Diversamente vedente, quattro: i piedi e il cielo

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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Non avevo mai pensato a quanto siano importanti - e fragili - i piedi dell'uomo. Quelli sui quali troneggia e deambula il più presuntuoso essere vivente della Terra. I miei, durante gli innumerevoli cammini per valli e monti, li ho maltrattati oltre misura. Tutto il mio corpo è stato sostenuto da quelle due strane escrescenze. Quasi piatte. Lievemente - e inspiegabilmente - inarcate. Collegate alle gambe dalla caviglia. Al contatto con la terra. I piedi servono a camminare! E che sarà mai 'sto camminare? E' il gesto più usuale e reiterato delle nostre giornate. Quello che ci serve per spostarci, per andare in bagno, in cucina, al lavoro, ai negozi, nell'orto, in giardino, a scuola, a messa. Quello che facciamo per prima cosa al mattino, appena svegli: sollevarci dal letto e metterci in piedi: sui nostri due piedi. Con i miei ci avevo perfino camminato scalzo. Sull'erba tenera, sulle foglie secche, sulla terra e nell'acqua dei fiumi. Per un vezzo ecosensoriale di noi moderni millantatori di civiltà urbana. Quando, invece, i nostri avi lo hanno fatto per secoli, per necessità. Con, al posto delle scarpe, enormi escrescenze callose. In fondo, le suole non sono altro che imitazioni dei calli sotto i piedi dei primati. A questo penso mentre diguazzo nell'acqua della piscina che accoglie i miei esercizi di convalescente da un'algodistrofia al piede.

La stessa acqua, lo stesso piede di cui ho già raccontato. E mentre penso ai piedi, provo a vivere con lo sguardo al cielo. Nuoto di dorso. Mi impongo di non guardare davanti, obliquamente, ma all'insù, dritto verso il soffitto. La fronte a pelo d'acqua. Le orecchie completamente immerse. Cullato dai rumori ovattati che l'acqua trasforma in musica, osservo la grande imitazione di una carena lignea di nave che mi sovrasta. E separa lo sguardo dall'esterno. Oltre c'è il cielo. Lo immagino: azzurro, come nessun colore artificiale può imitare. Velato di cirri, come una filigrana d'argento. Quello stesso cielo cui - come per i piedi - mi rivolgo di rado. Il basso e l'alto: due dimensioni inusitate. Per noi che viviamo ritti. Con lo sguardo - e il pensiero - sempre innanzi. Ma la necessità mi offre prospettive nuove. Sarà perché sono costretto a nuotare per un'ora filata. Sarà perché sono preoccupato. Sarà perché sono diversamente vedente ... penso, commisero i miei piedi sotto di me; immagino, vedo il mio cielo sopra di me. Esco dall'acqua. Mi asciugo. Mi rivesto. Saluto. Varco la soglia. Sono sui miei piedi. Sostenuto dalle stampelle. Li sento entrambi: uno sovraccarico, teso, essenziale; l'altro sollevato, impaurito, inutile. Risalgo con lo sguardo verso l'alto. E vedo il cielo. Esattamente come l'ho immaginato. Con la filigrana d'argento a strinare un azzurro inaudito.

 

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