Lamezia Terme - Il presidente di Italia Nostra Onlus Giuseppe Gigliotti interviene in una nota sulla situazione dell’ex Zuccherificio di Sant’Eufemia. “Un milione e duecento mila quintali di bietole lavorate in ogni stagione saccarifera, - ricorda il presidente di Italia Nostra - ventimila quintali di bietole lavorate al giorno. Seicento operai impiegati all'interno dello stabilimento, più tutto l'indotto esterno. Cento camion al giorno in arrivo nel piazzale per portare via lo zucchero raffinato. Ottocento libri di nafta bruciata ogni giorno per far funzionare l'impianto. Sono solo alcuni degli imponenti numeri che ruotavano intorno allo zuccherificio di Sant'Eufemia. Uno stabilimento di proprietà della Cissel, Compagnia industrie saccarifica Sant'Eufemia Lamezia, costruito dai fratelli Massara, originari di Limbadi, intorno agli anni '30 e dismesso negli anni '60, quando i proprietari decisero di costruire un nuovo impianto a Strongoli, nel Crotonese. Sono trascorsi più di 50 anni da allora, ma il ricordo, in chi ha lavorato tra quelle mura e negli abitanti di Sant'Eufemia e di Lamezia è ancora vivo e forte”.
“Le bietole arrivavano con i carri ferroviari - racconta - camion e coi carretti trainati dai buoi fino a dentro il piazzale dello zuccherificio, venivano scaricate in 3 silos giganti dove un getto d'acqua trasportava le bietole dentro e le lavava. C'era una ruota immensa che serviva da sollevatore e portava le bietole sopra in una parte che si chiamava trince, dove venivano affettate. Poi passava in un altro reparto, chiamato di separazione, dove c'erano tre vasche e con dei getti di acqua calda veniva estratto il succo, venivano poi aggiunte delle sostanze organiche. Si passava così al reparto evaporazione e poi la cottura, con infine la raffineria, dove il liquido veniva messo dentro alcune turbine che giravano ed estraevano la melassa dalla zucchero liquido. La melassa veniva venduta diversamente, così come anche il residuo della bietola era usato come mangime. Infine, lo zucchero veniva messo nei sacchi. Il bello di quei tempi era vedere tutta quella gente al lavoro, e non solo operai ma anche contadini, i camionisti e negozianti di Sant'Eufemia. L'impianto di Strongoli era molto più tecnologico e moderno rispetto a quello di Sant'Eufemia. I proprietari decisero così. Di tutto quello splendore e fonte di vitalità di una città, oggi dobbiamo far emergere tutto il valore storico oltre che culturale che non può essere cancellato con una spugna. Se si comprendesse il significato del valore del turismo culturale oggi la situazione non solo dello zuccherificio ma di Lamezia e della Calabria sarebbe diversa”.
“Lo Zuccherificio - prosegue Gigliotti - almeno la parte di valore storico e di archeologia industriale, non si deve toccare se non per restaurarlo e inquadrarlo nella storia autentica della piana lametina! Il nostro appello spera soltanto di essere accolto e compreso dalle persone responsabili che hanno rispetto della loro stessa cultura! Lo spettacolo altrimenti è quello di una perdita di memoria storica e culturale, come già anticipato e sottolineato più volte nel corso di questi anni ma soprattutto di una scarsa visione progettuale unitaria delle singole cittadine della intera piana, con la terza città della Calabria, Lamezia Terme, preda solo di appetiti individuali e di gruppo”.
