Un Paese per vecchi, il sud dopo i dati Svimez

Scritto da  Pubblicato in Filippo Veltri

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filippo_veltriIl Sud? Sta diventando un Paese per vecchi, con una senescenza demografica crescente e sempre meno lavoro per i giovani. È la fotografia che emerge dal Rapporto Svimez 2011 presentato nei giorni scorsi a Roma. Il Mezzogiorno continua a crescere meno del Centro-Nord, con un tasso di disoccupazione reale del 25%. Un'area a rischio tsunami demografico, in cui nel 2050 gli over 75 cresceranno di dieci punti percentuali. 

In base a valutazioni Svimez nel 2010 il Pil è aumentato nel Mezzogiorno dello 0,2%, in decisa controtendenza rispetto al - 4,5% del 2009, ma distante di un punto e mezzo percentuale dalla performance del Centro-Nord (+ 1,7%). Delle 533mila unità perse in Italia tra il 2008 e il 2010 ben 281mila sono nel Mezzogiorno. Nel Sud dunque pur essendo presenti meno del 30% degli occupati italiani si concentra il 60% delle perdite di lavoro determinate dalla crisi. Incide in questa area, più che altrove, il calo fortissimo dell'occupazione industriale (meno 120mila addetti, che vuol dire quasi il 15% di calo, che diviene il 20% in Campania).

Ma la vera e propria emergenza ­– rileva il Rapporto Svimez – è tra i giovani. Nel Mezzogiorno, il tasso di occupazione giovanile (15-34 anni) è giunto nel 2010 ad appena il 31,7% (nel 2009 era del 33,3%): praticamente al Sud lavora meno di un giovane su tre. Situazione drammatica per le giovani donne, ferme nel 2010, al 23,3%, 25 punti in meno rispetto al Nord del Paese (56,5%). È come se la "debolezza" sul mercato del lavoro, legata in tutto il Paese alla "condizione giovanile", al Sud si protraesse ben oltre l'età in cui ragionevolmente si può parlare di "giovani". Dal brain drain, cioè dalla "fuga dei cervelli", il drenaggio di capitale umano dalle aree deboli verso le aree a maggiore sviluppo, siamo ormai passati al brain waste, lo "spreco di cervelli", una sottoutilizzazione di dimensioni abnormi del capitale umano formato che non trova neppure più una valvola di sfogo nelle migrazioni.

Nel 2010 il tasso di disoccupazione registrato ufficialmente è stato del 13,4% al Sud e del 6,4% al Centro-Nord, a testimonianza del permanente squilibrio strutturale del nostro mercato del lavoro. Nel Centro-Nord la perdita di posti di lavoro tende a trasformarsi quasi interamente in ricerca di nuovi posti di lavoro; nel Mezzogiorno solo in minima parte diventa effettivamente ricerca di nuova occupazione. Rispetto all'anno precedente, i disoccupati sono aumentati più al Centro-Nord (+ 9,4%) che al Sud (+6,6%). In testa alla non invidiabile classifica la Sicilia, con un tasso del 14,7%, seguita dalla Sardegna (14,1%) e dalla Campania (14%). 

In valori assoluti i disoccupati sono aumentati di 59.300 unità nel Mezzogiorno, di cui 18.500 in Campania e 12.600 in Puglia. Il tasso di disoccupazione ufficiale rileva però una realtà in parte alterata. 
La zona grigia del mercato del lavoro continua ad ampliarsi per effetto in particolare dei disoccupati impliciti, di coloro cioè che non hanno effettuato azioni di ricerca nei sei mesi precedenti l'indagine. Considerando questa componente, il tasso di disoccupazione effettivo nel Centro-Nord supererebbe la soglia del 10% (ufficiale: 6,4%) e al Sud raddoppierebbe, passando nel 2010 dal 13,4% al 25,3% (era stimato nel 23,9% nel 2009). Dopo una riduzione di 110mila unità nel 2008, nel 2009 gli inattivi in età lavorativa sono cresciuti di 329mila unità nel 2009 e di 136mila nel 2010.


Nel Sud cresce la domanda di lavoro in agricoltura (+2%), dopo la forte flessione del 2009 (-   5,8%), con un forte boom in Calabria e Abruzzo, superiore al 10%. In calo l'industria, che segna -5,5%. Ancora peggio se consideriamo l'industria in senso stretto: -7,3%, più del doppio del Centro-Nord (- 3,3%). La dinamica dell'occupazione industriale è sensibilmente negativa in tutte le regioni del Sud, particolarmente in Sicilia (- 8,1%), Calabria (- 6,9%) e Campania (- 6,1%). Fa eccezione il Molise (+ 3,7%), per l'ampio ricorso alla CIG. Giù anche i servizi, con un calo dello 0,4%, ben più marcato che nell'altra ripartizione (+ 0,2%). Particolarmente negativo il dato del Molise (- 4,9%) e della Basilicata (- 3,6%). In controtendenza la Sardegna (+ 3,1%). In valori assoluti, il Sud ha perso nel 2010 77.500 unità nel settore industriale (- 126.600 nel Centro-Nord), e 17.300 unità nei servizi (+ 52.100 nel Centro-Nord). Gli occupati in agricoltura sono cresciuti invece di 16.500 unità, di cui 8.400 al Centro-Nord e 8.100 al Sud (con una forbice compresa tra + 5.800 in Calabria e - 4.900 in Sardegna).

Su queste cifre si è ovviamente imbastito il solito e tedioso balletto delle dichiarazioni di principio, di solidarietà (ma a chi?), le buone intenzioni e via discorrendo. Ci sarebbe da ridere se non venisse da piangere. Tutti sanno quel che accade, poi arriva Istat o Svimez di turno e tutti cadono dalle nuvole e via ai pianti greci di disperazione. Ma – scusate – chi è che deve intervenire? Quegli stessi dei pianti greci di cui sopra. Come a dire che il problema non si risolverà mai. Altro che etica della responsabilità! Intanto quel paese per vecchi diventerà sempre più vecchio.

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