Cascata del Mulinelle: etica ed erotica

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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francesco_bevilacqua_.jpgPrime luci sullo Ionio. Altre volte abbiamo ammirato il  sorgere di Apollo Helios dal mare: il bello della Calabria. Viaggiamo lungo l’inintelligibile scempio urbanistico della costa calabra: il brutto della Calabria. Pieghiamo verso l’interno. Torna il bello. Ed è un paesaggio ignoto ai più. I calanchi impareggiabili di Guardavalle. Scanalati, striati, pittoreschi. Poi il vecchio paese. Silenzioso, spopolato, dedalico. Una strada secondaria sale verso le colline e poi scende verso la valle della Fiumara Assi. Dall’alto, i raggi obliqui del sole disegnano giochi di luce sui costoni, fragili e martoriati, che fanno da spartiacque con la valle della Fiumara Stilaro. Piccola, fulgida, dorata, su un’altura strategica, si intravede la perla bizantina di San Giovanni Theresti. Giungiamo a contrada Zessi. Qui confluiscono l’Assi ed il Mulinelle. Acque color smeraldo che precipitano inquiete dalle foreste sconfinate delle Serre orientali. All’inizio della strada un cartello inneggia ad un qualche progetto europeo e indica “percorso didattico”. Inutile dire che giù non c’è rimasto quasi nulla. Soldi sprecati. Contrada Zessi è un mondo isolato ed arcaico. Un inconsapevole museo vivo della memoria non ancora sepolta di una civiltà. Pochi ruderi di case, uno stazzo, animali al pascolo. Sparsi sul pendio terrazzato che prelude alla ripida pendice boscosa che sale verso Colla dei Pecorari e che divide le due gole fluviali. Parlamentiamo con il pastore. In questi luoghi di sopravvissuti non viene quasi nessuno. E’ giusto che chi vi resiste sappia perché noi siamo lì. Risaliamo a piedi la gola del Mulinelle. Un altro cartello invita a seguire il sentiero segnato: non c’è nulla. Altri soldi sprecati. Rovine di un villaggio, ceselli di terrazzi (rasule) e di muretti di pietre a secco (armacere), cumuli di pietre, rifugi circolari di pastori (pagliari). Tutto parla di un’antica epopea.

Quando la valle, sin dai Greci, era un importante distretto minerario. Poco più avanti una fresca sorgiva sgorga da un bosco di eucalipti e pini, improvvidamente piantato in mezzo alla autoctona macchia di lecci, all’epoca della forestazione. Ancora soldi sprecati. L’alveo è un piccolo deserto di graniti bianchi picchiettati di mica nera. Tondi, levigati, ammassati nei secoli dalla furia dell’acqua. Qui le piene sono spaventose, catastrofiche. Lo vediamo dai tronchi in bilico sulle pietre a due metri e più di altezza rispetto all’alveo. Oggi il tempo è incerto. Nel cielo è un rincorrersi di nuvoloni neri e sprazzi di cielo azzurro. Siamo inquieti. Procediamo di fretta. Più risaliamo, più percepiamo la nostra piccolezza. Mi piace poter contare solo sulle mie forze, sulla mia esperienza, sul mio intuito. Ma so di essere sostanzialmente indifeso. Metto in conto sempre un incidente (qui molto probabile) e mi sforzo di non essere io a provocarlo. Siamo in quattro. Solo in pochi possiamo sentire lo spirito dei luoghi sussurrarci storie senza tempo. Parliamo poco fra noi. Ansimiamo, sudiamo, cerchiamo di imprimere nella memoria visioni, di evocare in noi narrazioni. Enormi frane hanno modificato i luoghi rispetto all’ultima volta che sono stato qui. Resistono i tratti a canyon, sormontati da lisce pareti di roccia. Stillano dai lati acque sorgive. L’acqua del torrente ruggisce furiosa. Si placano in laghi verdi, translucidi. Si vede distintamente ogni minimo particolare del fondo. La gola è un caos di massi di ogni dimensione, alberi che spuntano dalle pietre, tronchi schiantati. Il passaggio sul quale di solito arrampicavamo montando una corda è stato distrutto da una frana ciclopica, paurosa. Vi passiamo sopra intimoriti. Giungiamo alla cascata superiore (ma più sopra ve ne sono altre), rimasta intatta nella sua sinistra bellezza. Qui nessuno ha sprecato soldi. La bellezza si è prodotta senza costi. E’ una bellezza intonsa, generosa, etica, erotica: ci insegna ad avere rispetto, a credere nella passione e nell’amore.

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