“Lo storico Giuseppe Isnardi ha definito questa parte della Calabria ‘il Parnaso d’Italia’. Dai nostri Monti che circondano la piana si vede l’Etna e le Isole Eolie innevate! Da qui parte l’istmo che dal Tirreno raggiunge il mar Jonio e che unisce il Nord al Sud della Calabria, in cui gran parte della Storia più antica della regione si è sviluppata dalla preistoria sino ai nostri giorni! Già Alfredo De Grazia, come ex segretario di Italia Nostra dal 1978 al 1981, spiega perché ha ritenuto pienamente valido e pertinente quanto, a proposito, lamentato dalla Sezione di Italia Nostra nella denuncia datata 4 luglio 2009. Nel 1980 in collaborazione con la provincia di Catanzaro e del comune di Lamezia Terme si era svolto un convegno con una delegazione per i beni culturali della Calabria (tra i quali Roberto Spadea) sul comprensorio Lametino e le sue precipue caratteristiche, storiche e archeologiche dall’epoca pregreca, romana, basiliana sino alla fondazione della Abbazia di S. Eufemia, e di Corazzo da parte dei Normanni, alla ricca coltivazione della “canna mele” nella piana in agro di Nicastro, Maida e Curinga di cui esiste il fabbricato detto dello Zuccherificio, opera di significato storico e architettonico, che ha funzionato sino al 1950, ai siti naturali e turistici, nell’area del Golfo e della piana, lungo la costa dalla zona di Pizzo sino a Capo Suvero, con i laghi della Vota per la coltivazione e l’acqua coltura, la zona delle acque termali di Caronte e i siti propri lungo la via Popilia, dal ponte intatto sul Savuto sino al sito del Santuario di Dipodi, compreso il “vecchio mercato del basso romano Impero” sito in Nicastro, ora trasformato in una strana e inutile vasca, le cui mense ponderarie sono ora custodite nel museo archeologico cittadino. Da allora quasi nessuna iniziativa è stata intrapresa perché le riflessioni e le informazioni potessero dare luogo a concreti sviluppi, la piana aveva una tradizione agro-colturale arricchitasi con la bonifica del 1930, mentre purtroppo la pesca nel golfo è andata scadendo con la scomparsa degli impianti per il tonno di Torre Mezza Praia, e con la scomparsa dell’allevamento naturale delle Anguille. Della canna da zucchero è rimasto l’edificio, opera industriale di valore, con i carri pieni di barbabietole che attraversavano i campi lametini da tempi immemorabili, con imbarchi che avevano luogo sul pontile di Gizzeria lido sino ai tempi del II° dopoguerra. La storia dimenticata, le opere abbandonate, la assenza di un qualsiasi progetto comprensoriale, agricolo, archeologico, termale, turistico che comprendesse sia la costa che i Monti meravigliosi che circondano la piana, da monte Mancuso, Reventino e Tiriolo determina iniziative singole e scollegate che scadono, piuttosto che nella valorizzazione, nel pressappochismo astorico e poco culturale, dei beni singoli e collettivi, oltre che nell’abbandono totale e nella incuria verso ricchezze antiche e nuove. Non dimentichiamo ancora che la società CISSEL ha,negli anni sorsi, presentato un programma di riassetto urbano che prevedeva la demolizione del vecchio complesso industriale per realizzarvi al suo posto un progetto (supermercato ecc., con piccola zona museale inclusa) approvato dal Consiglio Comunale di Lamezia Terme, con delibera immediatamente esecutiva. Si era scelto così di cancellare una traccia importante di una stagione storica meridionale. Comitati e associazioni,prima di tutte Italia Nostra si è battuta per il riconoscimento dell’interesse storico ed etno-antropologico dello Zuccherificio, ha richiesto alla Soprintendenza dei Beni Culturali di avviare un procedimento amministrativo che portasse all’apposizione di un vincolo, peraltro nient’affatto incompatibile con le stesse esigenze del privato.Il tema della sua conservazione materiale, unita al riuso compatibile, ha trovato attenzione anche fuori dai confini regionali: si è tenuto a Lamezia Terme un convegno (Non buttiamo lo zuccherificio: investire nella conservazione, concorrere allo sviluppo) che ha visto la partecipazione di esperti come Marco Dezzi Bardeschi, docente di Restauro al Politecnico di Milano e direttore della rivista Ananke.Noi crediamo che un Paese cresce se cresce la cultura.Anche questa è una prova importante”.
