Corrado Alvaro, tra sistema dell’informazione e potere politico

Scritto da  Pubblicato in Luigi Michele Perri

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Sbatté la porta in faccia al potere politico nel nome della indipendenza e dell’autonomia del giornalista. L’attualità di Corrado Alvaro non risiede solo nei suoi romanzi più noti, ma anche nel suo radicale impegno di salvaguardia della libertà di stampa. Non è di poco conto un episodio, sin qui sepolto negli archivi e diffusamente ignorato dai suoi biografi. Corrado Alvaro fu il primo direttore del Giornale radio nazionale della Rai (Radio audizioni italiane). Lo fu solo per tre settimane, dal primo al 23 marzo del 1945. Nominato dal commissario Luigi Rusca, liberale antifascista, incaricato dal governo Bonomi, di rifondare e gestire l’azienda radiofonica, Alvaro, che mai ebbe tessere di partito, neanche durante il fascismo, accettò la direzione del notiziario a patto che venisse rispettato il proprio ruolo con ogni particolare riguardo alla sua libertà e autodeterminazione. Le pressioni politiche del governo Bonomi, che riproducevano in senso gattopardesco il velinismo da Minculpop del regime mussoliniano, lo indussero alle dimissioni immediate in aperta polemica con il potere politico. Entrò, per questo, in rotta di collisione con il suo caporedattore Paolo Treves, socialista, che, omologato al sistema che andava consolidandosi sotto il segno della “democrazia della informazione”, gli subentrò, subendo le dure contestazioni della redazione tutta allineata sulle posizioni alvariane. In una lettera a Rusca, il direttore dimissionario scrisse:” Caro commissario, tu mi avevi invitato a dirigere un giornale radio indipendente, libero di informare il pubblico democraticamente, e che soltanto nei grandi problemi di interesse nazionale non agisse in contrasto col governo. Ho dovuto affrontare, nei pochi giorni del mio lavoro, inopportuni interventi che miravano a limitare o ad annullare proprio questa libertà di informazione. In ultimo poi, tu e uno dei nostri principali collaboratori (Treves, n.d.r.), vi siete impegnati acchè io ricevessi, ogni sabato, dall’Ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio, indirizzi e suggerimenti di massima. Il nostro collaboratore, che da tempo sostiene la necessità di una radio priva di sue fonti di informazioni autonome e limitate a quelle ufficiose ed ufficiali, ha posto la scelta fra lui, che gode della fiducia della Presidenza del Consiglio, e me, che ho solo le mie convinzioni in fatto di radio in regime di democrazia, cioè libere. Su di esse non posso transigere e perciò rinuncio all’incarico affidatomi dalla tua fiducia”. Si tratta di un esempio che evidentemente va oggi recuperato e rilanciato, in tutto il suo significato etico e deontologico, come stella polare del servizio pubblico della informazione, spesso insidiato dalle intromissioni interessate del potere politico ed economico. Attraverso la lezione alvariana, i novant’anni della radio possono assumere quel senso pedagogico di cui il rapporto politica – informazione ha urgente bisogno.

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