“Una galinea di tanti anni fa”, la riflessione della docente Enza Sirianni

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Lamezia Terme – Nel lunedì di Pasquetta la professoressa di lettere, ora in pensione, Enza Sirianni, in un tuffo nel passato ricorda una Galinea: la Pasquetta di tanti anni fa, e le antiche tradizioni della città.

"Tra le mie letture recenti, ho intercettato Maria Pierani che nel suo libro “L'ascoltatrice”, oltre a soffermarsi sulla necessità di chinarsi ad ascoltare per mitigare il senso di solitudine e di sradicamento così diffusi oggi per ragioni varie, evidenzia l'arte del rammentare che è un raccontare ricordando. Lo so che sono passati i tempi delle “rumanzelle” dei nostri nonni che, almeno per quanto mi riguarda, mi venivano narrate soprattutto dalla mia nonna materna, con evocazioni quasi mitiche, persino quando parlava di cose accadute realmente, di consuetudini, di modi di vivere dei nostri antenati, delle loro storie incastonate nella grande Storia. E quante di quelle memorie si sono scolpite nella mia riserva di ricordi e ho ritrovato, divenuta adulta, nel patrimonio storico-culturale di noi meridionali! Solo un flash, prima di raccontare di una pasquetta di circa 50 anni fa, per dire che, a distanza di anni e attraverso i miei studi, ho capito perché la nonna quando sentiva parlare di Napoli, la definiva la capitale. Ma quella è un'altra storia. Riprendendo la Pierani, con molta umiltà mi faccio “rammentatrice”, additando una “piccola meraviglia dimenticata”: la tradizione della galinea calabrese che corrisponde alla pasquetta odierna e meglio ancora, al pasquone festeggiato il martedì dopo Pasqua.

Non mi soffermo sulle origini del nome né sul perché fino a pochi decenni fa a Lamezia e, in generale, nella nostra regione, vi fosse l’abitudine di andare a fare la scampagnata fuori porta, essendo stata esaurientemente illustrata da altri questa nostra usanza.  Piuttosto vorrei cercare di sottrarre all'oblio, partendo da una foto, momenti di vita insieme, trascorsi in semplicità, spensieratezza, spirito di amicizia, disinteresse. Lo scatto ritrae un gruppetto di amici che decisero di fare la galinea in una zona vicina alla città. Stipati in una macchina, raggiunsero contrada Mortilla. Lungo la strada vi erano distese di ulivi, senza recinzioni, punteggiati da radiose acetoselle. Dove fermarsi? Là, a pochi metri della provinciale, su un bel tratto piano, e tirare fuori il tavolino, qualche sediolina, una gabbietta per sgabello. Su questo essenziale desco, la moglie di uno dei presenti, dispose il “mangiare”. Ognuno, comunque, aveva portato qualcosa da casa che, secondo la tradizione tipica pasquale, spaziava dalle uova bollite alla guastella /pitta china, alle frittate di asparagi, salsiccia e ricotta o di code di cipolla, una soppressata, cuzzupe per dolce e l'immancabile fiasco di vino. Tutto qua, ma quanta ricchezza e che allegria!  Questi amici erano, per così dire, attrezzati, ma molte galinee si svolgevano semplicemente intorno ad una tovaglia stesa sul prato.

I luoghi prescelti erano vicini alla città, raggiungibili a piedi, in bicicletta o in moto, giacché non tutti avevano la macchina e non c'erano a disposizione neanche i mezzi pubblici per spostarsi da un capo all'altro. Un bus per il tempo libero cominciò ad essere di servizio d’ estate, per quelli che desideravano andare alla “marina”, di solito Gizzeria lido con i suoi primi stabilimenti balneari. Chi ricorda il Lido Sant’Antonio, Il Flavio Gioia, il Miramare, Costantino?  Anche questa è un'altra storia. Torniamo a quegli amici della foto e, chiudendo gli occhi, immaginiamo queste felici aggregazioni sparse per il circondario. Si andava al Soccorso, a Scinà, a Capizzaglie, alle amene campagne tra Nicastro e Sambiase, fino a Caronte, San Sidero e la via del mare. La città cominciava ad espandersi verso nuove zone ma non era affatto difficile trovare un confortevole posticino nel verde a due passi.  Le ore trascorrevano rapide, in chiacchiere amabili, scherzando, ridendo, sbocconcellando le pietanze tolte fuori dagli "stujavucchi" di lino bianchi o a quadrettoni di robusto cotone e sorseggiando dai bicchieri di vetro (si era quasi plastic free) un po' di vino di produzione locale. Qualcuno, magari, portava una chitarra, un organetto, e si cantava e suonava. Costo? Quasi zero. Anche perché nelle tasche dei più giovani c'era “truscia” e non esistevano certo le paghette o le regalie dei nonni. Altri tempi... Mi preme dire che ai quattro presenti nella foto, da sinistra nell'ordine signor Geppino Di Bianco, signor Umberto Ferrari, signor Nino Amendola, signor Franco Scaramuzzino, poco dopo si aggiunse il dottor Franco Zofrea, primario del laboratorio analisi dell'ospedale, figura di medico e di uomo davvero indimenticabile per la sua straordinaria umanità e la sua attenzione a tutti, senza distinzione di rango e di portafoglio. Anzi, per sottolineare questo aspetto del dottore Zofrea, chi ancora vive di quella comitiva, racconta che dopo la scampagnata, gli chiese -si badi bene- in un giorno festivo e di libertà dal lavoro, di accompagnarlo nella sua visita ai malati all'ospedale. Il medico non era né tenuto per servizio, né gli era richiesto, ma il dottore Zofrea mai si sarebbe ritirato a casa se non avesse fatto sentire la sua premurosa presenza a chi, per sorte, in quel momento era in un letto. Girava reparto per reparto, stanza per stanza, salutando tutti, stringendo la mano ai pazienti come per dire: amico, coraggio, ce la farai, non sei solo. Un precursore della società del dono e della cura, oggi tanto auspicata e di cui parla spesso papa Francesco. Così, nella Lamezia di pochi decenni fa, si onoravano le tradizioni, il senso della festa, il sacro valore dell'amicizia, la gratuità. Eh, sì, siamo stati anche questo. Ricordarlo fa bene nel mondo delle amnesie obbligate (Eduardo Galeano), della gigantesca scopa globale che spazza via tutto (Milan Kundera), dell'espulsione dell'altro (Byung-Chul Han), della guerra, brutta bestia che gira il mondo e non si ferma mai (Antonio Lunardi)". 

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