Calabria: dalla dominazione Normanno-Sveva a quella Angioina

Scritto da  Pubblicato in Francesco Vescio

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francesco_vescio.jpgNella seconda metà del XIII secolo nell’Italia meridionale si verificò un decisivo mutamento dinastico: il potere monarchico passò dai Normanni – svevi  agli Angioini; tale evento inciderà sull’assetto politico italiano ancora  per circa due secoli fino alla conquista del Regno di Napoli da parte di Alfonso d’Aragona nel 1442, in generale,  ma  in modo particolare ed incisivo sulle strutture politiche e sociali delle regioni facenti parti del Regno in conseguenza della venuta dei nuovi conquistatori e della loro gestione del potere politico-istituzionale.

Nel presente scritto si cercherà di delineare prima i motivi e le diverse fasi del mutamento dinastico e successivamente le conseguenze immediate di tale evento sulla vita istituzionale ed amministrativa della Calabria. La morte dell’Imperatore Federico II nel 1250 mise in moto un intreccio di questioni dinastiche tra gli eredi , di conflitti nei rapporti tra sovrani e feudatari, ed, in ultimo, ma di decisiva rilevanza,  problematiche, mai chiaramente e definitivamente risolte dalle parti, inerenti i secolari rapporti giuridico-feudali tra Papato e Regno dell’Italia meridionale; il sovrano svevo aveva  cercato di risolvere la successione dinastica tra i suoi figli, legittimi e illegittimi, tramite testamento, tuttavia i problemi sorsero ugualmente, quasi subito dopo la sua morte, per come esposto nel  brano successivo: “Il Regno e l’Impero – erano le ultime volontà di Federico – sarebbero andati al figlio Corrado (che allora aveva 26 anni). Se Corrado fosse morto prima del tempo senza eredi, la sua eredità sarebbe andata al fratello Enrico (allora minorenne). Se Enrico fosse morto senza discendenti, Manfredi sarebbe stato re [C’è da evidenziare che gli eredi designati erano fratellastri in quanto figli di tre madri diverse, i primi due legittimi, il terzo legittimato, N.d.R. ]. Fino al giungere dalla Germania di Corrado, Manfredi, figlio di Federico e di Bianca Lancia, avrebbe assunto il vicariato generale del Regno. E Manfredi, diciottenne, sostenuto soprattutto dalla famiglia materna dei Lancia, alla quale non cessava di offrire concessioni e potenza, assumeva, foss’anche quale personaggio unico presente, la reggenza del Regno. Si apriva una lotta interna per la successione della corona che vedeva contrapposte due grandi famiglie, i Ruffo e i Lancia. Per porre rimedio alle insurrezioni di città e di baroni accesesi alla notizia della morte dell’imperatore, Manfredi raggiungeva subito le province settentrionali del Regno ( Puglia e Terra di Lavoro ). In attesa dell’arrivo di Corrado, Enrico era inviato dallo stesso Manfredi in Sicilia e in Calabria, sotto il baliato di Pietro Ruffo  [Questi era un barone calabrese molto importante nella corte di Federico II, nativo di Tropea, N.d.R.] , presumibilmente affidatogli dallo stesso Federico. A questo punto, oggettivamente, il Regno si trova già diviso. Ruffo non considera per nulla un subbaliato concesso da Manfredi quello che esercita su Enrico, ma si comporta come un viceré che detiene la autorità di Corrado. Manfredi vede disattese tutte le direttive che concernono la Sicilia e la Calabria: non è in grado di costituirvi conti i suoi zii (ricompensandoli di meriti guadagnati al servizio di Federico II); vede ineseguiti da Pietro anche ordini di inviargli cavalli dalle marestalle calabresi, truppe e cavalieri per le sue guerre pugliesi. Lo stesso Galvano Lancia, zio di Manfredi, inviato a Messina, dal nipote nel tentativo di sostituire il maresciallo di Sicilia e Calabria , sfugge a stento alla violenza della folla che Pietro gli ha sollevato contro [… ] Quando Corrado giunse in Italia, dopo i primi convenevoli, si comportò in maniera molto fredda verso il fratellastro. Del resto, se qualcuno dei due avversari (Manfredi e Ruffo) poteva apparire ai suoi occhi come potenziale, pericoloso usurpatore, questi non poteva essere Ruffo, il quale aveva soltanto eseguito con scrupolo (forse con calcolata rigidezza, ma con lealismo svevo ) le sue funzioni e i compiti assegnatigli; ed in più aveva il merito di avere ostacolato l’ascesa dei Lancia. Era Manfredi a dover rendere conto di una serie di atti che apparivano indebiti… (Franco Porsia, Calabria Normanna e Sveva, in ‘Storia della Calabria Medievale. I Quadri Generali, Gangemi, Roma- Reggio Cal., 2001, p.167).