Scriveva nel 2009 Vincenzo Villella già presidente di Italia Nostra ricorda Gigliotti: “Identità storica della più giovane città d’Italia, il comune di Santa Eufemia Lamezia, rischia di essere compromessa, se non trasformata radicalmente da interventi a dir poco strutturali; oggi, pochi forse ricordano che il comune di Santa Eufemia Lamezia a soli 33 anni dovette soccombere davanti alla legge di unificazione dei tre centri insieme a Nicastro e Sambiase – afferma lo storico locale Vincenzo Villella – l’odierna S. Eufemia nacque con la bonifica e divenne comune nel 1935, ma la sua è una storia lunghissima.Apprendiamo che l’antica città (di cui parla il diploma di fondazione dell’Abbazia, anno 1062) era sorta sul cenobio basiliano intorno al quale era nato un complesso di maestose costruzioni con la chiesa e il convento dei monaci. L’Abbazia, assurta a grande splendore sotto la dominazione sveva, divenne una formidabile potenza feudale dominando su tutta la piana e nei territori circostanti – afferma Villella – ma decadde lentamente sotto gli angioini e fu rasa al suolo dal terribile terremoto del 1638 insieme a tutte le costruzioni della piana che le facevano corona, il Balì dei Cavalieri di Malta, Frà Signorino Gattinara, che si trovava a S. Eufemia, fece ricostruire un nuovo villaggio sulla collinetta vicina, dove attualmente sorge S. Eufemia Vetere”. “Oggi - spiega - l’attenzione dei cittadini è catalizzata da due fattori, che si sono imposti negli ultimi tempi. Da un lato l’esigenza espressa da più parti di “avvicinare” questo luogo simbolico che va sotto il nome di area dell’istmo, attraverso un trenino di raccordo tra l’aeroporto di Lamezia Terme e Germaneto/Catanzaro, città capoluogo di regione. Dall’altro l’approvazione del piano esecutivo convenzionato per il riassetto urbanistico e paesistico dell’area al centro della regione dell’ex Zuccherificio presentato dalla Cissel Spa., in attesa di passare al vaglio del consiglio comunale (delibera 210 del 3 giugno 2009, ancora non visibile sul sito del comune). Due fatti che rischiano di gettare ombre sulle radici storiche di Santa Eufemia, la più giovane città d’Italia, e sull’identità di un pezzo importante, forse quello più vitale della città di Lamezia Terme”. “Il territorio di Santa Eufemia con la fine del Baliaggio entrò a far parte del comune di Gizzeria, ma solo durante il periodo fascista, in seguito alla bonifica dell’intera zona – afferma Vincenzo Villella, al quale stanno molto a cuore le radici storiche locali – il quartiere odierno fu costruito, divenendo comune autonomo nel 1935 per poi fondersi con Nicastro e Sambiase nel comune di Lamezia Terme nel 1968. Sant’Eufemia oggi è il centro più importante per i trasporti nella provincia di Catanzaro essendo dotata di un aeroporto e di un importante nodo ferroviario e stradale”.
“Ecco se la stazione centrale di Santa Eufemia perderà la sua centralità - dichiarano da Italia Nostra - dopo la sottrazione del servizio di scalo merci, e dopo la costruzione di una nuova linea ferrata, l’area che per secoli è stata al centro della regione rischierebbe di essere emarginata e dimenticata. Se poi all’intervento della regione si accompagna l’idea della demolizione dello zuccherificio, come anticipato dall’architetto Giovanni Iuffrida, secondo il quale “il complesso industriale rappresenta l’esito del processo di industrializzazione della Calabria, avviato negli anni ’20 con i grandi invasi idrici silani e il polo industriale di Crotone”, l’opera di destabilizzazione storica è completa. Il luogo simbolo dello zuccherificio fu il risultato di agitazioni e movimenti popolari che richiedevano il prosciugamento delle acque stagnanti e la bonifica del territorio infestato dalla palude”. “L’odierna Santa Eufemia nacque con la bonifica e divenne comune nel 1935 – scrive Villella – Effettuate le operazioni di prosciugamento, vennero dapprima edificati alcuni villaggi su borgate già presenti, mentre nella vicinanza della stazione ferroviaria fu creato quello di S.Eufemia. Tali villaggi, che avevano la funzione di semplici nuclei catalizzatori dell’opera di ruralizzazione e del popolamento del territorio, si configuravano come la premessa essenziale per lo sviluppo economico e sociale della piana”. “A tale scopo furono convogliate nella piana diverse famiglie coloniche, scelte dal ‘Commissariato per le migrazioni e la colonizzazione interna’ per l’abilità nella coltivazione dei campi e delle colture specializzate autarchiche, come il ricino, il cotone e la soja. Esse, provenienti dal Polesine, dalla Sicilia e da altre regioni, dovevano, così, lavorare nelle nuove terre bonificate ed operare la trasformazione agricola della zona”. “Per dare maggiore impulso al territorio, il governo fascista avvertì anche la necessità di concedere l’indipendenza amministrativa al nuovo villaggio – sottolinea infine Villella – con legge 8 aprile 1935 venne così istituito il comune di S. Eufemia Lamezia. La coltivazione del riso, della barbabietola e l’insediamento dello zuccherificio divennero il corollario produttivo tra industria e agricoltura dal 1941 e nel dopoguerra fino al 1961, quando, nonostante le agitazioni popolari e le varie interrogazioni parlamentari, lo stabilimento cessò definitivamente la produzione”.
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