Corruzione senza fine

Scritto da  Pubblicato in Pino Gullà

© RIPRODUZIONE RISERVATA

pino_gulla.jpgCorre l’obbligo intervenire per l’ennesima volta sulla corruzione, considerati gli interminabili episodi di malaffare. Qualche settimana fa il Lametino on line ha dato notizia del monitoraggio della Dia negli appalti pubblici del 2016. Risultati: 168 interdittive antimafia e 28 dinieghi di iscrizione alle white list (elenchi di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa). Ultimissime dal Corriere della Sera: “L’ appalto Consip da 2,7 miliardi potrebbe essere truccato”.   Si va alla ricerca di possibili rimedi, magari più aggiornati, evitando, in tal modo, di essere ripetitivi. I decreti sulla trasparenza hanno permesso, di fare passi avanti perché si adeguano al Foia (Freedom of information act), ovvero la legge sul diritto all’informazione per ottenere copia di qualunque documento richiesto, modello adottato a livello internazionale (più di 90 Paesi hanno un Foia) che consente l’accesso alle amministrazioni pubbliche. Si inserisce, e dovrebbe attecchire, in un ambito normativo già esistente: legge 241/1990, decreto legislativo 82/2005, legge 69/2009, D.lgs 2009, D.lgs 2010 … In virtù del diritto alla trasparenza, è stato introdotto l’accesso civico. “La regola generale è la trasparenza, mentre la riservatezza ed il segreto costituiscono delle eccezioni” (Chiara Bonora, Filodiritto). Ma monitoraggi al riguardo hanno dato risultati non sempre positivi come ha scritto Arturo Corinto su la Repubblica a proposito di uno studio fatto dalla onlus Diritto di Sapere: su 800 richieste inviate, il 73% delle amministrazioni non ha risposto; addirittura alcuni addetti agi uffici amministrativi non conoscevano il Foia. Sarebbe utile qualche corso di aggiornamento. D’altro canto Guido Romeo, presidente dell’associazione, ha dichiarato: “Lo strumento Foia, quando bene applicato, ha portato alla divulgazione di documenti prima accessibili e mai rilasciati in open data [dati rilasciati in formato aperto liberi da restrizioni]”. Insomma bisogna che il governo si impegni per l’applicazione del Decreto trasparenza ai fini di un libero accesso civico per l’emersione delle condotte illecite nelle pubbliche amministrazioni. Per adesso non tutto sta andando per il meglio. Si spera che le cose migliorino; il pass negli enti pubblici è importante per il controllo dal basso delle scelte politiche ed amministrative; rappresenta una conquista democratica non trascurabile se si pensa al probabile coinvolgimento delle comunità nei diversi settori della società con il conseguente miglioramento dell’efficienza amministrativa.

Se ciò avverrà in modo generalizzato, si creerà trasparenza in materia di appalti con una nuova e buona politica. Cambierebbero i comportamenti tra amministrazione e impresa in un rapporto di onesta collaborazione, facendo rimbalzare fuori dalla pubblica amministrazione i tentativi di corruzione. In pratica si formerebbe un sistema di anticorpi efficace contro il malaffare. Trasparenza e collaborazione renderebbero evidente la tracciabilità e l’iter delle imprese vincitrici delle gare; sarà possibile verificare la bontà del percorso burocratico o, al contrario, eventuali patti collusivi. Se il cittadino diventa “sentinella della legalità”, allora un eventuale amministratore, permeabile all’atto corruttivo, si guarderebbe bene dal compiere il malaffare per paura di essere scoperto. Michele Corradino nel suo libro E’normale… lo fanno tutti sostiene che è fondamentale una regolamentazione del lobbismo “per conoscere tutti i soggetti in grado di influenzare politica e amministrazione, tutti i portatori di interesse con cui vengono in contatto politici e amministratori”. Così facendo si attrarrebbero i lobbisti veri “verso valori condivisi” fissando “un codice di condotta” a cui attenersi. Già nel 1954 si è cercato di farlo senza riuscirci. Da allora più di 50 proposte di legge, la maggior parte neanche discusse, le poche (solo due) arrivate al Consiglio dei ministri non sono state approvate. E dire che gli operatori professionali vogliono la regolamentazione per distinguersi dai faccendieri o facilitatori. Pare che certa politica non sia d’accordo; il che lascia alquanto perplessi.

Nella pubblicazione citata viene dato qualche cenno storico sul ruolo dei cittadini nella lotta alla corruzione: “Il whistleblowing è l’istituto di origine anglosassone che individua un regime di protezione offerto dalla legge a chi denuncia un fatto di corruzione, o più in generale di malaffare, consentendo di recuperare la tangente e di assicurare i colpevoli alla giustizia”. Le prime norme in tal senso risalgono al 1863 quando fu approvata negli Usa la legge (False Claims Act) che autorizzava i cittadini ad attivarsi in caso di crimine nei confronti dello Stato. Protezione (garanzia dell’anonimato) ed incentivi (ricompense in denaro) hanno consentito, dal 1986 a tutt’oggi, di recuperare 60 miliardi di dollari su segnalazione dei whistleblower (coloro che forniscono informazioni sui comportamenti illegali). Negli Stati Uniti le imprese compromesse nel malaffare pagano per tre volte quello che hanno guadagnato illecitamente. Così passa la voglia di fare i disonesti. Chi denuncia e scopre l’illecito “ottiene una somma fino al 30% dell’importo recuperato”. Così il denunciante è incentivato. Il Whistleblower Protection Act del 1989 assicura il completo anonimato a chi segnala. Così non si ha timore nel fare le denunce. Dal 2002 le tutele sono state estese al settore privato. Nel Regno Unito in linea di massima lo stesso sistema con qualche differenza rispetto a quello americano: Il Public Interest Disclosure Act (Pida) dà molta importanza alle informazioni qualificate che denuncino fatti rilevanti. Prevista la protezione di cui sopra, ma non il guadagno personale. In Italia è in vigore dal 2014, centinaia le segnalazioni.

In discussione al Senato il disegno di legge per pubblici dipendenti “sulla tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito del rapporto di lavoro pubblico-privato”; dovrebbe garantire l’anonimato di chi denuncia o, per meglio dire, si propone di rafforzare la riservatezza del segnalante, a rischio per possibili trattamenti discriminatori, di ritorsione o di mobbing. Diritto 24, il portale de Il Sole 24 ORE, sottolinea la novità dell’art 2 della proposta di legge in questione “riferito alla tutela del dipendente o collaboratore che segnala illeciti nel settore privato”. [Chi è direttore dell’ente, chi è sottoposto alla vigilanza, ha il dovere] di presentare segnalazioni di illeciti che ritengono si siano verificati (…). Inoltre bisogna prevedere la tutela dell’identità del segnalante con relative sanzioni per chi violi gli obblighi di riservatezza”. Non sono previsti premi per chi segnala illeciti. Verifica continua e riscontro rigoroso delle segnalazioni sono oltremodo necessari perché delazione e calunnia sono sempre in agguato; quindi ricorrere a questo strumento (che si vuole rafforzare) con responsabilità e consapevolezza. Da quanto scritto si evince che si stanno cercando soluzioni normative per la prevenzione di tali reati perché l’azione encomiabile della Magistratura e delle Forze dell’Ordine non può essere risolutiva. Bisogna continuare sulla strada intrapresa per ottenere una riduzione sensibile degli episodi corruttivi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA