"Purezza dei segni", le opere del lametino Antonio Pujia Veneziano dal 10 dicembre in mostra al 'Maon' di Rende

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Rende (Cosenza) - Al MAON, Museo d’arte dell’Otto e Novecento di Rende (Cosenza), si inaugura il 10 dicembre alle ore 18 la mostra “ANTONIO PUJIA VENEZIANO / PUREZZA DEI SEGNI” curata da Tonino Sicoli e Andrea Romoli Barberini. L’esposizione, che presenta la produzione di oltre un ventennio dell’artista, resterà aperta fino al 28 gennaio 2017. “I segni sono sogni linguistici, tracciati esistenziali, gesti ambigui di una creatività, che si libera senza alfabeti né realtà da rappresentare. Leggeri, immateriali, totalizzanti.

Antonio Pujia Veneziano è un passeggero di un viaggio nei territori nebbiosi del pre-logico e del pre-testo, in quell'area al margine, fra i generi espressivi e i linguaggi visivi, là dove la forma non è né scrittura né immagine preordinata. Siamo nell’ambito di una pittura pura, che si struttura su componenti primordiali, autoreferenti, minimali. Grafemi, pattern, impronte di colori vengono organizzate su superfici senza riferimenti spaziali bensì assolute. Si generano, così, effetti di un pittoricismo minuto, delicato, modulato secondo un andamento in successione, sobriamente composto. La posizione assunta dagli elementi è organica, allusiva di una morfologia liquida e magmatica come quella della natura naturans, in formazione e in via di sviluppo verso identità para-geometriche, simili a strutture di cristalli o a tessuti biologici.

Pujia fa della terra il suo segno e la sua materia originari, il principio della sua arte, una frontiera fra ceramica e pittura, pur mantenendo una debole consistenza, diafana, al limite del monocromo. Iniziato negli anni Ottanta, il percorso artistico di Pujia si dispiega con tappe di intrecciati interessi per generi contigui, che gli hanno sempre fatto mantenere un garbato equilibrio fra radicalità del minimalismo linguistico ed efficacia degli effetti percettivi. Il campo è un luogo senza profondità o, al contrario, con un senso di sfondamento tipico di una spazialità senza orizzonti e confini.” (Tonino Sicoli

“Luogo di partenza disciplinare di tale complesso tracciato è l’ambito pittorico, al quale rimarrà fedele senza escludere, in momenti successivi, ulteriori significative ricognizioni nella ceramica, nella scultura, nell’installazione ambientale e nella pratica performativa.

E’ nella pittura, infatti, che, concluse le esperienze degli esordi, riconducibili alla natura e al paesaggio, a partire dagli anni Ottanta, Pujia ha rivoluzionato il proprio orientamento espressivo a vantaggio di un linguaggio segnico gestuale che continuava a suscitare, in quel torno di tempo, non soltanto in Italia, l’attrazione di numerosi giovani artisti che intendevano sviluppare il discorso avviato dai maestri dell’Informale eroico. Un’attrazione spontanea e autentica che, nel caso dell’artista calabrese, era stata alimentata anche da soggiorni a New York, nel corso dei quali era venuto a contatto con la pittura d’avanguardia statunitense.

Tuttavia questa sua prima gestualità, che in qualche misura sottintende la natura e quasi sembrerebbe cercare con essa un segreto vincolo, più che accostarsi a certe esperienze d’oltreoceano, mostra maggiori prossimità con le indagini dei maestri dell’informale padano che indussero Francesco Arcangeli a coniare la definizione di “Ultimo naturalismo”.

Come silenziata nelle rigorose scale dei grigi, la pittura di Pujia progressivamente elude gli strepiti del colore, per raggiungere una dimensione intima, misteriosamente quieta e senza sussulti che, nelle diverse stratificazioni, quasi delle velature che escludono ogni eccesso materico, apre spazialità inedite e profonde su cui può liberarsi la graffiante perentorietà del gesto che si fa segno connotante, misura corporea che media tra la mente, lo spazio fisico e quello simbolico, per tracciare sul supporto il qui e ora di quell’azione unica e irripetibile.” (Andrea Romoli Barberini). 

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