Lamezia Terme - Circa 50 casi all’anno di mesotelioma pleurico, più di 2000 persone morte per patologie relative all’esposizione all’amianto. Sono queste le tragiche stime della città di Casale Monferrato, “la città bianca”. Ed è proprio con questo epiteto che, il comune in provincia di Alessandria, è conosciuto. Bianca come la polvere di amianto, prodotta dall’industria Eternit, il più grande stabilimento europeo di cemento amianto, che ha imbiancato, per circa 80 anni, i tetti, gli alberi e le strade del territorio piemontese. La ditta, pur essendo a conoscenza dei rischi legati all’utilizzo dell’amianto e senza informare i suoi lavoratori, ha continuato, dal 1907 sino al 1986, la sua produzione, dando così vita ad un’escalation di morti e malattie. Negli anni, vari processi sono stati istituiti per cercare di far giustizia; il primo conclusosi con una prescrizione, il secondo ancora in fase di svolgimento.
Sullo sfondo una città ferita che mai ha chinato la testa al suo destino, ma che, al contrario, ha deciso di rimboccarsi le maniche per cercare di creare un presente ed un futuro migliore, divenendo così emblema di resilienza. Ed è proprio la resilienza il tema centrale del documentario - inchiesta, “La rivincita di Casale Monferrato”, la cui proiezione, organizzata dalla Fondazione Trame in collaborazione con il Sistema Bibliotecario Lametino, è stata realizzata il 19 gennaio al Chiostro Caffè Letterario di Lamezia Terme alla presenza di Rosy Battaglia, regista del documentario e giornalista, di Michele Albanese, giornalista del Quotidiano del Sud e di Francesco Falcone, presidente di Legambiente Calabria.
E’ una storia di riscatto quella della città di Casale Monferrato; una città che è riuscita a trasformare un luogo di morte, la grande fabbrica Eternit, in un luogo di vita, il parco Eternot, una città che è riuscita a bonificare gran parte del suo territorio, tanto che nel 2020 sarà completamente libera dall’amianto, una città nella quale i cittadini stanno lavorando per un futuro sostenibile. “Con questo documentario – ha sottolineato, con fermezza, la regista Battaglia - si vuole innescare una discussione al fine di mobilitare le coscienze e prendere atto di ciò che bisogna fare per cambiare le cose”. “L’amianto - ha ricordato infine la giornalista – è un problema che riguarda l’Italia intera, ed anche la Calabria. “In Calabria – ha successivamente aggiunto Francesco Falcone - rispetto ad oltre un milione di edifici mappati, circa il 10% presenta coperture in amianto. Nel 2016, a Lamezia, 88 ettari di superficie sono risultate essere contaminate da cemento di amianto. A questi dati allarmanti, nella nostra terra, non è seguita stessa reazione che c’è stata a Casale Monferrato, questo perché purtroppo non abbiamo più punti di riferimento. Quello di Casale Monferrato è un esempio positivo che noi dovremmo saper cogliere, è un esempio virtuoso su cui far leva”.
Dai toni aspri, in conclusione, l’intervento del giornalista Michele Albanese il quale ha definito la regione Calabria come una terra ormai morta dove la cittadinanza attiva, a differenza che nella città piemontese, è sempre più una chimera. “Mai come in questo momento i calabresi sono costretti a guardarsi allo specchio e a non nascondersi davanti ad un dito. Questa terra ha già piegato la schiena, si è rassegnata alla morte. Questa è una regione dove c’è paura, rassegnazione ed assuefazione a determinati fenomeni. Solo la consapevolezza della drammatica realtà che viviamo può essere da stimolo per reagire prima che sia troppo tardi”.
Alessia Raso
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