungerne di altri, altrettanto sanguinari (v. guerra tra Russia e Ucraina), che hanno occupato la ribalta mediatica. Prima i media erano posizionati sui Paesi dell’Est; adesso le telecamere si sono rivolte maggiormente verso il Medio Oriente per la violenza inaudita del conflitto israelo-palestinese; di meno verso l’Europa orientale; ormai non solo telecamere, ma tanti sono gli smartphone che inquadrano le devastazioni.

Mi sembra utile riportare sinteticamente la ricerca fatta dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI) che ha elaborato le diverse fasi del conflitto in Escalation Israele-Palestina… L’origine degli avvenimenti in questione risale alla fine del XIX secolo quando il movimento sionista rivendicava il diritto all’autodeterminazione del popolo ebraico, indicando la Palestina come luogo geografico. Invero l’emigrazione di Ebrei europei era iniziata da tempo, già negli ultimi anni dell’Ottocento, e aumentò alla fine della Prima Guerra Mondiale. Alla Gran Bretagna, tra i Paesi vincitori del conflitto, fu affidata la Palestina, insieme agli attuali Iraq e Giordania, appartenenti, in precedenza, all’Impero turco sconfitto e smembrato. La Società delle Nazioni, antenata dell’Onu, le conferì il Mandato, ovvero l’amministrazione di quei territori fino all’indipendenza degli stessi. Ma la popolazione locale protestò per tale concessione perché la potenza coloniale inglese “aveva dichiarato pubblicamente di voler facilitare l’immigrazione degli Ebrei europei”. I moti di protesta con episodi di violenza contro gli Inglesi e gli Ebrei si moltiplicarono. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Gran Bretagna rimise il Mandato all’Onu, succeduto nel frattempo alla Società delle Nazioni, che approvò la Risoluzione 181 in base alla quale la Palestina venne suddivisa in due Stati distinti, uno ebraico, l’altro arabo. Inoltre Gerusalemme veniva affidata a una giurisdizione internazionale. La decisione fu accolta con favore dalla comunità ebraica, ma contestata da quella araba. Guerriglia iniziale che sfociò in conflitto armato il 15 maggio del 1948 in seguito alla Dichiarazione di indipendenza dello Stato d’Israele. Ebbe inizio, così, la Prima guerra arabo-israeliana. Gli eserciti di Egitto, Transgiordania, Siria, Libano e Iraq attaccarono Israele, ma furono sconfitti. Gli Ebrei legittimarono la vittoria nel’49; conseguenza immediata l’esodo di 700 mila Palestinesi e la questione dei rifugiati rimase uno dei punti irrisolti del conflitto. Pietro Mattonai nello stesso numero di Domino sottolinea quanto sia complessa la situazione pure da un punto di vista sociale, etnico e politico, ricordando gli Arabi rimasti nel nascente Stato d’Israele “colloquialmente indicati come palestinesi del’48”. Mentre per gli Ebrei il ’48 rappresenta il ritorno alla Terra Promessa, per i Palestinesi è la nakba, vuol dire catastrofe, ovvero l’esodo forzato dei 700 mila. Quelli rimasti ottennero la cittadinanza, ma solo formalmente: “Fino al 1966 […] [sono vissuti] in un regime separato e discriminatorio; […] le loro proprietà potevano essere espropriate facilmente dallo Stato, l’inserimento nel mondo lavorativo era piuttosto limitato e, inoltre, non esisteva la possibilità di accedere alla vita politica del Paese”. Dagli anni ’70 in poi le cose sono gradualmente cambiate, soprattutto in politica: “In quegli anni sono nate organizzazioni rappresentative come il Movimento Islamico, dal quale è gemmato per scissione il partito arabo Ra’am, vicino alla Fratellanza Musulmana e che conta cinque seggi nella legislatura in corso alla Knesset [il Parlamento d’Israele]”. Per quanto riguarda la popolazione, più di due milioni sono Arabi, compresi gli abitanti di Gerusalemme Est. Secondo la ricerca di Pietro Mattonai, sono in gran parte giovani; la maggioranza né studia e né lavora e corre il rischio di essere attratta dalla criminalità organizzata diventando manovalanza a basso costo. Nel maggio del 2021 le manifestazioni dei Palestinesi di Gerusalemme contro la decisione della Corte suprema d’Israele in merito allo sgombero di alcuni residenti nel quartiere di Sheik Jarrah hanno lasciato una profonda ferita rallentando di molto il percorso accidentato dell’integrazione e rimanendo sostanzialmente contrapposte. Non solo: “Durante [le manifestazioni] il conflitto tra Hamas e Israele si è intrecciato con la guerriglia urbana degli arabo-israeliani. […] L’attacco [odierno, del 7 ottobre] di Hamas ripropone la questione identitaria e lo fa nella maniera più brutale possibile. […] I miliziani estremisti hanno anche l’obiettivo di soppiantare definitivamente il partito Fatah di Mahmud Abbas [Abu Mazen, Presidente della Palestina]”. Hamas nel messaggio televisivo si è rivolto prevalentemente ai giovani per la sollevazione popolare contro Netanyahu. E ad ulteriore conferma della complessità della situazione israelo-palestinese nel governo del primo ministro israeliano ci sono “formazioni politiche ultraortodosse” che perseguono l’obiettivo di fare diventare Israele uno Stato teocratico. Insomma il governo di Netanyahu è un governo di ultradestra, anche, se sono presenti esponenti arabo-israeliani nel Parlamento: “Lo stesso [Mansur Abbas, capo del partito Ra’am] divenne il primo esponente di un’organizzazione politica araba a entrare in un governo israeliano”, aspramente criticato dai palestinesi che vivono in Israele a causa delle sue posizioni troppo moderate, “connivente con il ceppo ebraico”. Le considerazioni finali di Pietro Mattonai: “Il richiamo di Hamas, senz’altro osceno e sanguinario, si è nutrito anche di questo: della frustrazione che molti arabi israeliani vivono e che, con l’attuale governo di ultradestra e di matrice religiosa di Netanyahu, si è ulteriormente accentuata”.    

