Una montagna ed il mondo possibile

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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francesco_bevilacqua_.jpgCaldo. Afoso, umido. Sole. Cocente, abbagliante. Ma è mattino presto. A quest’ora la luce radente dell’est ancora cancella il velo di condensa che appena inizia la sua ascesa dal mare verso i monti. E li vedi, i monti. Quelli lontani, nel loro azzurro di terre favolose: i profili seghettati di Montea e Petricelle. Quelli più vicini: le pietraie sconfinate di Serra Bonangelo, Serra La Limpida, Timpone Sirio, Monte Ciagola. Solchiamo l’altopiano cosparso di pascoli, coltivi, frutteti, orti, rovine. Dove mille anni fa, guerrieri catafratti facevano la spola sui loro poderosi destrieri. Verso Castel di Raione. Fortilizio longobardo (forse anche bizantino) sul cocuzzolo di una grande rupe. Nell’unica masseria dell’altopiano due ragazzi dalle fattezze nordiche fanno sprizzare il latte dalle mammelle delle capre. La madre è nella casa di pietre, a sfaccendare. Grossi cani bianchi badano a tenere lontani gli intrusi. Uno ha ancora i segni del morso di una volpe sul muso. Grondiamo sudore sull’erta. Attraversiamo i resti dei muri di pietre cosparsi di cocci grezzi.

In cima ci si apre il mondo. Quel mondo. L’intera valle del Fiume Argentino. Antica via di transito: soldati, boscaioli, legnaioli, acquaioli, carbonai, mercanti di sale, scambiatori di prodotti, contadini, pellegrini, monaci, pastori. La valle ha almeno altri due luoghi fortificati simili, sull’altro versante: Castel S. Noceto, Castello Brancato. Vedette di controllo sui transiti. Transiti importanti, strategici, quando era tutto un pullulare di vita. Silenzio. Lieve ronzare di vespe e calabroni. Fiori smaglianti sfuggiti all'arsura dell'estate. Scampanellio di un centinaio di capre che salgono come camosci sulle balze rupestri opposte alla nostra rupe. Ci dirigiamo lì. Entriamo nel mondo delle capre. Ci facciamo capre. I due ragazzi sorridono incuriositi, affabili. Raccontano vite che credono non interessino a nessuno. Forse emigreranno appena possibile. O forse no. Esploriamo la pendice per trovare un’ardua via verso Cozzo del Lepre. Il cielo rantola. L’umidità si ammassa in nuvole scure. Tracciamo una traiettoria ideale come via di fuga, verso la masseria in basso. Scendiamo rapidi. Per evitare di essere colti dal temporale lassù. Alla masseria c’è ricotta calda. C’è formaggio primo sale. Ci sono sorrisi. C’è convivialità. C’è fiducia. Sentimenti rari. Questa gente è l’anima dei luoghi. Castel di Raione, le rovine in cima, il paesaggio, i sentieri, le capre, la masseria, i suoi abitanti, sono il mondo. L’altro mondo possibile.    

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