Lamezia Terme - L’Osservatorio delle Due Sicilie, Associazione Culturale che da 11 anni si propone di divulgare le vicende storiche del Mezzogiorno d’Italia, esprime solidarietà all’istituto comprensivo Pietro Ardito - Don Bosco replicando alle osservazioni del presidente del Comitato provinciale di Reggio Calabria dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano Vincenzo De Angelis e il presidente della Deputazione di Storia Patria per la Calabria, Giuseppe Caridi.
La stessa Associazione, in collaborazione con l’Istituto, è curatrice e proponente del progetto dell'Istituto Comprensivo Ardito - Don Bosco che si sta svolgendo nella Scuola Secondaria di primo grado Pietro Ardito ed esprime “grande sorpresa in merito all’attacco dei giorni scorsi, a danno della scuola, da parte dei presidenti dell’Istituto per la Storia del Risorgimento, Comitato provinciale di Reggio Calabria e della Deputazione di Storia Patria per la Calabria. Pur capendo le possibili rimostranze di tali organismi contro le verità che stanno venendo fuori dai risultati delle ‘vere’ ricerche e ottenuti incrociando e comparando archivi italiani spagnoli, maltesi e francesi negli ultimi 50 anni; rendendo giustizia e facendo chiarezza sugli eventi storici del periodo pre e post unitario e del cosiddetto ‘risorgimento’, veicolati da oltre 160 anni e infarciti di miti e di leggende che non reggono più alla verifica delle prove documentali; non se ne condividono assolutamente né i toni né i modi. La cosa che appare ai lettori, da queste loro pubbliche lamentele, è che le stesse costituiscono un attacco gratuito, senza che gli autori conoscano minimamente i contenuti relazionali del progetto (cosa che peraltro traspare dall’errato titolo: Briganti e Emigranti da essi riportato nell’indicare l’appuntamento di maggio 2024, il cui corretto titolo è invece: Briganti ed…Emigrati, a voler sottolineare la consequenzialità storica degli eventi) e la preparazione storico-culturale delle persone che lo stanno portando avanti. Persone che indirettamente vengono tacciate addirittura di ‘esaltare il Regno delle Due Sicilie e, tra le altre cose, di omaggiare i briganti e i cartelli criminali del tempo' e di 'inculcare sentimenti separatisti nei giovani calabresi’. Queste illazioni, assolutamente da rigettare, classificabili con la terminologia attuale come ‘fake news’, palesano un chiaro nervosismo del quale si può capire l’interesse e il proposito, ma non sono da ritenersi accettabili perché non circostanziate e soprattutto basate su mere supposizioni”.
“L’Associazione Culturale Osservatorio delle Due Sicilie respinge il tentativo di dipingerla come un covo di pericolosi reazionari – spiegano - Si sottolinea, al contrario, come la visione politica che ne guida l’azione e le iniziative sia la Costituzione, così come promulgata nel 1947 e mai di fatto applicata (ci si rifà in particolare all’articolo 3 dove si parla di pari dignità ed uguaglianza per tutti i cittadini), operando con la stessa logica che i due istituti protagonisti dell’attacco giornalistico dicono di interpretare, ossia lo studio della storia dell’Italia nel periodo del Risorgimento. Di sicuro nessun istituto risulta sia mai stato demandato per legge a studiare e raccontare la storia; giova, a tal proposito, ricordare che la storia si scrive con i fatti che si evincono dallo studio di documenti degli archivi, dai documenti processuali, dai verbali delle commissioni d’inchiesta, dalle audizioni parlamentari e non con le supposizioni. A tal proposito con la presente si respinge anche l’accusa di voler omaggiare i briganti ed i cartelli criminali del tempo; esiste ormai una letteratura sterminata su questi argomenti, su chi fossero effettivamente i briganti e su chi portò le mafie meridionali al governo dello Stato nascente nel 1861, come in