Il viaggiatore ritorna. Sempre.

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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francesco_bevilacqua.jpgIeri, un amico, mi ha mandato una bella frase di José Saramago sul viaggio. "Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: 'non c'è altro da vedere', sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva [...]". Così, oggi, mi sono incamminato sulle mie stesse tracce di trent'anni fa. Grazie a un gruppo di amici che ha riproposto quel mio vecchio percorso solitario. Di cui ben poco ricordavo, se non avessi fissato delle immagini sulla fotocamera e le avessi poi pubblicate su uno dei miei libri. Nelle montagne di Falconara Albanese. Al piccolo paese della Catena Costiera, la campane della chiesa madre chiamano la messa mattutina. All'interno, il prete, mi fa cortesemente riprendere l'altare bizantineggiante.

Qui il rito è greco. Anche le case sono diverse da quelle di ogni altro paese della Calabria. Su, in montagna, la nebbia regna sovrana. Ci sorprende un freddo gelido e penetrante. Siamo nell'isola calcarea della Catena Costiera, altrove fatta di rocce cristalline. Masseria Rizzo, al limitare del bosco d'altura, è ancora attiva. Di domenica non si smette di lavorare. Un uomo sul trattore ara un campo impregnato di stallatico. Cinque grossi cani bianchi a chiazze nere, con i collari si ferro puntuti, abbaiano insospettiti. Gli animali sono al pascolo chissà dove. I pastori osservano straniti il nostro gruppo variopinto. Camminare nella nebbia è un privilegio unico. Non vedi il paesaggio, i monti, il mare. Vedi un altro paesaggio, che senza la nebbia non avresti mai visto. E' una visione più intima: alberi come ricami su uno sfondo lattiginoso; felceti arancioni stesi in terra dall'inverno; rupi mostruose tappezzate di muschi; prati verdi e pingui; alberi tentacolari; alberi maestosi; alberi madidi di rugiada. E' una visione interiore, magica, ieratica. E' come se non fossi mai stato in quel luogo! Come se non riconoscessi me stesso! Come se dovessi tornare a guardarmi dentro. Solo ora riconosco l'immagine del libro: la rupe e l'albero, avvinghiati, sono rimasti qui, ad attendermi. Ed io ho lasciato lì una parte di me, che ora ritrovo. E poi ancora pianori dove un tempo si coltivava il grano di montagna. E una grande rupe sconosciuta, alla quale prometto di tornare. Poi Masseria Silo, una vecchia casa di pastori abbandonata. Poi ancora rupi, e resti di ripari, e muri grossolani, e piste intricate, e di nuovo il bosco di faggi invaso di agrifogli,e finalmente l'alto pinnacolo di roccia del paese, sul quale sale una misteriosa scalinata, che connette gli uomini col cielo. "Bisogna tornare sui passi già dati, per ripeterli - scrive Saramago -, e per rintracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre.

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