Lamezia, dirigente Manzoni-Augruso: "Laicità della scuola è garanzia di libertà e integrazione"

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Lamezia Terme - “Un’importante pagina per la comunità scolastica dell’istituto Manzoni-Augruso ha rappresentato la condivisione collegiale del documento sulla laicità della scuola”, redatto dalla dirigente scolastica Antonella Mongiardo, riportato anche dal sito nazionale di informazione scolastica “La tecnica della scuola”. Il documento - fanno sapere - recepisce le istanze di una comunità scolastica che esprime l’attaccamento alle proprie tradizioni ma, nel contempo, considera la diversità di culture, di tradizioni e fedi religiose una preziosa risorsa di crescita culturale e umana. In quest’ottica, la laicità non è vista come assenza di religione, ma esattamente al contrario.

“Cosa vuol dire laicità della scuola? Una domanda semplice, in apparenza - si legge nel documento - che negli anni ha attraversato correnti di pensiero diverse e, talora, contrapposte, fino a giungere, in tempi recenti, ad interpretazioni restrittive e fuorvianti che identificano la laicità con assenza di religione nelle scuole. È questo l’incipit del documento, “che non è un regolamento scolastico in senso stretto - spiega la preside Antonella Mongiardo - ma una ricostruzione, pedagogica e normativa, del vero significato di laicità, che non è da intendersi come indifferenza verso la religione, bensì come garanzia di libertà di pensiero e di integrazione culturale”. Nell’ampia disamina, che è stata condivisa all’unanimità sia dal Collegio dei Docenti che dal Consiglio di Istituto dell’IC Manzoni-Augruso,  viene chiarito che “lo stato laico è quello che riconosce l’eguaglianza di tutte le confessioni religiose, senza concedere particolari privilegi o riconoscimenti ad alcuna di esse, e che riafferma la propria autonomia rispetto al potere ecclesiastico, e che il laicismo si identifica con una concezione più ampia e complessiva della cultura e della vita civile, basata sulla tolleranza comprensiva delle credenze altrui, sul rifiuto del dogmatismo in ogni settore della vita associata, anche al di là dell’influenza diretta dell’istituzione religiosa dominante. In una realtà sociale come quella di oggi- si legge- dove il cedimento dei valori etici e l’affermazione di nuovi stili educativi, talvolta discutibili, interferiscono spesso con l’azione formativa della scuola, è sempre più arduo realizzare quell’auspicata corresponsabilità educativa tra scuola e famiglia, che dovrebbe essere la base dello sviluppo identitario dei giovani. Le nuove generazioni stanno crescendo in un’epoca in cui si fa sempre più sfocato il confine tra i ruoli e le responsabilità, con una conseguente perdita di autorevolezza, sia della scuola sia della famiglia, che devono essere, invece, i due più importanti avamposti pedagogici della società. E’ proprio nella prospettiva di un recupero di valori e di una più forte alleanza tra scuola e famiglia che si inserisce la dimensione sociale dell’elemento religioso nella scuola. E non potrebbe essere altrimenti, dal momento che essa permea tutta la nostra tradizione culturale, la nostra società, i nostri valori e i nostri linguaggi”.

 

D’altro canto l’insegnamento della Religione cattolica è una disciplina istituzionale, presente nella scuola pubblica e affidata spesso a religiosi approvati dall'autorità ecclesiastica. Un insegnamento che, pur nell’avvicendarsi di governi e diverse forme di Stato, non è mai venuto meno. Dall’unità d’Italia ad oggi, questa particolare disciplina è sempre stata parte integrante del progetto educativo dell’istruzione nazionale. “È evidente, peraltro - si legge in una nota - il senso della sua presenza nella scuola. Nell’ambito della sfera prettamente didattica, eliminare la religione cattolica significherebbe svuotare la nostra cultura, dal momento che il patrimonio culturale e artistico del nostro Paese custodisce tesori inestimabili in gran parte a tema cattolico-cristiano; e significherebbe snaturare la nostra stessa identità storica, che si è forgiata, nel corso dei secoli, a stretto contatto con la dottrina cattolica”.

 

La preside Mongiardo rimarca che “nella stessa normativa scolastica la religione cattolica svolge un ruolo fondamentale e costruttivo per la convivenza civile, in quanto permette di cogliere importanti aspetti dell’identità culturale di appartenenza e aiuta le relazioni e i rapporti tra persone di culture e religioni differenti. A riprova di ciò, la preside sottolinea che “l’unico riferimento esplicito alla laicità della scuola lo si rinviene nelle Indicazioni Nazionali del curricolo, laddove si parla dell’Insegnamento della Religione Cattolica, ma non per limitarla, bensì per salvaguardare il diritto dell’alunno a non avvalersene, facendo risaltare così l’effettivo significato della laicità nella scuola. Una laicità che non si adagia nell’indifferenza verso i valori religiosi, ma che, al contrario, rafforza la funzione educativa della scuola, rivolta anche al rispetto delle scelte e all’integrazione di differenti culture”.

