Tonino Falvo e il coraggio di scrivere

Scritto da  Pubblicato in Giovanni Iuffrida

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Il ricordo di Tonino Falvo è ancora vivo nel timbro della sua voce ma soprattutto nelle parole. Risuona ancora come un'eco l'energia della comunicazione, con la musica, il teatro, la scrittura. Uno dei suoi ultimi lavori ha un titolo che sembrava presagire il silenzio che adesso lascia un solco profondo: “Perché traccia rimanga”. E la traccia di Tonino è rimasta, ancora aperta dal vomere del suo pensiero, grazie a una vita percorsa alla ricerca della trasformazione dei sentimenti, della sensibilità nelle forme espressive del corpo e soprattutto della scrittura. Corpo e voce erano un tutt'uno, inscindibile; era difficile immaginare la sua voce come qualcosa di autonomo rispetto al suo corpo e al suo pensiero, acuto, chiaro e netto, che lasciava intravedere l'invisibile. La sua scrittura, colta, graffiante e nello stesso tempo raffinata, racchiude riflessioni sull'involuzione progressiva degli effetti della lezione di don Saverio Gatti e della sinistra in generale, denunciando contraddizioni dolorose e grevi, che allontanavano campanili e sedi di partito dal tradizionale popolo di sinistra. La sua amarezza è racchiusa nel richiamo alle parole del celebre sacerdote: “E i poveri? Dove sono finiti?”

Ha seminato molto sul terreno da lui arato, come un contadino paziente cercando di scansare l'onda dell'azione regressiva della costellazione della sinistra che cambiava orizzonti e visioni – dalle “genti grame” al berlusconismo più volgare, che ancora oggi contrasta con i valori del territorio. Nelle sue riflessioni, il vomere della scrittura andava in profondità e tentava di sovesciare gli uomini come si fa con la terra da riseminare, nelle rotazioni della vita. In questo stava la sua forza, nel disperato tentativo di “accendere un lume”, creare un humus sociale in grado di autodeterminarsi con tutte le forme espressive. Soprattutto il linguaggio del teatro gli consentiva i maggiori coinvolgimenti e radicamenti. I giovani rappresentavano, nel territorio e per il territorio, l'humus più pronto, la parte più fertile, soprattutto dove maggiori erano i disagi e dove gli spazi urbani consentivano, come una grande scenografia, di coniugare gli atti, le azioni con la cultura.

Le riflessioni raccolte in “Perché traccia rimanga” esprimono con maggiore intensità la sua delusione – citando Tommaso Campanella – per “il sonno infame” di Lamezia, con un linguaggio “un po' crudo”, per esprimere la delusione di una sinistra che ha ammazzato se stessa e in cui Tonino ancora resisteva e insisteva a riconoscersi, con profonda amarezza. Le lotte per le “cose” pubbliche e per la salvaguardia dell'ex zuccherificio rappresentano le prove tangibili della delusione coltivata nei confronti della “sua” sinistra che, anche a Lamezia, si posizionava però dall'altra parte della barricata, così come i partigiani nell'uccisione del fratello di Pier Paolo Pasolini, trasformandosi “progressivamente” da compagni in amici, ma della parte più deleteria del centrodestra, con cui si è confusa dal 2005 come un Frankenstein politico. Bisognerebbe rileggere tutta la sua opera per capire meglio la città degli ultimi anni e per riaccendere, “nel buio torbido di questo tempo”, il lume di lucerna invocato da Tommaso Campanella. Ma la rappresentanza politica locale non lascia spazio ad alcuna speranza. Forse anche per questo se n'è andato.

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