A Lamezia è l'ora del dissesto urbanistico, ma anche della trasparenza

Scritto da  Pubblicato in Giovanni Iuffrida

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Di dissesto in dissesto l'ora (o la fine?) si avvicina. Dopo aver sfogliato la margherita economico-finanziaria del “dissesto c'è, il dissesto non c'è”, si avvicina inesorabilmente l'ora del dissesto urbanistico. Molti sono pronti a sfogliare la margherita personalizzata, che tengono pronta, all'occhiello, per tanti convitati di pietra. L'esercito dei cementisti ha una margherita di petali di cazzuole e  “fracassi”, ovvero, al singolare, frattazzo, che non è una parolaccia. Quindi l'esito è scontato (nel senso di dissesto). Qualunque sia il petalo finale, il risultato sarà sempre e comunque una cazzuola o un frattazzo, attrezzi utili soltanto per lisciare l'aria, visto che nessuno ha programmi reali d'investimento per una città di qualità. In periodo elettorale il programma di un'edilizia a tutti i costi rappresenta un ossimoro: è il dissesto  redditizio per la politica di più basso profilo del centrosinistra di questi tempi bui. Tutto ruota sul gioco del c'è e non c'è. Ormai è così. Intanto il  maxi-emendamento c'è, ma non c'è un'idea di città. (del resto a chi è utile dal punto di vista elettorale una città che funzioni per tutti?). Comunque, tra fughe, ritirate strategiche e ritorni tutto è proiettato verso una conclusione felice delle favole a lieto fine. Molte indagini giudiziarie languono, nonostante la montagna di carta depositata nei magazzini polverosi dei rid (ovvero ridicoli) di Caltanissetta, che stanno ancora attardandosi ad analizzare il dna della carta di pioppo, per stabilirne la provenienza, e ad individuare la tipografia clandestina in cui è stata impiegata. Ma non avendo ancora capito dove è stato prodotto l'inchiostro utilizzato, non si prospetta nessun esito chiarificatore nell'immediato. Se ne parlerà sicuramente a consultazione elettorale espletata, per poi poter dire, da chi la sa lunga in materia di giustizia, “così va il mondo, fatevene una ragione”. Del resto se in Calabria anche tre giudici antimafia sono accusati per legami con le 'ndrine più feroci, se consiglieri della Corte dei Conti e Tar di mezza Italia sono stati travolti da scandali, tanto che si parla di criminalità del giudiziario, cosa c'è da aspettarsi?

Sembra, invece che – a detta di alcuni rispettabili dirigenti – il brigantaggio sia un fenomeno che riguarderebbe soltanto il personale dipendente del Comune: infatti, un alto funzionario ha dichiarato al Pubblico ministero, in un'udienza penale del 10 gennaio 2013, che avrebbe fatto fatica a “cercare di riportare legittimità a comportamenti dell'intera macchina comunale”. E questo sarebbe lo stesso alto funzionario al quale Mario Giordano in “Sanguisughe” dedica molte righe per ricordare che “incassa un assegno da 578.000 euro per andare in pensione con qualche anno di anticipo sui comuni mortali e poi, appena messo in tasca il malloppo, bel bello se ne va ad assumere un altro incarico pubblico”. Forse anche in barba a qualche legge dello Stato: la n.135/2012. Intanto, in questa favola  urbanistica che sta per concludersi, dove tutti si aspettano di partecipare da protagonisti nel “vissero felici e contenti”, la stragrande maggioranza del personale comunale vive il “ristretto del pane”: una strategia dell'esercito francese per annientare i briganti, che oggi identificherebbero molti dipendenti, gli unici evidentemente a essere tacciabili di mafiosità. Tanto che alcuni esponenti della rappresentanza sindacale aziendale hanno evidenziato che c'è davvero da preoccuparsi se il Comune ricorre a professionisti esterni per “supportare – come si legge – tecnicamente e amministrativamente le risorse umane in dotazione al fine di perseguire la corretta fattibilità a livello tecnico-amministrativo”. È un'affermazione grave, contro il personale, che non ha bisogno di ulteriori approfondimenti.

Ma non tutti i dipendenti comunali, ovviamente, sono briganti. Infatti, questa è la ragione che spiegherebbe perché non si ribellano quei dipendenti che fanno parte, a pieno titolo, della schiera dei polli d'allevamento, vere e proprie batterie allestite per godere dei privilegi dell'appartenenza politica, in un momento in cui molti vivono ristrettezze tali per cui anche un euro ha un valore importante. Quelle stesse ristrettezze che riguardano soprattutto i molti giovani professionisti liberi (dal lavoro) che non hanno santi nel paradiso di quaggiù. Sono stati numerosi i casi, infatti, di attribuzioni di incarichi direzionali a dipendenti che non hanno personale da dirigere o a dipendenti che non svolgono attività ordinaria impegnativa, quella che sarebbe necessaria per onorare lo stipendio: uno schiaffo d'immoralità a chi è disoccupato. Per questa ragione, alcuni rappresentanti sindacali, forse anch'essi briganti, chiederebbero la trasparenza pretesa da una legge di questo Stato, in modo che tutti – soprattutto i giovani liberi professionisti in cerca del primo lavoro –  siano messi a conoscenza dei dati relativi agli incarichi conferiti a dipendenti privilegiati con i relativi compensi e quanto hanno prodotto per il lavoro ordinario, cioè per i servizi per cui i cittadini sono costretti a pagare tributi altrettanto immorali. La corretta applicazione dell'obbligo di pubblicazione degli euro extra stipendio (d.lgs 33/2013) consentirebbe a tutti di poter giudicare, in sostituzione dei criminali del giudiziario.

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