Sul monte Mancuso: dove la bellezza non ha valore

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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francesco_bevilacqua.jpgQuesta domenica il cammino sarà breve. Vicino casa. In un luogo relativamente piccolo. Ernst F. Schumacher scrisse nel 1973 un libro famoso, dal titolo “Piccolo è bello”. Che è “uno studio di economia, come se la gente contasse qualcosa”. Aveva lucidamente compreso. Tutti stipati nelle grandi concentrazioni urbane. A ricevere ordini. Governati da istituzioni mastodontiche. Per darci l’illusione di esistere. Gizzeria è una piccola comunità, invece. In bilico fra montagna e mare. Fra villaggi montani e il suo doppio sulla costa. Fra resistenza e abbandono. Fra utopici e depressi. Un paese di sopravvissuti. Nella luce fulgida del mattino percorriamo la stradina che sale alle poche case di La Presa. Un perfetto balcone sul Golfo di Sant’Eufemia. Ci si dovrebbe svegliare, chi ci abita, con il cuore gonfio di grazia per la quotidiana ierofania dell’alba che colora il mare in un cerchio di montagne. Freddo. Resiste ancora l’alta pressione di questi giorni, che ci consente di posare lo sguardo verso sud, fino all’Etna, innevato e fumigante, all’Aspromonte, alle Eolie. Un lungo traverso in un eroico bosco di cerri ci porta all’attacco di Serra Pelata. Ci innalziamo sul crinale che punta dritto verso nord. Dietro e sotto di noi, la distesa liquida del Tirreno. Siamo droni che non hanno bisogno di volare. Su tutto domina la “bruvera” di eriche. Dalle radici si traevano i ciocchi preziosi per intagli, pipe, zampogne. Sul filo di cresta. A destra la bruvera, con cerri radi, cisti, ginestre, agrifogli.

A sinistra la faggeta, che scivola ripida verso una gola. Da quassù si vede la Piana, invasa di serre, costruzioni, capannoni. Dove la gente crede di contare. Ma si vede anche il cesello infinito delle pendici dei monti, fatto di orti, pascoli e coltivi. Dove la gente è certa di non valere nulla. Su, sempre più su. Faggi ciclopici. Mi domando come abbiano fatto a sopravvivere alle asce e alle motoseghe. Poi una brutta, isolata, inutile, saccheggiata costruzione ad oltre mille metri di quota. Doveva essere un ostello della gioventù del Comune di Falerna. Un monumento alla stupidità umana. Nel cuore della faggeta sommitale. Chiazze di neve gelata. Un lungo giro attorno alla cima sud del Monte Mancuso (m. 1290). Poi, alla sella sotto Monte del Greco. Scendiamo a destra giù di nuovo verso La Presa. Come volare dalla montagna al mare. Una terrazza naturale tra i pini. Mai paga di visioni. Di nuovo la bruvera. Di nuovo piccole case sullo sfondo del mare. Un vecchio contadino ci ha atteso. Vuol capire che ci facciamo lì. La stessa domanda che da anni, forse, rivolge a se stesso. Vive su una miniera di preziosi, ma non lo sa. Non occorre far buchi nella terra, estrarre diamanti. Tutto l’oro necessario è sparso lì intorno, accanto a lui. “Ci sarà sempre più gente – scrisse Giuseppe Berto nel 1962 – che pagherà prezzi sempre più alti per avere un po’ di bellezza davanti e intorno qualche metro quadrato di solitudine. Ebbene, questa ricchezza viene ogni giorno dispersa, e la sua integrità in tutti i modi violata”. 

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