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Calabria: L’arrivo dei romani e la fine dell’indipendenza
Scritto da Lametino 3 Pubblicato in Francesco Vescio© RIPRODUZIONE RISERVATA
Tra la fine del IV secolo a.C. e i primi decenni del III mutò profondamente l’assetto politico ed istituzionale dell’intera regione, in quanto si affermò, di fatto, il dominio politico e militare di Roma, anche se, formalmente, le varie entità politiche della regione mantennero una loro relativa autonomia, come avvenne del resto nell’intera Italia meridionale. Tali mutamenti furono intimamente connessi all’estensione del dominio di Roma nell’area mediterranea e, in maniera peculiare, allo scontro tra Pirro, re dell’Epiro (grosso modo: l’odierna Albania), e i Romani attratti dalle possibilità di estensione dei loro interessi politici, economici e militari nei territori delle pòleis elleniche, da loro dette “greche” e di altri gruppi etnici come Oschi, Apuli, Lucani, Bruzi.
Va evidenziato che sia i Romani che Pirro intervennero perché sollecitati da governi locali in conflitto tra di loro e non per propria iniziativa: “La morte di Agatocle [Tiranno di Siracusa (360 – 289 a.C.), che aveva assunto il titolo di re, in greco basilèus, era intervenuto militarmente nella regione, N.d.R.] fu per Bruzi e Lucani il segnale della riscossa: tosto i Bruzi ricuperarono Ipponio [L’attuale Vibo Valentia, N.d.R.], momentaneamente perduta, e i Lucani assalirono di nuovo Turi, che da più di due secoli opponeva loro un’insuperabile resistenza. Allora i Turini non potendo ricever soccorsi da Taranto, con cui erano stati fin dall’origine in rapporti ostili, si rivolsero decisamente ai Romani, i quali accolsero favorevolmente l’invito: attirando a sé gli Italioti [Coloni ellenici abitanti nell’Italia peninsulare, N.d.R.], Roma avrebbe chiuso in mezzo alle due branche della sua tenaglia tutti gli Oschi meridionali, sui sentimenti dei quali non c’era da farsi illusioni. Nel 285 un presidio romano prendeva quartiere in Turi, per garantire la città da eventuali assalti dei Lucani, alleati anch’essi, si noti bene, dei Romani. Di parere diverso dagli altri Italioti erano però i Tarantini, che, assai più forti e non intimoriti, per ora, dalla pressione italica, giudicavano invece più pericoloso per loro indipendenza l’intervento di Roma nella Magna Grecia. Proprio il trattato stipulato fra Roma e Taranto nel 302 o nel 301 a.C. doveva divenire casus belli [Caso, motivo di guerra, N.d.R.].
Padroni ormai della Lucania e protettori delle città italiote, i Romani ritennero che questa clausola non fosse più oltre compatibile con la dignità e le esigenze della loro politica: e un giorno dell’estate del 282, una piccola squadra romana di dieci navi, dopo aver navigato lungo le coste del Golfo di Taranto, si avanzò fino al porto della città. Non voleva essere questa una minaccia all’indipendenza della Repubblica italiota e neppure, come sembra, una intenzionale provocazione, ma soltanto una fiera e orgogliosa affermazione di dignità e di potenza, alla quale si poteva sperare, a Roma, che i Tarantini avrebbero fatto buon viso. Non fu così … La volontà di guerra dei Tarantini trova la sua spiegazione nel fatto che essi si erano nel frattempo assicurati l’aiuto di Pirro, re dell’Epiro, il più valente condottiero, allora, del mondo ellenistico, che accarezzava il sogno di riunire sotto il suo scettro tutti i Greci d’Italia e di Sicilia, dopo aver sottratto il Mezzogiorno della penisola al dominio romano e aver cacciato i Cartaginesi dalla Sicilia” (Giulio Giannelli – Santo Mazzarino, Trattato di Storia Romana - Volume Primo – L’Italia Antica e la Repubblica Romana a cura di G.Giannelli, Seconda edizione, Tummnelli Editore, Roma,1962, p.196). L’intervento di Pirro in Italia e in Sicilia inizialmente ebbe dei successi, pagati però a caro prezzo per la perdita di migliaia di uomini, ma la tenace resistenza di Roma alla fine ebbe il sopravvento, sconfitto a Benevento nel 275 a.C. si ritirò dall’Italia, anche perché erano insorti gravi problemi nel suo regno. Roma riuscì in breve tempo ad eliminare quasi tutte le sacche di resistenza e a completare il suo dominio nell’Italia del sud: “Taranto si arrese tre anni dopo (272 a.C.) ai Romani e dovette entrare nella Federazione italica, la quale così, nel 270, coll’aggregazione anche di Reggio, toccava l’estremo confine meridionale della penisola” (Giulio Giannelli – Santo Mazzarino, op.cit. p.198). Dopo tali avvenimenti la storia della regione voltò completamente pagina, sarà legata intimamente, nel bene e nel male, a quella della nuova potenza che si stava affermando sempre più saldamente nell’intera area mediterranea: Roma.