Lamezia, il mistero del delitto di Lolita

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di Claudia Strangis.

Lamezia Terme - Un mistero lungo più di trent’anni. Da tanto ormai pare essere stata messa una pietra sopra un omicidio consumato in una domenica primaverile di trentadue anni fa: era il 27 aprile del 1986 quando Graziella Franchini, conosciuta al grande pubblico come “Lolita”, fu assassinata nella villetta nel complesso residenziale della Marinella a Lamezia Terme dove viveva.

Chi era Graziella Franchini “Lolita”

36enne, originaria del Veneto, bionda, minuta e dal carattere buono e disponibile, si era fatta conoscere già a metà degli anni sessanta, con una carriera canora che l’aveva vista calcare palchi famosi e non solo: dalla vittoria al Festival di Pesaro che le dà il pass per essere lanciata nel mondo della musica, poi il Festival di Zurigo, la partecipazione alla trasmissione Rai di Pippo Baudo “Settevoci”, poi “Un disco per l’estate”, appare anche in diverse trasmissioni, e duetta con Renato Rascel in una pubblicità del Carosello. Insomma, una veloce scalata per la giovanissima biondina veneta, che riesce a farsi apprezzare dal pubblico per il suo aspetto ma, soprattutto, per la sua voce, possente e penetrante che sapeva toccare in fondo all’anima.

Il brusco stop a questa serie di successi suggellati negli anni, arriva con la mancata finale del Festival di Sanremo nel 1973. Da lì, la Lolita che tanto era piaciuta al pubblico, cade nel dimenticatoio.

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Aveva vissuto per lungo tempo a Milano e nel 1985 si era stabilita a Lamezia, dove aveva prima abitato in un hotel, per pochi mesi, per poi trasferirsi in una delle villette a schiera del residence “La Marinella”. Aveva lavorato come cantante soprattutto durante la stagione estiva, esibendosi in serate di spettacolo con un complesso musicale. tra sagre e feste di paese, la sua vita da cantante lentamente riprende. Aveva anche trovato l’amore, in un medico ginecologo lametino, poco più che quarantenne, divorziato e con un figlio, fidanzato con una giovane studentessa in medicina, con la quale però, pare fosse in crisi. E quando venne trovata uccisa nella sua abitazione, proprio intorno a questa relazione si concentrarono le indagini.

Il ritrovamento del cadavere

La sera del 27 aprile del 1986 Graziella Franchini era attesa a San Leonardo di Cutro per esibirsi in una festa di piazza. Una festa, però, alla quale non arrivò mai. Mai in ritardo sul lavoro, precisa e puntuale e, soprattutto, come la ricordano, ligia agli impegni presi, la sua assenza, senza, per giunta, alcuna giustificazione, insospettì i suoi impresari che anche quella sera stessa l’avevano cercata invano a casa sua, quel villino nell’isola Est del complesso residenziale “La Marinella”, a due passi dalla spiaggia.

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Erano andati anche a bussare alla sua porta, inutilmente, ed avevano anche notato dalla finestra la luce del bagno accesa. Il giorno dopo, uno degli impresari tornò insieme ad un amico comune di Lolita, che fu colui che, successivamente, fece la macabra scoperta. Non ricevendo ancora risposta nonostante l’insistenza, cercò prima notizie dal medico lametino che con lei aveva instaurato una relazione, ma anche lui non sapeva nulla di dove potesse essere, così, tornato nuovamente a bussare invano a quella porta, riprovò nuovamente con il medico che suggerì, preoccupato, di introdursi nell’abitazione dal giardino dalla parte retrostante, saltando la siepe di recinzione. Cosa che l’uomo fece, entrando dalla porta finestra che aveva trovato aperta e rinvenendo così nel bagno, il cadavere di Graziella Franchini.

