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Calabria: frontiera spagnola tra incursioni turche, torri e… rinnegati
Scritto da Lametino 5 Pubblicato in Francesco Vescio© RIPRODUZIONE RISERVATA
La dominazione spagnola nel Vicegno di Napoli perdurò per poco più di due secoli; la Calabria era parte integrante del Vicereame e per la sua posizione geografica nel Mediterraneo fu terra di scontro tra Spagnoli e Turchi Ottomani, che tendevano a espandersi sempre più verso l’Europa sia per terra, principalmente nei Balcani, da dove giunsero ad assediare Vienna, sia per mare con diverse incursioni nelle terre dell’Italia meridionale, allora sotto la sovranità spagnola. Si trattò di un conflitto lungo e oneroso tra due grandi potenze, che vi impegnarono ingenti risorse in uomini e mezzi. Di seguito si farà un quadro sintetico delle forze in campo per poi passare ad esaminare le peculiarità del coinvolgimento della Calabria in tale scontro delle due superpotenze di allora. Gli aspetti più significativi del conflitto riguardo alla Spagna sono così delineati nel passo che segue: “I rapporti economici sempre più intensi tra l’Europa e le colonie americane non fecero diminuire d’importanza, nel corso del Cinquecento, i tradizionali traffici del Mediterraneo. Nel settore occidentale la Spagna intensificò gli scambi con i territori italiani in cui aveva istaurato il suo dominio. L’economia mediterranea non mostrava, almeno in superficie, segni di decadenza e nessuno avrebbe potuto prevedere, intorno alla metà del secolo, il divario, che pure si veniva formando, tra una economia mediterranea tendenzialmente depressa e una zona economica nord-occidentale (Inghilterra, Olanda, Francia) in via di sviluppo e di trasformazione.
Le differenze, riguardanti la struttura della società e l’organizzazione produttiva, non erano così profonde come sarebbero apparse in seguito. Genova, per esempio, era un centro finanziario di prim’ordine; la Sicilia, per la sua produzione granaria, continuava ad avere la stessa importanza economica che aveva avuto in passato; l’esportazione di seta italiana aveva avuto un incremento con l’apporto della produzione calabrese, le manifatture lombarde mantenevano il loro prestigio […] Le difficoltà derivavano soprattutto dalla pressione che l’impero ottomano, con la sua organizzazione accentrata, la sua efficienza militare, la sua struttura burocratica e anche con la sua tolleranza religiosa, esercitava sul mondo mediterraneo. L’impero turco occupava in Europa tutta la penisola balcanica fino al Danubio e alla Sava. La sua influenza si estendeva fino in Ungheria, il cui possesso era conteso agli Asburgo, e sui principali vassalli di Transilvania, Moldavia e Valacchia (attuale Romania) […] Un grande problema, dunque, per Filippo II [Il re di Spagna, succeduto a Carlo V, N.d.R.] non meno importante della <<lotta contro l’eresia>> […] Il suo problema era la conquista e la difesa delle coste africane prospicienti alla Spagna e alla Sicilia; e qui, contro i pirati barbareschi, si svolse inizialmente la sua azione, sulle orme di quella che aveva condotto Carlo V, con la conquista di alcune piazzeforti del Marocco […]” (Rosario Villari, Mille Anni di Storia – Dalla Città Medievale all’Unità dell’Europa, Laterza, Roma-Bari, 2000, pp. 207 -209). Per delineare le caratteristiche più peculiari dello Stato turco nel periodo storico preso in esame si riporta il brano successivo: “L’Impero ottomano conosce nel XVI secolo la sua età aurea: con i sultani Selim I e Sulayman I (Solimano il Magnifico ) si verifica una notevole crescita territoriale; il loro Impero è padrone della maggior parte del Mediterraneo e controlla tutte le vie che provengono dall’Africa o dall’Asia. I successi riportati su Carlo V, la saggia amministrazione delle province sono elementi di uno stato al suo apogeo.