copiose pubblicazioni anche recenti continua ad essere riportato: ‘La partecipazione camorrista ai movimenti del Quarantotto’, cap 2, pag. 75; ‘1860, ovvero i mesi del crollo’, cap 6, par. 6.3, pag. 246, nel quale si legge anche […] Com’è noto, la guardia di polizia integrata dai camorristi in coccarda tricolore funzionò per tutto il periodo della Dittatura garibaldina […], pag. 251 (Fiore, A., 2019. Camorra e polizia nella Napoli borbonica (1840-1860), Università degli Studi di Napoli Federico II. Clio. Saggi di scienze storiche, archeologiche e storico-artistiche, Federico II University Press, Napoli, DOI: 10.6093/978-88-6887-061-4). Fin da subito invitiamo i presidenti di tali Istituti, il cui impegno avrebbe necessità di miglior causa, (infatti ci saremmo aspettati parole di biasimo contro quei partiti politici che hanno nel loro statuto sociale l’obiettivo dichiarato di dividere l’Italia e non contro chi cerca di capire i motivi della dualità tra nord e sud d’Italia) in un pubblico dibattito sulla storia della Calabria e dell’intero Mezzogiorno e sulla vera causa della ‘questione meridionale’. Ovviamente li si invita anche ad assistere agli incontri culturali che periodicamente l’associazione organizza, per avere contezza dei contenuti storico documentali, prima di esprimere giudizi affrettati e gratuiti, magari anche con argomenti diversi, anche riguardanti ‘i diritti politici, civili e gli spazi di libertà’, di cui purtroppo nella nota pubblicata non troviamo traccia. Indubbiamente la storia la scrivono i vincitori a loro uso e consumo e la nostra, da oltre 160 anni a questa parte, ha creato solo equivoci e stereotipi senza basi né scientifiche né sociali. Da parte nostra, c’è invece la dignità di popolo meridionale (al quale, come nell’esempio de ‘la Leopolda’ toscana, della Serenissima Repubblica veneta, con uguale dignità si fa conoscere anche la bandiera del Regno delle Due Sicilie) e, discendenti dei vinti del 1861, non ci si rassegna ad accettare la oramai stantia favolistica dei 1.000 vincitori contro un intero esercito ben equipaggiato, ma semmai si studiano e divulgano i fatti storici appurati, come, ad esempio (nel caso specifico) la lettera del 1868 di Garibaldi ad Adelaide Cairoli nella quale il nizzardo scrive ‘[…] io ho la coscienza di non aver fatto male, nonostante non rifarei oggi la via dell’Italia Meridionale, temendo d’esservi preso a sassate da popoli che mi tengono complice della disprezzabile genia che disgraziatamente regge l’Italia e che seminò l’odio e lo squallore ove noi avevamo gettato le fondamenta d’un avvenire italiano, […]’. Non nuoce, ricordare che già nelle aule parlamentari, l’8 giugno del 1864 il deputato Minervini affermava: ‘Quei poveri cafoni, che avevano combattuto o erano stati simpatizzanti dei briganti, nei quali riconoscevano le loro idee di lotta e di amore per una patria reale, fatta di piccole cose, di modeste realizzazioni, di pane e libertà, di vita frugale; che erano contro tutti quelli che gridavano per una patria costruita a tavolino, astratta, ideata, pensata appositamente per l'agiografia e per gli alibi dei potenti e dei prepotenti che non intendevano cedere i privilegi acquisiti da secoli, quei poveri cafoni pagarono da soli il prezzo dell'unità d'Italia’”.
“In ultimo – concludono - appare inspiegabile, anacronistico e anche inquietante l’accostamento confusionale che, sempre nella nota pubblicata, ancora si fa fra mafia e brigantaggio come logica consecutio, ma d’altronde, basta semplicemente citare Enzo Ciconte, uno dei massimi esperti di mafia in Italia, per annientare tale superficiale affermazione: ‘I due fenomeni non sono assimilabili o paragonabili in alcun modo, perché sono distinti e separati sul piano temporale, geografico e politico’”.
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