La fuga dalle università

Scritto da  Pubblicato in Luigi Michele Perri

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L’onda lunga del diritto allo studio e degli accessi alla cosiddetta “università di massa” ha esaurito da tempo la sua carica vitale. Il nostro giornale mostra, nell’attualità delle cifre ufficiali (che qui tralasciamo), il crollo delle immatricolazioni, una tendenza che negli ultimi anni si è sempre più consolidata. Anche qui il divario Nord – Sud appare devastante per le sorti di un Paese che è già maglia nera in Europa per numero di laureati. L’Italia è sempre meno competitiva, ma, peggio, lo è senza avere prospettive di recupero proprio in ragione del progressivo spopolamento degli atenei e del diffuso scadimento delle loro offerte di studio. Meglio una università di massa, che abbia il problema della selezione e il pregio della opportunità del riscatto sociale, che non una università elitaria, meno preoccupata della selezione e più versata ai riflessi delle diseguaglianze sociali. 

I giovani sono in fuga dall’università, e questo è l’effetto di una crisi (tutta italiana) che ha privato le ultime generazioni dal loro tempo più proprio, il futuro. E’ successo nell’ambito dello studio, come è accaduto nell’ambito del lavoro. Nell’uno che (inevitabilmente) confluisce nell’altro, cresce il numero dei rassegnati, ossia di quelli che, frustrati, nemmeno più cercano lavoro e di quelli che, sfiduciati, mostrano di essere sempre più persuasi che il “pezzo di carta” resti appunto un pezzo di carta senza valore e che, in ogni caso, non rappresenti più uno strumento strategico di (auto)realizzazione personale. Così è in aumento la disoccupazione/inoccupazione, e lo è sia come fatto di rilievo economico-sociale, il che è già tanto, sia, più intimamente, come piaga generazionale sanguinante al pari di un’esperienza bellica.

Certo altri fattori concorrono ad alimentare un fenomeno involutivo così allarmante. Ci sono i costi in aumento della formazione universitaria – costi che stanno diventando del tutto proibitivi per i redditi medi -, come ci sono le borse di studio di pretta marca italiana che sono quelle per vincitori non beneficiari – nel senso che ci sono studenti che ne acquisiscono i diritti, ma non possono goderne i frutti “per mancanza di fondi” -, come ci sono servizi sempre più carenti, come c’è una reviviscenza del baronato che, senz’alcun contrasto, fa il bello e il cattivo tempo a tutto danno del sistema e dei suoi fruitori. La diffusa assenza di meritocrazia con l’incremento della burocratizzazione alimenta il rigetto dei giovani verso l’università. Il sistema va rifondato, più che riformato. Non sarà la Buona Scuola renzista ad invertire la rotta disastrante della fuga dagli atenei.  

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