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La scena del delitto

Una scena macabra, raccapricciante. Questo è quello che si presenta agli occhi dell’amico di Graziella Franchini che irrompe nella abitazione dalla porta finestra aperta nella parte retrostante della villetta. Probabilmente, come hanno poi anche ipotizzato gli inquirenti successivamente, la stessa porta finestra dalla quale potrebbe essere entrato l’assassino della cantante. Nel bagno, la scena del crimine, c’è il corpo di Graziella Franchini, sul quale c’è tutta l’efferatezza di chi l’ha colpita, uccidendola. Quella maglietta del pigiama la copre minimamente ed evidenzia, purtroppo, tutta la ferocia di cui è stata vittima: il viso è tumefatto e ferito. Ecchimosi, lesioni da taglio e segni contusivi, il naso fratturato. La piccola cantante bionda è irriconoscibile. Chi l’ha uccisa, si è accanito sul suo viso ma anche sul suo corpo, sfigurandolo. Una vasta ferita al basso ventre, proprio sopra il pube, la segna in maniera terribile ed è anche quella che ha posto fine alla sua vita. Una ferita profonda e violenta, come la sua morte, appunto.

L’omicidio

Graziella Franchini, come emerse nel corso delle indagini e anche ricostruendo le sue abitudini, grazie a chi meglio la conosceva, era solita alzarsi tardi, secondo quanto raccontato, verso le 13/13:30. Si preparava il caffè, ritornava a letto per berlo a letto, “dopo aver aperto la porta del tinello che dà sul giardino retrostante”, un particolare fondamentale successivamente per le indagini, e intorno alle 14 soleva farsi un bagno. Questa ipotetica ricostruzione, è stata fatta, però, in base ai racconti di chi la conosceva, e non si sa se, effettivamente, anche quella mattina Graziella Franchini si alzò intorno alle 13: sappiamo che aveva fatto colazione, che il letto era stato rifatto e che era in procinto di farsi un bagno quando fu colpita mortalmente.

Ci fu un altro elemento sul quale si dibatté a lungo, quello dell’ora della morte. Il suo corpo esamine fu ritrovato un giorno dopo il delitto e il lavoro del medico che effettuò l’autopsia fu quello di ricollocare temporalmente la morte della giovane donna. L’epoca della morte era stata fatta risalire in un arco di tempo compreso tra le 15 e le 18 del 27 aprile. Un particolare sul quale si disquisì in maniera determinante nella fase processuale. 

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Tante le ipotesi sulla dinamica e tanti gli elementi. La porta era chiusa a chiave, quindi qualcuno potrebbe essere entrato dalla porta finestra dalla parte del giardino, ma avrebbe dovuto sorpassare la vegetazione presente. Niente di particolare, considerando che chi trovò il cadavere di Graziella Franchini fece proprio quello che gli inquirenti ritennero essere il percorso dell’assassino. Perché la donna avrebbe dovuto tenere la finestra aperta? Pare fosse una sua abitudine ma perché farlo quando aveva paura che qualcuno potesse farle del male? Si trattò di un solo assassino o di più mani? Questo potrebbe essere facilmente intuibile dai segni sul suo corpo, che avrebbero evidenziato o che qualcuno potesse averla tenuta ferma mentre un’altra persona la colpiva mortalmente oppure, come qualcun altro ha ipotizzato comunque, che la donna potesse essere stata stordita da un colpo frontale per essere poi colpita e uccisa. In casa mancavano segni di effrazione, era una domenica primaverile, in un complesso residenziale tranquillo. 

Immediate partirono le indagini per cercare di scovare l’assassino o gli assassini. Si cominciò a scavare nella vita privata della Franchini e cogliere, come si suole fare in casi come questo, tutti gli elementi che potessero condurre alla verità.

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Le indagini

Furono ascoltate tutte le persone vicine a lei, anche l’uomo con il quale aveva una relazione. Era stato lui a vederla per l’ultima volta viva la sera di sabato 26 aprile. I due non avevano dormito assieme, perché il medico era rientrato a casa sua: avrebbe avuto il turno di reperibilità ed aveva comunque un alibi. Ad un punto gli investigatori erano arrivati: raccogliendo le informazioni, sia dal medico che frequentava la Franchini, sia dalla cerchia di amici e collaboratori della cantante, emersero diversi particolari che fecero concentrare le indagini su due persone che vennero indiziate del delitto. Si trattava di Teresa Tropea, giovane studentessa di medicina, fidanzata storica  del medico, e della madre sessantenne, Caterina Pagliuso.

