La strage di Capodanno in Turchia: l’ennesima di una lunga serie

Scritto da  Pubblicato in Pino Gullà

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Ancora terrorismo di matrice islamica in un locale notturno di Istanbul, il Reina, dove la gente festeggiava il nuovo anno. Il metodo e la scelta dell’obiettivo ricordano il Bataclan parigino: luoghi di divertimento per colpire facilmente con il ritorno mediatico della paura. Abbiamo letto 39 morti e 69 feriti. Un gruppo di giovani italiani è scampato alla carneficina per miracolo. Dopo giorni, durante i quali polizia ed intelligence hanno brancolato nel buio, pare sia stato identificato l’autore dell’attentato: è un cittadino uzbeko, Abdulkadir Masharipov. Rivendicazione dell’Isis in un secondo momento. Il califfo nero considera la Turchia Paese traditore, specialmente dopo la riconciliazione con Mosca. Per comprendere i cambiamenti improvvisi di Erdogan è sufficiente fare riferimento all’abbattimento dell’aereo russo (il 24 novembre del 2015), da una parte e, dall’altra, al sicuro transito nel recente passato in terra turca dei foreign fighters per andare ad arruolarsi nell’Isis  e combattere contro gli uomini di al Assad. Questo avveniva fino a poco tempo fa. Ora è tutto cambiato. Alleanza con la Russia che difende la Siria. Ma la situazione permane confusa se pensiamo all’uccisione dell’ambasciatore russo ad Ankara. Insomma oggi in Turchia c’è di tutto e di più per quanto riguarda l’estremismo. Quella del Reina è l’ennesima strage; il 2017 inizia nel peggiore dei modi. Ormai gli attentati si susseguono senza sosta. Hanno già segnato il 2016 drammaticamente. Il 12 gennaio del 2016 attentatore suicida nel centro storico di Istanbul vicino alla Basilica di Santa Sofia e alla Moschea Blu, 12 morti.

Febbraio scorso ha visto esplodere ad Ankara un’autobomba scagliata contro un convoglio militare: 28 morti e 80 feriti. Il 13 marzo un kamikaze con auto si fa esplodere ad Ankara in pieno centro, ben oltre 30 le vittime. E continua a scorrere il sangue, a fiotti, il 28 giugno: attacco all’aeroporto Ataturk di Istanbul con un bilancio drammatico di 41 morti. E per non farsi mancare niente in termini di disordini, scontri e rischio di guerra civile, a luglio un tentativo di golpe (o contro-golpe per alcuni osservatori) con centinaia di vittime.  Pare che la difficoltà nell’individuare gli autori degli attentati, la facilità con cui vengono compiuti, la quasi mancanza di prevenzione siano dovuti pure alle epurazioni, agli arresti successivi al tentativo di colpo di Stato. Decine di migliaia gli arresti tra soldati, ufficiali e poliziotti. Inevitabili i buchi negli apparati di sicurezza. Alla fine dello stesso mese attacco dei Curdi ad una base dell’esercito turco con 43 vittime tra miliziani e soldati. Nemmeno le feste di matrimoni vengono risparmiati: a Graziantep, nell’Anatolia sud orientale, un kamikaze ragazzino si fa esplodere nel bel mezzo della festa e uccide 51 persone, tra cui 30 suoi coetanei. Nell’ultimo mese dell’anno attacco dinamitardo fuori dallo stadio di Istanbul: 44 tifosi rimangono esamini sul terreno. Abbiamo ricordato solo alcuni degli attentati dell’anno scorso. E dopo la strage di Reina il sangue continua  a scorrere: giorni fa esplosione davanti al tribunale di Smirne, almeno 2 morti e 10 feriti. Non finisce più la lunga scia di sangue. Significativa la dichiarazione del presidente turco Erdogan: “La Turchia è sotto attacco da parte di diversi gruppi terroristici”. Soprattutto nell’aggettivo “diversi” c’è la chiave interpretativa della situazione caotica turca insieme ai posizionamenti  del leader turco e delle potenze occidentali, altrettanto diverse e interessate. Non solo il Pkk, i radicali curdi del Tak, i gulenisti; ci sono altri gruppi minori, consorterie varie in un Paese, la Turchia, in cui fondamentalismo, nazionalismo, servizi deviati, provocatori riescono a trovare il loro spazio. Addirittura fa capolino Al Qaeda con militanti caucasici o di altre zone dell’Asia. Erdogan sembrerebbe in difficoltà. Eppure fino a qualche decennio fa era ben considerato dall’Occidente e dall’Europa (rimane membro della Nato) che ancora oggi lo considera prezioso per il problema profughi. I voltafaccia con gli antichi alleati arabi sunniti e l’avvicinamento con l’Iran sciita e con Putin hanno mutato in parte la situazione, rendendolo al’improvviso apparentemente fragile a causa degli attacchi terroristici. Eppure fino all’altro giorno è stato protagonista giocando il ruolo di un leader importante nel mondo musulmano.

