Scissione Pd, Doris Lo Moro: “In futuro vedo Oliverio più vicino a noi”

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di Alessandra Renda. 

Lamezia Terme - Indiscrezioni la danno come capogruppo al Senato degli scissionisti, ma il nodo verrà sciolto solo martedì quando si costituiranno a Roma i nuovi gruppi parlamentari. E’ ancora tutto in divenire e sicuramente cambieranno molte cose da quando la senatrice lametina Doris Lo Moro, insieme ad altri esponenti storici, ha annunciato l’addio al Pd. Una decisione sofferta ma maturata nel tempo perché “la leadership ha prevalso spesso in modo deteriore su quello che invece doveva essere un dialogo politico aperto sui temi più caldi del paese”. Con lei, prima che raggiungesse Roma per affrontare questa nuova sfida che la vede tra i protagonisti, abbiamo fatto il punto su quanto accaduto negli ultimi giorni a livello nazionale e regionale nel partito. 

Il partito democratico è nato esattamente il 14 ottobre 2007. A distanza di 10 anni lei, Bersani e diversi altri esponenti avete deciso di lasciare il partito. Come si è arrivati alla scissione?

“Il Pd nacque con le primarie del 2007 dopo un periodo particolarmente fecondo dove ad esempio “L’ulivo” è rimasto per lunghi anni l’ispirazione che ha anche prodotto il partito democratico. Al di là però delle sigle che portano alle unioni o alle divisioni, quello che conta è l’identità. Se per le persone è il dna, per un partito dovrebbe essere invece la linea politica. Il Pd doveva aggregare il centro sinistra, ma negli ultimi anni sono invece prevalse le leadership in senso deteriore. Per quanto infatti possa essere importante il ruolo svolto da un leader, l’esasperazione di questo aspetto ha fatto sì che troppo spesso le idee del singolo abbiano prevalso sui luoghi di discussione politica, dove, soprattutto ultimamente, il segretario comunicava la linea da seguire senza mettere in atto alcun confronto. Tutto ciò ha ostacolato il radicamento del partito, con sezioni chiuse in tutta Italia, porte sbarrate e commissariamenti. La mia è stata una scelta che viene da lontano, è stato sì traumatico, ma ero già oltre la scissione. Ci sono state nel tempo forzature che hanno profondamente lacerato il partito democratico e in questo partito democratico non ci ritrovavamo più”. 

I rumors la danno come capogruppo al Senato degli scissionisti. C’è questa possibilità ?

“Il capogruppo sarà scelto martedì mattina quando si costituiranno i nuovi gruppi parlamentari. Siamo tredici senatori ciascuno con una storia solida alle spalle e mi sento tranquilla perché nascerà proprio non per esasperare l’io ma per dare alle persone la possibilità di usare il plurale, cominciando da un confronto democratico su chi dovrà guidarlo. Il movimento invece, “Articolo 1 - Movimento democratici progressisti”, presentato due giorni fa al Testaccio, non vuole essere un partito, quanto un vero e proprio luogo di aggregazione per facilitare la coesione del centro-sinistra”. 

Ci sono state però già diatribe sul nome. Dalla Calabria rivendicano che “Democratici progressisti” era già stato depositato alla Camera nel 2014 per le passate elezioni a sostegno di Renzi…

“Sicuramente ci sarà chi si occuperà di questi aspetti ma si tratta di parole utilizzate già in diversi simboli e questo non è un fatto di confusione, quanto piuttosto di identità e di valori. Una confusione che però non sussiste perché la sigla non sarà “Dp” come la passata democrazia proletaria, ma “Mdp”. Ad ogni modo siamo alle prime battute, le cose si chiariranno presto”. 

Le primarie alle quali avete annunciato non parteciperete, sono state fissate al 30 aprile. Seguirà l’elezione del segretario e le amministrative. Le politiche invece le vede lontane viste le modifiche da apportare alla legge elettorale?

“Le politiche le vedo tendenzialmente alla scadenza naturale e noi come gruppo parlamentare lavoreremo per questo. Sappiamo di non avere garanzie e sappiamo anche che Renzi potrebbe diventare nuovamente segretario del Pd anticipando le elezioni. Noi siamo proiettati sulla scadenza naturale non per restare sei mesi in più in Parlamento, ma perché si faccia qualcosa nella direzione da noi indicata, qualcosa che avvicini il centro-sinistra ai problemi reali del paese che non sono le leadership esasperate quanto ad esempio il Mezzogiorno d’Italia sempre più tagliato fuori, i giovani con la valigia pronta e il lavoro che manca. E’ su questo fronte che ci sentiamo impegnati”. 

Qual è il futuro del governo Gentiloni ?