Dai racconti degli amici e dello stesso professionista, infatti, sembrava che la donna fosse scossa e impaurita e che temesse per la sua vita, perché le due donne l’avrebbero minacciata e, in un episodio, anche aggredita, intimandole di allontanarsi dal medico e di interrompere qualsiasi relazione con lui. 
Lo stesso professionista, separato dalla moglie dalla quale aveva avuto un figlio, raccontò di essere stato fidanzato da alcuni anni con Teresa Tropea e che proprio lei nell’ottobre del 1985 era venuta a conoscenza della relazione del medico con la cantante e così avrebbe anche tentato più volte di interromperla. Diverse le discussioni che sarebbero intercorse tra la Tropea e la Franchini. Come fu raccontato agli inquirenti dallo stesso medico, la Tropea prima avrebbe tentato in maniera pacifica di interrompere la relazione incontrandosi anche con la cantante, poi sarebbe passata ad atteggiamenti aggressivi e minacciosi, con liti e scenate che lo avrebbero portato al disinnamoramento e quindi al diradamento dei rapporti con la fidanzata. 

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L’aggressione del Venerdì Santo

Il fatto era accaduto intorno alle 23:30 del venerdì santo, tra la fine di marzo e gli inizi di aprile: il medico era insieme a Graziella Franchini nell’appartamento di quest’ultima nel residence della Marinella, quando avrebbero suonato alla porta la Tropea insieme alla madre. “[…] La Tropea disse che voleva con lei soltanto parlare. Invece, subito dopo che venne aperta la porta, madre e figlia si lanciarono contro di lei come delle invasate, e gridando entrambe “te ne devi andare”, “lo devi lasciare” e altre espressioni volgari”. Poi, “[…] la percossero nel corpo e la spinsero verso la camera da letto ove la Tropea prese a colpirla con una sbarra di ferro, che in quel momento non identificai, e la madre le saltò addosso tirandole i capelli e mordendola sulle braccia, mentre la povera Franchini, senza opporre alcuna resistenza, si copriva la faccia con un cuscino da letto ove l’avevano costretta”.

La versione di Teresa Tropea e della madre

Sentite immediatamente dopo l’omicidio, quando le indagini procedevano per cercare elementi utili, le due inizialmente negarono di conoscere la cantante veneta e avrebbero anche negato l’esistenza di qualsiasi ragione di contrasto. Ma gli elementi a disposizione degli inquirenti stringevano sempre più il cerchio intorno alle due donne: alcuni segni sul corpo di Lolita confermavano l’aggressione subito almeno venti giorni prima e anche l’ispezione effettuate sulle due indiziate, che presentavano qualche ecchimosi e graffi sul corpo, confermò che l’episodio c’era stato.

Furono trovate poi, sia una foto della Franchini a casa della Tropea, che una leva del cambio senza pomello nell’auto di Teresa Tropea, una Fiat Panda. Secondo gli inquirenti era quella la sbarra di ferro che venne usata per l’aggressione del venerdì santo. Il 30 aprile scattò il fermo per madre e figlia da parte di Magistrati della Procura di Lamezia. Per gli inquirenti non c’erano dubbi: erano loro due le responsabili dell’omicidio della cantante, troppi gli elementi contro di loro. Ma Teresa Tropea e Caterina Pagliuso professarono da subito la loro innocenza: non erano le assassine di Graziella Franchini.

C’erano tutti i contorni per una sorta di “sfida” tra due donne: entrambe molto belle, emancipate, probabilmente agli opposti per modo di essere e di vivere, ma comunque due donne forti. Gli inquirenti si convinsero che si trattasse di un delitto passionale. Secondo quanto supportato dall’accusa, la Tropea avrebbe voluto farle pagare con il sangue l’affronto di averle “rubato” il fidanzato ad un passo dal matrimonio. A pesare fu anche quel cognome della madre della Tropea, e la sua parentela a quello che era ritenuto il boss dell’omonima famiglia, Mico Pagliuso, un cognome conosciuto a Lamezia, coinvolto in una delle più atroci guerre di mafia alla fine degli anni ’80.

