Festa del ritorno in Aspromonte

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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 E' fatto di acque, rocce e alberi, l'alto Aspromonte. Acque che urlano. Rocce che si frantumano. Alberi che s'inseguono a perdita d'occhio. Partiamo presto, da Serro Cerasia. Il primo cammino serio dopo l'infortunio. Il mio medico esige massima prudenza almeno sino a settembre. Ma io soffro, nel profondo del cuore (e della psiche), senza le mie montagne, le avventure, le scoperte, le fatiche, le preghiere. Così colgo, non senza sensi di colpa, la prima intuizione che al sabato mi s'affaccia alla mente. Sinora ha fatto cose brevi e facili. Per mettere alla prova il piede, il respiro, il cuore, l'umore, i muscoli. Prima dell'incidente avevo lasciato in sospeso la visita alle tre ninfe dell'Aspromonte. Mi resta ancora un parto lustrale, quello dell'Aposcipo, per completare il trittico. Vi manco da tanti anni. Calda domenica d'inizio estate. Rinfrescata da brevi refoli di vento. Percorriamo un sentiero nel bosco di pini larici. Guadiamo due rami alti della Butramo. Vecchi farnetti, dalla corteccia chiara, maculata di muschi. Paiono una comunità di oranti. L'incrocio con la via che porta al poggio di Croce di Dio Sia Lodato. Pieghiamo a destra, giù, verso il Ferraina. Trote, a decine, guizzano nell'acqua di smeraldo. Il vecchio casello di Canovai, da dove parte il classico itinerario segnalato per la cascata di Forgiarelle. Ma la nostra meta è un'altra, un "luogo celato" come dice il suo nome di ascendenza greca: Aposcipo.

La mia memoria (e il desiderio) mi guidano sul costone tra pini, faggi e roveri giganti. Giù, per la cresta scoscesa, fuori dal bosco. Con dinanzi lo spettacolo sublime dell'Aspromonte mediano: ginestreti in fiore, pendici dirupate, enormi alberi radi artigliati alla terra, frane, meandri di fiumare, gole improvvise. A perdita d'occhio. Da molto lontano un pastore lancia i suoi malinconici richiami. Rapaci roteano in cielo. Una labile traccia tra rupi sfasciate. Sotto due querce isolate, i resti di un rifugio di pastori, come quello entro cui trovano riparo e si amano due giovani, in "Temporale d'autunno" di Corrado Alvaro. Sempre più in giù sino all'aereo posatoio d'aquile da dove si ammira la terza ninfa: Palmarello. Alta, bianca, esile, filiforme, come una principessa elfica. Dura è la risalita. Nell'atmosfera abbacinante dell'ora panica, quando si potrebbe essere rapiti degli spiriti dell'aria. Ansimiamo, sudiamo, fatichiamo. Riguadagnamo il bosco. Ci rifocilliamo a Canovai. E poi via, su per la restante salita. I farnetti pregano ancora. Ma la luce del pomeriggio mi mostra qualcosa sullo sfondo alle loro spalle. Uno di quei richiami inespressi ai quali non si resiste. Lascio la via, traverso lateralmente. Sbuco su una fantastica rupe che domina un ramo alto della Butramo. In basso, nel bosco, un capriolo si dilegua rapido. E' questa la mia festa del ritorno.

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