Per ciò che concerne la politica interna, Daniele Santoro docente di Dottrine Politiche presso la Luiiss, ci dice: “Durante il primo decennio di potere [di Erdogan], il reddito medio pro capite dei Turchi è triplicato. I meccanismi di redistribuzione [ne hanno permesso] l’aumento (…) alle classi poveri. Erdogan ha inoltre abbattuto il tasso di mortalità infantile e il numero de bambini lavoratori”. E per il giornalista turco Etyen Mahcupyan: “[Negli anni passati] grazie alla buona gestione del debito pubblico, il tasso d’interesse sullo stesso era crollato dall’85% al 15%. Questo determinò un flusso d’investimento di circa 40 volte. Senza contare i progressi compiuti nei settori della sanità, dell’urbanistica e delle infrastrutture (…) Tutto ciò fece sì che, secondo i criteri delle Nazioni Unite, la classe media turca balzasse dal 41esimo al 20esimo posto”. Quest’ultima era formata dalle scuole della Confraternita di Gulen, predicatore, politologo, leader del movimento Hizmet, in esilio volontario negli Usa, alleato in un determinato periodo con il partito di Erdogan (AK Pati): successivamente, nei momenti di turbolenze e di “purghe”, Gulen cercò di portare i propri membri al vertice delle Forze Armate. Nel 2010 ci fu il referendum per la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura, appoggiato dalla confraternita gulenista e venne approvato un pacchetto riformatore con il 57% dei suffragi. Sull’onda del successo referendario Gulen chiese per le successive elezioni cento membri al Parlamento. Rifiuto. Per rappresaglia Gulen cercò di fare arrestare il segretario del Mit (l’intelligence nazionale).

Fu l’inizio dello scontro politico tra Erdogan e Gulen, in base alla ricostruzione storica di Mahcupyan. Si fecero ancora più aspri i rapporti quando Gulen appoggiò i moti di Gezi Park, la protesta contro la costruzione di un centro commerciale al posto del parco Gezi ad Istanbul. In quegli anni i rapporti con l’Ue e Gulen si incrinarono. Soprattutto difficoltà per l’adesione all’Ue. Ancora il predicatore Gulen cercò di ingigantire alcuni casi di corruzione nei confronti di quattro ministri. Ma l’elettorato rinnovò la fiducia all’Ak Parti (43%) per quanto riguarda le amministrative (marzo 2014) e ad Erdogan (52%) alle presidenziali (agosto 2014). Nella scorsa estate, a luglio, il tentativo di colpo di Stato, ma la popolazione scese in piazza ed Erdogan ha messo in atto l’epurazione nell’esercito, nella polizia e nella magistratura e come avviene in questi casi probabilmente sono state commesse degli errori e delle ingiustizie. Nel contempo si sono indeboliti gli apparati militari, la polizia e l’Intelligence. Da qui la difficoltà a prevenire e a reprimere gli attentati, i continui posizionamenti e la ricerca di nuovi alleati. Ci auguriamo che Erdogan abbandoni “il progetto di una centralità turca in Oriente” e ritrovi un nuovo equilibrio politico a tutto vantaggio della gestione dei profughi e del futuro possibilmente di pace in Siria, sperando che l’Isis possa essere sconfitto al più presto; in tal modo i foreign fighters insieme ai terroristi di matrice islamica potranno essere messi in condizioni di non nuocere non solo nel Vicino Oriente, ma anche in Europa e nel mondo.

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