 

“La Scuola Italiana - si legge nelle Integrazioni alle Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione - si avvale della collaborazione della Chiesa cattolica per far conoscere i principi del cattolicesimo a tutti gli studenti che vogliano avvalersi di questa opportunità. L’insegnamento della religione cattolica (Irc), mentre offre una prima conoscenza dei dati storico-positivi della Rivelazione cristiana, favorisce e accompagna lo sviluppo intellettuale e di tutti gli altri aspetti della persona, mediante l’approfondimento critico delle questioni di fondo poste dalla vita. Per tale motivo, come espressione della laicità dello Stato, l’Irc è offerto a tutti in quanto opportunità preziosa per la conoscenza del cristianesimo, come radice di tanta parte della cultura italiana ed europea. Stanti le disposizioni concordatarie, nel rispetto della libertà di coscienza, è data agli studenti la possibilità di avvalersi o meno dell’Irc”. Ma il significato “laico” dell’insegnamento religioso nella scuola, prosegue la nota “ha anche un fondamento giuridico. Il principio di laicità dello Stato, così come delineato nella giurisprudenza costituzionale, è la sintesi di più disposizioni costituzionali, ossia degli artt. 2-3, 7-8, 19 e 20 Cost., ove assume un ruolo centrale “la salvaguardia della libertà religiosa in regime di pluralismo religioso e culturale” (Corte cost., sent. n. 203 del 1989). Il principio della libertà di scelta viene richiamato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n°203/1989. Nel documento viene riportata anche la giurisprudenza relativa alla legittimità della benedizione o atti di culto nelle scuole. Il Consiglio di Stato, con sentenza n.1388 del 27 marzo 2017, riconosce la possibilità delle benedizioni religiose a scuola in orario extrascolastico. Nel contempo, però, il CdS pone dei limiti ben precisi all’attività di culto nella scuola, conciliando il principio di laicità della scuola con la libertà di partecipazione ad iniziative culturali o di espressione religiosa e garantendo l’autorevolezza dell’esercizio dell’autonomia scolastica.

Il Consiglio di Stato, precisa: “tale rito – avvenuto a scuola ma in orario non scolastico – va accolto al pari di un’attività parascolastica e la natura religiosa dell’evento non può ritenersi un elemento discriminatorio”. Viene, quindi, riportato, il passaggio conclusivo della sentenza del CdS: “Com’è noto, la benedizione pasquale è un rito religioso, rivolto all’incontro tra chi svolge il ministero pastorale e le famiglie o le altre comunità, nei luoghi in cui queste risiedono, caratterizzato dalla brevità e dalla semplicità, senza necessità di particolari preparativi. Il fine di tale rito, per chi ne condivida l’intimo significato e ne accetti la pratica, è anche quello di ricordare la presenza di Dio nei luoghi dove si vive o si lavora, sottolineandone la stretta correlazione con le persone che a tale titolo li frequentano. Non avrebbe senso infatti la benedizione dei soli locali, senza la presenza degli appartenenti alle relative comunità di credenti, non potendo tale vicenda risolversi in una pratica di superstizione. Tale rito dunque, per chi intende praticarlo, ha senso in quanto celebrato in un luogo determinato, mentre non avrebbe senso (o, comunque, il medesimo senso) se celebrato altrove; e ciò spiega il motivo per cui possa chiedersi che esso si svolga nelle scuole, alla presenza di chi vi acconsente e fuori dall’orario scolastico, senza che ciò possa minimamente ledere, neppure indirettamente, il pensiero o il sentimento, religioso o no, di chiunque altro che, pur appartenente alla medesima comunità, non condivida quel medesimo pensiero e che dunque, non partecipando all’evento, non possa in alcun senso sentirsi leso da esso. Deve quindi concludersi che la “benedizione pasquale” nelle scuole non possa in alcun modo incidere sullo svolgimento della didattica e della vita scolastica in generale. E ciò non diversamente dalle diverse attività “parascolastiche” che, oltretutto, possono essere programmate o autorizzate dagli organi di autonomia delle singole scuole anche senza una formale delibera”. Ovviamente, la partecipazione ad una qualsiasi manifestazione o rito religiosi (sia nella scuola che altrove) non può che essere facoltativa e libera, non potendo non godere, solo perché tale, di minori spazi di libertà e di minore rispetto di quelli che sono riconosciuti a manifestazioni di altro genere, nonché tollerante nei confronti di chi esprime sentimenti e fedi diverse, ovvero di chi non esprime o manifesta alcuna fede”.

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