Lamezia Terme - Riceviamo e pubblichiamo il ricordo del giornalista Gianfranco Manfredi su Francesco Gigliotti, sostituto procuratore della Repubblica a Savona, Parma e Sassari.
Era ritornato a Lamezia per pochi giorni giusto un anno fa, Francesco Gigliotti venuto a mancare nella sua casa di Parma e per il quale oggi pomeriggio verranno celebrati i funerali laici nella città emiliana. Non ce l’aveva fatta a superare, sere fa, un improvviso arresto cardiaco insorto mentre riposava. Se n’è andato a settantadue anni in punta di piedi, così come quando tornava saltuariamente nella sua città natale, senza preannunciarsi “per non turbare in alcun modo – diceva – i programmi, gli impegni e i ritmi di vita degli amici”. Magistrato dal 1983 (aveva scelto di andare in pensione nel 2012), era rimasto sempre molto legato a Lamezia e alla Calabria. Intellettuale brillante e curiosissimo, appassionato di letteratura e teatro, ha suscitato con la sua dipartita un silenzio doloroso di profondo cordoglio e affetto fraterno tra i tanti che hanno avuto la fortuna di incontrarlo e frequentarlo. Personalmente lo conoscevo in pratica da sempre. Fin da quando frequentavamo la parrocchia di Santa Maria Maggiore, nell’antica chiesa dell’ex-Convento di San Francesco d’Assisi. Dove lui - qualche anno più grande - serviva messa ed io facevo parte della “nidiata” seguita dal parroco di allora, il buon don Antonio Pileggi.
Primogenito, aveva perso il padre, Ferdinando, da giovane e s’era assunto precocemente molte responsabilità affiancando la madre al timone della famiglia, composta anche dai fratelli minori, Ottorino e Italia (“Lia”). Liceale al Classico “Francesco Fiorentino” (nella vecchia sede del convento domenicano), fu tra i protagonisti del movimento studentesco lametino di mezzo secolo fa. Più delle manifestazioni di piazza, la sua “trincea” erano però la battaglia delle idee, la scrittura e il teatro. Mise in scena, con una battagliera filodrammatica, due lavori teatrali che guardavano molto all’avanguardia e al teatro dell’impegno civile e politico. Lui era regista ma anche autore con un nom de plume, Grotz, che finì col creare non poco imbarazzo quando un importante docente osservò “come mai avete scelto proprio Grotz, un autore tedesco così difficile?”. Francesco fu anche, alla fine degli anni ’70, un assiduo collaboratore delle pagine culturali del quindicinale di sinistra “Questa Calabria”. Poi andò a Sassari per frequentare l’università, ospite di uno zio magistrato. Si iscrisse a Giurisprudenza e si laureò col massimo dei voti e la lode. E in Sardegna conobbe Michela Satta, amata compagna della sua vita che poi diventerà sua moglie e madre dei figli Fabrizio, Ferdinando ed Eleonora. Rientrato a Lamezia per un paio d’anni dopo la laurea, ha insegnato discipline giuridiche ed economiche all’Istituto tecnico commerciale “Luigi Einaudi” e, dopo aver vinto il concorso per Consigliere, ha lavorato anche in Prefettura. Dal 1983 è entrato per concorso nei ruoli della magistratura ordinaria prestando servizio da sostituto nelle procure della Repubblica di Savona (dove è stato impegnato, tra l’altro, in delicati tronconi d’indagine dell’inchiesta-Teardo), e poi a Parma e Sassari, fino al 2012 quando ha deciso di pensionarsi col grado di magistrato di Cassazione. Dei suoi successi nella professione, però, era custode geloso e riservatissimo. Arrivavano echi della sua estrema scrupolosità professionale. Pochi sanno, per esempio che era uno dei magistrati più attrezzati in legislazione antinfortunistica e che in materia è stato autore di articoli e saggi su Cassazione Penale e per Ipsoa. Negli anni, malgrado la lontananza, la nostra antica amicizia s’è arricchita, oltre che di magnifiche, interminabili serate, anche di confronti, discussioni e reciproci consigli di lettura (i suoi sempre molto stimolanti e attenti alle edizioni ben curate). È rimasta per tutti memorabile la giornata di trekking al Raganello nell’estate di 34 anni fa. Era una giornata dei primi di luglio dell’89 ed eravamo un gruppetto di amici cari tra i quali Francesco Bevilacqua, già a quel tempo pratico ed esperto dei luoghi più importanti e preziosi degli ambienti naturali calabresi. Attraversammo le gole scegliendo il percorso più lungo, dal colle San Martino, giù per il dirupo di Piano d'Ilice (un “Piano” tutt’altro che pianeggiante) e poi lungo il canyon fino al Ponte del Diavolo di Civita: chilometri e chilometri di gole tortuose, incise nella roccia alle falde del Pollino. Ne parlammo tantissimo, anche a distanza di anni, di quell’avventura; del torrentello spettacolare che nell’arco di millenni ha modellato un paesaggio affascinante, struggente. Ci aveva stregato quell’impareggiabile lembo di natura selvaggia ancora poco conosciuto ma già da tempo un’icona dei cultori del turismo «verde». Poi Francesco fu rapito da passione marinara. S’era accentuata in Sardegna. Dopo aver sistemato un rustico prospicente il mare che aveva sull’isola vi trascorreva anche lunghi periodi e aveva fatto un corso di vela a Caprera. Le sue visite solitarie a Lamezia s’erano un po' diradate. Ma in compenso scendeva puntualmente in compagnia di Michela alla quale, dopo il pensionamento dalla magistratura, s’era legato sempre più visceralmente. E con l’inseparabile Michela era ritornato a Lamezia nel febbraio scorso. Ancora una volta per la sua proverbiale discrezione, non s’era voluto annunciare ma mi aveva telefonato dopo che s’erano già sistemati in un B&B e dopo essere stati al cimitero a rendere omaggio alla tomba dell’amatissima mamma di Francesco. Si sono trattenuti per alcuni giorni e così ci siamo incontrati più volte e abbiamo potuto trascorrere tante ore insieme, come ai vecchi tempi anche con Francesco Bevilacqua. Siamo rimasti poi in contatto per telefono e con whatsapp. E confrontandomi con lui sia pure a distanza, ho percepito che la sua acuta sensibilità lo stava portando a prediligere riflessioni malinconiche e ad accentuare un’introversione. A settembre gli avevo girato un aforisma di Isabel Allende che mi aveva colpito: “La vera amicizia resiste al tempo, alla distanza e al silenzio”. Ne nacque una chiacchierata che confermò la mia impressione. Quella di avvertire più che una momentanea sensazione di tristezza, una condizione caratterizzata da pensieri malinconici. Il suo ultimo messaggio, due settimane fa, confermava le mie sensazioni. “Penso che la cosa peggiore – mi ha scritto – sia immaginare ‘il futuro e gli altri dopo di noi’: come se la memoria ci potesse accompagnare e noi dovessimo perciò prevedere le reazioni di chi ci sopravviverà: penso che la ‘fine’ sia una interruzione completa e dunque meglio rinunciare a pensare a dopo: il ‘dopo’ è una dimensione che non ci apparterrà: solo e soltanto polvere, il nulla…”. Un presagio, il suo? Certo oggi suona anche come un addio… Colto, curioso e gentile, ci ha lasciati più soli Francesco Gigliotti, amico carissimo. Restano vivi, nei nostri ricordi e nei nostri cuori, la sua simpatia immediata e trascinante, le sue battute mordaci, il suo sorriso luminoso.
Gianfranco Manfredi
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