Nel 1254 morirono prima Enrico e poco dopo Corrado IV, che lasciava come erede Corradino, ancora bambino; la reggenza passò a Manfredi, che riprese la politica del padre appoggiando in Italia il partito ghibellino contro quello guelfo e questa sua politica lo portò ad una aperto conflitto con i Papato, come viene spiegato nel testo successivo: “Riprese quindi la reggenza Manfredi, il quale riuscì a consolidare talmente la propria autorità nonostante la scomunica lanciatagli dal nuovo papa Alessandro IV ( 1254 1261) , che nel 1258, sparsasi la voce della morte di Corradino, si proclamò addirittura re di Sicilia. Un re di Sicilia non imperatore era appunto ciò che volevano i papi; ma Manfredi seguiva nel regno la medesima politica accentratrice di Federico II, senza nessun rispetto dei privilegi del clero e dell’alta sovranità della S. Sede. Inoltre in lui, appunto perché non imperatore, avevano più libero, e quindi più pericoloso campo di azione, le tendenze italiche del padre suo. Infatti, prima ancora di assumere la corona, aveva cercato di guadagnarsi l’amicizia di Genova e del Comune di Roma: subito dopo prese ad intrigare nella Lombardia e nella Toscana per farsi protettore e capo dell’antica parte sveva” (Francesco Lemmi, Storia d’Italia fino all’Unità, Sansoni,  Firenze, 1965, pp.107-108).

Alla sempre più crescente potenza di Manfredi si oppose la politica del Papato con l’obiettivo delineato nel brano seguente: “In Sicilia occorreva un sovrano che non avesse alcuna possibilità di diventare imperatore e che fosse, nello stesso tempo, ossequiente ai voleri della S. Sede. Già Alessandro IV s’era rivolto per aiuto ad Edmondo, figlio di Enrico III d’Inghilterra, il quale non aveva accettato: Urbano IV (1261-1264), ch’era francese, si rivolse a Carlo d’Angiò, fratello di Luigi IX  [Era, cioè,  il re di Francia, N.d.R.], e questi accettò  […] L’accordo fu definitivamente concluso con Clemente IV (1265- 1268), anch’esso francese. Carlo promise di tenere il regno come feudo della Chiesa. Di revocare le costituzioni contrarie alle prerogative ecclesiastiche, di ristabilire le immunità e i privilegi dei tempi di Guglielmo il Buono, di non farsi signore né Toscana, né della Lombardia e, tanto meno poi, re di Germania e imperatore […] e il 6 gennaio 1266 ricevette solennemente in S. Pietro la corona di Sicilia” (Francesco Lemmi, ibidem, pp.109- 110). Carlo d’Angiò sconfisse Manfredi il 26 febbraio dello stesso anno presso Benevento; l’anno successivo dalla Germania venne in Italia Corradino per riconquistare il regno; lo scontro armato contro Carlo d’Angiò avvenne il 23 agosto del 1268 presso Tagliacozzo, cittadina in provincia dell’Aquila; quest’ultimo conseguì la vittoria ed il giovane sovrano svevo fu costretto alla fuga; con un tradimento fu consegnato a Manfredi, processato per lesa maestà, fu decapitato a Napoli il 29 ottobre dello stesso anno. Terminò così tragicamente la monarchia normanno-sveva. In Calabria, come in altre regioni, ci furono arresti, processi, condanne a morte; ma di maggiore rilevanza apparvero le confische dei beni dei sostenitori dei sovrani  normanno- svevi, come viene esplicitato nel testo seguente: “La confisca dei beni dei ribelli consentì al re di consolidare la conquista con il rinnovamento della feudalità del Regno, immettendo nel possesso dei feudi dei francesi, molti dei quali furono pure chiamati a ricoprire gran parte degli uffici amministrativi e giurisdizionali. Nel 1279 tutti i castellani in Calabria sembrano essere francesi…”. (Salvatore Fodale, La Calabria Angioino- Aragonese, in ‘Storia della Calabria Medievale - I Quadri Generali’, op. cit., p. 187). L’affermarsi della monarchia angioina nella regione determinò, in modo particolare, un profondo mutamento dei feudatari e del personale amministrativo del Regno.

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