Ritornando agli interminabili conflitti e facendo riferimento alla ricerca dell’ISPI, a favore d’Israele anche le guerre con l’Egitto nel ’56; nella Guerra dei Sei Giorni, il ’67; Israele sconfisse anche Giordania e Siria e nel ‘73 la Guerra del Kippur. Nel 1979 i due nemici irriducibili firmarono la pace.  Alla fine di questo stato di belligeranza continua gli Israeliani si insediarono nel 78% del territorio della Palestina; occuparono anche Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Si formarono gruppi e partiti palestinesi di cui la maggior parte confluì nell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP); organizzazione politica di formazione laica che riuscì a diffondere le problematiche e le istanze per le aspirazioni ad una identità nazionale. Ma nel 1982 i quadri dovettero abbandonare il Libano, lacerato dalla guerra civile, dove si trovava la maggioranza dei profughi palestinesi. L’OLP trovò asilo in Tunisia, distante dai territori e la lontananza dai luoghi mediorientali determinò il declino dell’organizzazione. Nel 1987 proteste dei Palestinesi di Gaza e della Cisgiordania contro gli occupanti Israeliani. Le manifestazioni si trasformarono ben presto in rivolta popolare, la Prima Intifada; si protrasse fino al 1993 con un bilancio tragico di vittime: 1900 Palestinesi e 200 Israeliani. In quel periodo “nacque il Movimento della Resistenza Islamica (Hamas), un’organizzazione di stampo islamista, nata da una costola della Fratellanza Musulmana e caratterizzata fin da subito dalla sua intransigenza nei confronti di Israele”. In compenso si avvicinarono per la prima volta le posizioni “delle leadership palestinese e israeliana” con gli accordi Oslo (13 settembre del 1993): nell’ambito della soluzione dei due Stati, si sarebbe dovuto creare uno Stato indipendente palestinese, suddivisi i territori in tre aree con la creazione di un’amministrazione autonoma, l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP). Ma l’ascesa al governo di Israele di Netanyahu nel 1996 bloccò i negoziati.

