Valle della fiumara Assi. Rovine, il rimosso dell'umanità

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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francesco_bevilacqua.jpgMeteo pessimo su quasi tutte le montagne della Calabria. Ma niente nevicate. Solo nuvole e nebbia. Unica possibilità di tempo discreto sui rilievi del basso versante ionico. Decido. Serre orientali. Alta Valle della Fiumara Assi (comune di Guardavalle). A Pietra di Princi, scendiamo sul greto, guadiamo rocambolescamente e risaliamo sino alla pozza di quella che battezzai, trent'anni fa, Cascata di Pietra Cupa. Ma che, i locali chiamano Schioppu du Barruaccio. Stento a riconoscerla. Tanto i luoghi sono cambiati. Ci arrivai, allora, risalendo per tre ore la fiumara, da Contrada Zezzi, il punto di confluenza dell’Assi con la Mulinelle, vecchio distretto minerario della zona. Oggi abbiamo fatto una strada diversa, che scende da Piano del Gatto. Il vecchio sentiero lungo le gole, infatti, è stato distrutto dalle frane. Un anziano mandriano ci parla di Pietra Cupa Vecchia. Le carte IGM ancora portano i nomi dei villaggi: Zombarella, Salella. Per sentieri attraversiamo le rovine di questi agglomerati di case lillipuziane: sassi di granito, finestre e porte minuscole. Alte su colli. O su pendici terrazzate: le "rasule" dove si coltivava segale, granturco, patate, noci, ciliegi, castagni, ulivi. Trattenute dalle "armacere", i muretti di pietra che cesellano il paesaggio montano delle Serre. I boschi sono grovigli impenetrabili di farnetti, roverelle, lecci. Persino una piccola chiesa, forse di origine bizantina. Qui vissero contadini e pastori fino alle alluvioni degli anni '50 e '70. Poi furono tradotti altrove. L'Italia del boom economico non poteva permettersi "popolazioni selvagge" sperse nelle montagne. Occorreva modernizzare. Eppure quella gente aveva vissuto, da sempre, di ciò che la valle le offriva: non avrebbero abitato quei luoghi per secoli se la valle non fosse stata generosa con loro! La storia ufficiale ci dice che fu l'alluvione. I luoghi contraddicono la storia: fu un esodo forzato. Ancora una volta le rovine parlano a chi serba memoria, a chi sa ascoltare. Mi sovviene l’idea che la cura che gli archeologi hanno per le rovine è, in fondo, una pratica alchemica, magica, sciamanica, per suscitare memoria. Lo “scavo” è ascolto di voci sepolte che ci invocano, ci incitano al ricordo, desiderano tornare a vivere attraverso e con noi. Per alleviarci il peso di un presente ignaro e senza storia. Il passato, in fondo, è il rimosso dell’umanità che riaffiora in forma di rovine.

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