L’alibi delle due donne e lo scritto anonimo

Teresa Tropea e la madre fornirono comunque un alibi agli inquirenti. La giovane studentessa, accompagnata da un parente in compagnia della madre, sarebbe partita dalla stazione di Lamezia Terme – Sambiase quel 27 aprile intorno alle 14:45 con un treno regionale per arrivare poi a Messina, dove aveva in affitto una casa insieme ad altre ragazze che confermarono il suo arrivo in Sicilia intorno alle 17. A comprovare la sua partenza c’era anche un biglietto del treno di quel giorno, e la testimonianza di una ragazza che confermò di aver viaggiato con lei su quel treno partito da Sambiase.

Dall’altro lato, le testimonianze di alcune persone che in un primo momento dissero di aver visto la Tropea e la madre a bordo della Panda tra le 14/14:30 proprio quella domenica alla Marinella. Una testimonianza che però venne ritrattata successivamente. Poi uno scritto anonimo arrivato ai Carabinieri di Lamezia nel quale si scriveva che le due donne, quella domenica, intorno alle 13:30, sarebbero state “nere” alla porta di Lolita, cercando insistentemente di farsi aprire e nel quale si scriveva che la pista delle due donne in qualità di assassine sarebbe stata proprio quella giusta. Anche su questo scritto si discusse in fase dibattimentale, ma anche questo elemento fu considerato poco attendibile dalla Corte, con perizie e controperizie calligrafiche per cercare di accertarne la paternità e soprattutto la veridicità.

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Il processo

Cominciò comunque il processo alla Corte d’Assise di Catanzaro: alla sbarra degli imputati le due donne lametine, Teresa Tropea e la madre Caterina Pagliuso, accusate di omicidio volontario in concorso tra loro. Su alcuni punti fondamentali verté il processo: in particolare, oltre naturalmente al movente e alle prove raccolte dagli inquirenti nei confronti delle due, lo scritto anonimo, le dichiarazioni poi ritrattate da quei testimoni, e, soprattutto, all’attribuzione dell’ora effettiva del delitto, per quanto potesse essere accertata con sicurezza.

L’accusa, la difesa (rappresentata dagli avvocati Felice Manfredi e Francesco Sirianni) e la parte civile (l’avvocato Giuseppe Pandolfo in rappresentanza della famiglia della Franchini) si batterono moltissimo sulla questione dell’orario della morte. Capire quando fu uccisa la cantante, se un’ora prima o un’ora dopo era fondamentale: anche solo una mezz’ora poteva far cadere o meno tutte le accuse o l’alibi. 

Per quanto riguarda gli elementi sulla scena del crimine, non furono raccolte le impronte digitali che potevano essere presenti sulla scena, furono esaminati i capelli trovati in mano alla Franchini: il perito chiarì che non potevano essere compatibili con Caterina Pagliuso, ma presentavano caratteristiche simili sia a quelli della Tropea che della vittima. Quindi rimaneva il dubbio. Stesso discorso sulle tracce ematiche. Si focalizzarono sull’analisi del gruppo: anche in questo caso fu esclusa la Pagliuso, che aveva un gruppo diverso rispetto alla Franchini e la Tropea. Le tracce ematiche erano compatibili con entrambe. Così rimanevano solo dubbi e nessuna certezza della presenza delle due sul luogo del delitto.