“Il governo Gentiloni è iniziato dichiaratamente all’insegna della continuità con Renzi ma ha dimostrato invece in tempi brevissimi di essere autonomo. Ne sono un esempio Minniti dove il suo Ministero dell’interno nulla ha a che vedere con quello di Alfano, ma anche Calenda o Padoan che ultimamente mi sembra più libero e sganciato dall’ex premier sulle questioni che riguardano le politiche europee. Anche di Gentiloni abbiamo apprezzato la sua efficacia nella discussione di determinati aspetti come l’immigrazione o la crescita. Se in questi anni non si era parlato di scissione è stato anche perché su alcune cose abbiamo lavorato insieme. Vorrei ricordare la legge sul Caporalato, tanto importante per la Calabria e la cui relatrice Gatti è tra i 13 senatori scissionisti o le unioni civili per le quali io stessa sono intervenuta in aula e ho scritto il parere di costituzionalità. Il mio non è un giudizio negativo su quanto ha fatto tutta la maggioranza, ma su cose che sono state portate avanti nonostante il nostro parere e quello di tanti altri fosse sfavorevole. Ne sono un esempio la “Buona scuola” o il “Jobs Act” per il quale si parla di risultati positivi ma che invece sono stati effimeri. Non si sono ascoltate le voci di tante persone che erano molto preoccupate, soprattutto rispetto allo strappo con i sindacati”. 

Prima ha citato Marco Minniti. I democratici e progressisti sembrano essere già divisi sul piano migranti varato proprio dal Ministro dell’interno, qual è il suo parere? 

“C’è da dire che gli attuali scissionisti quando erano nel Pd avevano già indicato Minniti come una delle grandi novità del governo Gentiloni, quindi alcuni pareri si diffondono in maniera artificiosa. Sui provvedimenti di Minniti, che ci sono stati anche anticipati in audizione, ci sarà sicuramente da discutere, ma ciò che è certo è che si è riusciti a dare risposta compiuta a temi che per troppo tempo sono rimasti al tappeto. Nel centro sinistra si è da sempre discusso della chiusura dei Cie e il neo ministro è riuscito a correre ai ripari ridefinendoli. Tutto il resto sarà trattato in seguito in Parlamento. Tra l’altro, appoggiare un governo non significa essere acritici e accettare qualunque cosa, ma contribuire a correggere se c’è da correggere, e sostenere migliorando”. 

Sembrerebbe che il governatore della Calabria Mario Oliverio sia rimasto nell’area Renziana. Secondo lei perché? 

“Conoscendo Oliverio non vedo sul piano politico e culturale grandi affinità con Renzi. Ognuno è libero di fare le sue scelte e il presidente della Regione sicuramente le farà con una responsabilità diversa. Anche Rosy Bindi ad esempio, è più vicina ad una linea che si sta allontanando dal Pd ma rimane fuori dalla scissione per il carattere istituzionale del suo incarico da presidente della Commissione antimafia. La posizione di Oliverio quindi non mi meraviglia, ma in una prospettiva non immediata lo vedo più vicino a noi”. 

Ha a che vedere anche con il commissariamento della sanità? 

“Di questo si è parlato fin troppo e doveva essere un elemento che piuttosto avrebbe dovuto allontanare Oliverio dall’area di Renzi. L’ex premier del resto ha sempre parlato di questo aspetto ma non è riuscito a garantire nulla”. 

Degli altri parlamentari calabresi l’ha invece seguita Stumpo, mentre a Lamezia pare che per adesso non cambi nulla nemmeno per il gruppo consiliare Pd al Comune. Eppure nel corso degli anni le lotte interne hanno indebolito non di poco il partito. Come vede la situazione?

“A Lamezia il partito è stato praticamente chiuso. Negli ultimi tempi non ho affatto condiviso la linea del partito calabrese che ha avuto riflessi anche sulla città. Abbiamo chiesto più volte attenzione su Lamezia e non c’è mai stata. Quanto accade a livello locale però accade dappertutto, con circoli chiusi in tutta Italia. Ci si è focalizzati su un tipo di gestione dal quale abbiamo preso le distanze perché ha intenzione di funzionare solo a ridosso delle elezioni. Lamezia poi è già segnata dalla sconfitta alle primarie nelle scorse comunali dove non è riuscita a prevalere l’unità del gruppo dirigente. E’ stato sostenuto infatti un candidato che se pur rispettabilissimo oggi è dimissionario e questo la dice lunga sul fatto che non vi era alcuna prospettiva politica”. 

E al circolo Primerano? Due ex coordinatori hanno già fatto sapere di aver aderito a “Democratici e progressisti”

“Al circolo Primerano, con quelli che oggi potrebbero essere definiti scissionisti, la maggioranza numerica l’abbiamo sempre avuta ed è il motivo per il quale non si è arrivati alla composizione. Due coordinatori erano dell’area più di sinistra e il terzo era stato protetto e lanciato in avanti dall’attuale presidente della Provincia che aveva agganci sul territorio. Ora è il momento di fare chiarezza, finalmente potranno tutti dimostrare quanto valgono e mi auguro lo facciano”. 

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