L’Impero ottomano, il cui splendore è rinforzato da un movimento artistico considerevole, una specie di Rinascimento orientale, è allora la prima potenza del Vecchio Mondo […]. Ma a causa della sua vicinanza immediata, questo suo splendore diventa allora anche una delle maggiori preoccupazioni degli europei” (---Le grandi date Islam, a cura di Robert Mantran, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1991, p. 142). La Calabria fu coinvolta pesantemente nel conflitto e subì varie incursioni, che destavano insicurezza nella popolazione e sconvolgevano le attività produttive, principalmente nelle zone costiere. Il quadro generale della situazione viene ben delineato nel testo seguente: “La creazione delle <<reggenze>> di Tripoli, Tunisi ed Algeri ebbe una influenza sociale ed economica di grande importanza sui paesi latini, e in special modo sull’Italia meridionale. La Calabria doveva contribuire possentemente alla formazione dei nuovi Stati musulmani, ma ne subiva, in ricambio, tutti gli svantaggi per un cumulo di circostanze dovute alla sua posizione geografica, ed alle condizioni eccezionali del complesso economico – politico di cui faceva parte […] Le sue coste si aprivano al flutto delle incursioni, e le campagne, i borghi, le città calabresi scontavano il tributo di uomini e di cose. Epperò, esso tributo, per la politica dello straniero dominante, risultava in pura perdita. Non solo, ma ipotecava l’avvenire, in quanto la missione difensiva a cui era stata obbligata, non permetteva alla Calabria un normale traffico con l’Africa e l’Oriente vicino” (Achille Riggio, Gli Stati Barbareschi e La Calabria, 1535 -1816, in ‘ Il Ponte, Anno VI- N.9-10 ’La Nuova Italia, Firenze, Reprint, Editoriale Bios, 1994, pp.1042-1046). Il brano successivo entra nel vivo della problematica affrontata e riporta alcuni esempi di incursioni dei barbareschi in Calabria: “Da San Lucido a Stilo, da Camini a Trebisacce, non vi fu borgo o città che non subisse devastazioni e saccheggi, crudeltà e eccidi inauditi, tanto da costringere talvolta la popolazione a trovare rifugio altrove. È il caso di Cirella, la cui devastazione da parte dei corsari di Biserta determinò non solo l’emigrazione forzata degli abitanti a Maierà, a Diamante, ma anche la fondazione di un nuovo centro. A nulla era valso l’intervento del castellano che, intuito il pericolo, aveva fatto suonare a stormo le campane. Al riguardo, una vecchia canzone calabrese, rimasta salda nella tradizione popolare: All’armi! All’armi! La campana sona / Li Turchi su calati alla marina: / chi n’ha le scarpe rutte si le sola / nun’ha paura di pigliare spine conferma come, tempore piratarum [Espressione latina: <<al tempo della pirateria>>, N.d.R.], corresse l’obbligo di segnalare l’avvistamento della flotta turco – barbaresca e, quindi, l’imminente pericolo specie in casi di assalti improvvisi e notturni, con il suono delle campane, spesso sostituito da altri sistemi di allarme (fuoco di notte, fumo di giorno). Saccheggi e incendi caratterizzarono la storia di Reggio, più volte assalita dai musulmani nel corso del Cinquecento fino alla distruzione da parte del Cicala nel 1594” ( Mirella Mafrici, La Calabria, Il Regno di Napoli, Il Contesto Europeo, in ‘Storia della Calabria nel Rinascimento - Le Arti nella Storia’, Gangemi Editore, Roma - Reggio Cal., 2002, p.339). Un notevole e costoso impegno richiese la difesa delle coste calabresi sia in uomini sia in mezzi, tra questi di notevole importanza furono ritenute le fortificazioni per come si può evincere dal passo seguente: “Fortificazioni, piazzeforti, torri costiere costituirono gli àmbiti dell’intervento napoletano nelle Calabrie ove si alternarono, nella progettazione e nella realizzazione degli impianti difensivi, tecnici italiani (bergamaschi, pugliesi, toscani) e spagnoli.
Intensa, infatti, fu l’attività costruttiva per la ristrutturazione delle fortezze, ispezionate da Juan Sarmientos nel 1536: questi, nella relazione inviata a Carlo V, esponeva le precarie condizioni delle fabbriche di Cotrone, di Tropea e di Amantea, che non avevano alcuna importanza militare e non erano idonee alla difesa dei centri abitati né dalla terra né dal mare, prive come erano di munizioni e di generi di prima necessità […] Ben si comprende, quindi, come la <<visita>>, ovvero l’ispezione alle strutture difensive calabresi, rivestisse una notevole importanza nell’età viceregnale: visita che, in genere, attestava la volontà del governo napoletano di mantenere in efficienza l’apparato difensivo della regione” ( Mirella Mafrici, Ibidem, pp.344-345). Nello stesso periodo storico tanti calabresi combatterono con Turchi, secondo le modalità indicate nel brano che segue: “Nel <<bagno>> e nel lavoro collettivo delle opere pubbliche per conto dello Stato barbaresco, lo schiavo calabrese aveva modo di sfaccettare la passata esistenza, concepiva motivi di rivolta contro la casta feudataria della sua terra natale, raffrontare, considerare il presente. Naturalmente, a parte le blandizie o la sognata libertà, negli intelligenti più animosi si maturava l’idea della conversione, rafforzata, spesso, da vecchi rancori per le ingiustizie patite. E Tunisi, Algeri e Tripoli si popolavano di rinnegati ardenti. Essi riallacciavano con la patria relazioni abbandonate; si dedicavano al commercio; coprivano cariche pubbliche, fiancheggiavano principi e sovrani; divenivano <<rais>>, ossia comandanti di navi corsare; spesso, ammiragli della flotta ottomana […] A un dato momento la corsa barbaresca, per la Calabria, aveva assunto l’autentica forma di una guerra di classe. Servi del feudo aspettavano sulle marine il passaggio di navi corsare per farsi imbarcare. I <<cavallari>> delle torri costiere non avvertivano i rurali - sparsi per le campagne – dell’apparire di flottiglie sospette. Uomini del sacerdozio si rivoltavano alla nobiltà spagnola; organizzavano bande di villani armati, si collegavano ai musulmani. Alla Spagna, però, era sufficiente il ruolo difensivo della Calabria, lucroso diversivo per i barbareschi, ed a vantaggio esclusivo delle marine iberiche” (Achille Riggio, op.cit., pp. 1044-1045). Quanti e quali intrighi nella sofferente Calabria di allora!