Rimase poi il quesito su quante persone potessero in effetti aver compiuto l’azione omicidiaria e da dove potesse essere entrato l’autore. Secondo la Corte, l’ipotesi più plausibile era che la cantante avesse consentito l’ingresso a qualcuno che frequentava abitualmente e sapeva delle sue abitudini, e al quale poteva presentarsi “in quello stato”. Una persona che poi si sarebbe potuta allontanare facilmente dalla veranda. Di una cosa, però, si era certi: quello commesso nei confronti di Graziella Franchini fu un delitto d’impeto, chi lo commise agì d’impulso e non in maniera premeditata. E questo lo testimonia, soprattutto la ferocia e la crudeltà dell’essersi accanito contro il volto e il pube della povera cantante.

L’assoluzione e le motivazioni dei giudici

I giudici contestarono che non fossero stati pensati altri possibili autori del crimine e che le indagini si fossero esclusivamente concentrate su di loro.  In più i giudici sostennero che a nulla sarebbe valso uccidere la rivale in amore e che quindi, il comportamento della Tropea sarebbe stato illogico se avesse voluto riconquistare il fidanzato che già si era mostrato turbato dall’aggressione del venerdì santo e da allora aveva deciso di allontanarsi da lei. Furono assolte in primo grado, nel giugno 1988, “per il complesso di perplessità”. Nei due successivi gradi di giudizio si trasformerà in una assoluzione con formula piena “per non aver commesso il fatto”. Chi é stato allora a commettere l’omicidio?

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Il ricordo mai sopito

Quella biondina dalla voce potente è rimasta ancora nel cuore di molti: basta fare una semplice ricerca su internet perché si possano trovare audio delle sue performance. Il mondo del web, in questo caso, si fa custode geloso e prezioso di una voce che non c’è più. A ricordarla su Facebook ci hanno pensato alcuni appassionati che, tramite la pagina “Lolita fu cantante Graziella Franchini -richiedenti giustizia” e “Lolita "cantava l'amore" - (lei rivive nel nostro cuore)” vuole mantenere vivo il suo ricordo. Il gruppo creato sul più famoso dei social network ricorda Graziella Franchini e soprattutto non vuole dimenticarla, tanto che ogni anno, con il placet della famiglia, torna su quella tomba per porgerle un saluto. Ma non solo, perché quel gruppo di persone, innamorati di quella voce e ancora increduli che un omicidio così efferato sia rimasto impunito, vuole chiedere giustizia. 

Il suo carattere, il suo modo di fare, il suo essere donna emancipata, che aveva visto il successo e aveva saputo farsi da sola, era guardato anche un po’ con sospetto, in una Lamezia di 30 anni fa. Un aspetto molto recriminato anche dalla sorella Luigina Franchini che non mancò di farlo notare più volte. Secondo lei, sua sorella era stata trattata come una “donna facile”, una “poco di buono”. 

Tanti gli interrogativi, proprio quando, anche dopo venti, trenta o addirittura quarant’anni, vengono risolti alcuni “Cold case” saliti alla ribalta delle cronache nazionali, su questo, purtroppo, è da sempre, da allora almeno, calato il silenzio. Fatto sta che questa 36enne  ha perso la vita a Lamezia e, seppur a trent’anni di distanza, sarebbe giusto dare un nome e un volto a colui o a coloro che hanno deciso di porre fine alla sua vita. Come già ribadito, tante le differenze nella conduzione delle indagini da trent’anni a questa parte, principalmente e fondamentalmente stanno tutte nell’evoluzione delle tecniche investigative miglioratesi nel corso degli anni. Una su tutte, quella che in molti casi si è rivelata essere la prova regina: il Dna. Se una volta, non era possibile effettuare questo tipo di esame, ora sarebbe tutto più facilitato. La famiglia di Graziella Franchini, si è trincerata dietro un rigoroso silenzio. Solo le due sorelle Luigina e Daniela, avrebbero la facoltà di riaprire il caso, consentendo la riesumazione del corpo e quindi permettere ulteriori approfondimenti investigativi, se non emergono ulteriori elementi. 

Anche solo, probabilmente, un esame del dna sui reperti esistenti potrebbe fare nuova luce. Reperti che dovrebbero essere ancora nel Tribunale lametino, che custodisce quella che potrebbe essere la chiave di volta di questo mistero lungo più di trent’anni.

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