A Pasqua risorgo. Nella bellezza e nella felicità.

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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francesco_bevilacqua.jpg"Dove vai a Pasqua?" "Ah guarda ... parto, non ne posso più!" "Bravo, si deve staccare per qualche giorno, lontano dalle preoccupazioni. E ... dove vai?" "Torno a casa mia." "In che senso scusa?" "Sto a casa, leggo, scrivo, curo il giardino, guardo il mio piccolo bosco, osservo il cielo. Al massimo faccio una passeggiata in montagna. Anzi una l'ho anticipata ad oggi, Domenica delle Palme. Ho fatto pace con tutto quel che mi sta intorno e che per sei giorni la settimana, il lavoro mi costringere ad ignorare." "Tu vuoi prendermi in giro!" "Nient'affatto. Vedi, oggi siamo passati da un paese speciale, Sant'Agata d'Esaro, che nessuno conosce e che a nessuno interessa, ma che sta in un luogo unico, meraviglioso. Adagiato tra la valle omonima e le montagne alpestri del Gruppo di Montea. Siamo scesi nell'alta valle dell'Esaro. Abbiamo faticosamente arrancato sul fondo dello stretto e ripido Vallone della Melara, dove ancora sono i resti della teleferica che sino a metà del '900 serviva per trasportare i tronchi immensi tagliati fra questi monti abrupti e selvaggi. C'erano cascate muscose che parevano delle meravigliose vulve di donna solcate de umori erotici. E degli immensi faggi eretti, con le prime, tenere gemme e foglie sui rami. Scena di una sensualità primordiale. Come in un Eden perduto e ritrovato. Tutto sembrava dire: benvenuto nel tempio della rinascita. Questa è la festa pasquale della primavera. Uno stupore muto ci ha colti. Come di chi compie un rito antichissimo, la Pasqua. Molto più antico di Cristo. Come nella poesia di D' Annunzio, che a scuola hanno assegnato a mia figlia come fosse una celebrazione della Pasqua cristiana, ma che è, invece, un inno "pagano" agli antichi riti di resurrezione agraria del Mediterraneo. E poi siamo ascesi al cielo azzurro come non mai. Non volando nell'aria, ma con i nostri piedi, le nostre gambe, i nostri spiriti. Sull'aerea cresta del Monte Faghitello, con un vento teso, tra rupi di calcare, pini loricati, vedute immense. Abbiamo viaggiato nella bellezza. Ed anche noi siamo risorti. Ci siamo liberati. Dalle catene di quella realtà artefatta che avvelena i nostri giorni in città, nei tristi uffici, nei templi del consumo sfrenato, nelle cliniche della depressione collettiva, nei centri dei comportamenti compulsivi ossessivi. Nei posti dello stupro quotidiano della felicità. Chi domina il mondo, come scrive Beigbeder, non ci vuole felici, perché chi è felice non consuma. Ed io alla Domenica delle Palme, a Pasqua, me la riprendo tutta la mia felicità. Tra casa mia e le mie montagne. Felice di risorgere, ed ascendere al cielo ogni anno. Finché non diverrò anch'io foglie e muschio e terra. E tonerò polvere sperduta nella bellezza cosmica.    

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