Tale situazione di stallo provocò la Seconda Intifada; tra il 2000 e il 2005 morirono 5000 Palestinesi e più di 1000 Israeliani. Nel 2002 di nuovo sollevazione popolare dei Palestinesi; venne costruito un muro da Israele per separare i propri territori da quelli palestinesi in Cisgiordania in modo da impedire eventuali attacchi terroristici. Il muro, però, non rispettava la Linea Verde, stabilita nel 1949 fra Israele e il regno di Giordania. Secondo un report dell’Onu: “Il muro separa tra di loro comunità e impedisce l’accesso delle persone ai servizi nonché a strutture religiose, culturali e ai mezzi di sussistenza”.  Da quel momento la situazione è peggiorata: “Presenza militare israeliana in Cisgiordania, […] politica di espansione delle colonie, città e insediamenti israeliani in territorio palestinese, ritenuti illegali dalla comunità internazionale”. Mentre i rapporti tra Israele e altri Paesi (Emirati Arabi, Bahrein, Marocco, Sudan), Accordi di Abramo (2020), si sono normalizzati; la soluzione al conflitto israelo-palestinese, “che le parti nell’accordo avrebbero dovuto promuovere”, non si è concretizzata.

Altra complessità le colonie, gli insediamenti israeliani nei territori palestinesi, ritenuti illegali dal diritto internazionale. Sono più di cento in Cisgiordania, oltre 450 mila coloni, 220 mila a Gerusalemme, 20 mila sulle alture del Golan. Ancora complessità, questa volta nell’ambito della religione: a Gerusalemme ci sono alcuni dei luoghi santi di Ebrei, Musulmani e Cristiani; il Monte del Tempio e il Muro del Pianto, la Moschea di Al-Aqsa e la Basilica del Santo Sepolcro. In un primo momento, nel 1947, l’ONU prevedeva la tutela internazionale. Ma con l’armistizio del 1949 la città fu divisa in Gerusalemme Ovest, controllata da Israele; Gerusalemme Est inizialmente controllata dalla Giordania; poi nel ’67, durante la guerra dei Sei Giorni, conquistò Gerusalemme Est, annessa nel 1980.  Israele continuò con una politica di sgombero dei Palestinesi e di insediamento dei coloni israeliani. Nel 2017 gli Usa hanno riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele. Nel 2018 vi si è insediata l’ambasciata statunitense.

A complessità si aggiunge altra complessità.  Secondo la ricerca dell’ISPI, i rifugiati palestinesi sono circa sei milioni in tutta la regione: “Oltre un terzo vive nei campi profughi in Giordania, Libano, Siria Cisgiordania, Striscia di Gaza e a Gerusalemme Est”. Soltanto la Giordania li ha completamente integrati”. Come ho accennato all’inizio del pezzo, la questione rifugiati è l’ostacolo maggiore; ci aveva già pensato l’Assemblea delle Nazioni Unite con la Risoluzione 194 che stabiliva il rientro in Palestina; ma non è stata affrontata concretamente per lo squilibrio demografico che si verrebbe a creare; aumenterebbe la popolazione araba a discapito di quella ebraica. Si avvantaggerebbero i partiti arabi presenti nella Knesset. La complessità raggiunge livelli sociologici e politici.

Non c’è stato un allargamento del conflitto, anche se permane tesa la situazione al confine con l’Iran e con il Libano. Innumerevoli gli appelli per la pace di Papa Francesco. Le organizzazioni internazionali, le superpotenze e alcuni Stati sono in affannosa ricerca di una soluzione che faccia deporre le armi, ma sono frenati dal comportamento di parte di alcuni Paesi a favore di Israele; altri mostrano evidenti simpatie (eufemismo) nei confronti di Hamas; altri ancora, in ambito arabo, si avvicinano o si allontanano ad intermittenza nei confronti di entrambi a seconda di egoistiche convenienze. In ogni caso non riescono a persuadere Netanyahu che rimane fermo sulle sue posizioni: radere al suolo Gaza City per stanare dai cunicoli Hamas; costi quel che costi, anche il sacrificio di civili, adulti, anziani e minori. Lo stesso vale per i miliziani. Vado a chiudere il pezzo cercando la speranza in ogni dove. I miei nipoti e i figli dei miei nipoti, i figli dell’Umanità quanti anni ancora dovranno attendere perché venga risolta la conflittualità in Medio Oriente e vivere finalmente in un mondo di pace?

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