Reggio e la Calabria dopo lo tsunami Sicilia e quello delle province

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Di Filippo Veltri

Dopo lo tsunami siciliano qualcuno si interroga in regione: e se dovesse succedere anche in Italia? E anche in Calabria? Probabile, quasi certo. Facciamoci solo qualche domanda: qualunque osservatore non fazioso dice che la Regione (stavolta con la R maiuscola) coi suoi cinquanta consiglieri mostra permanentemente la sua inutilità rispetto alla soluzione dei problemi complessivi della Calabria. Il caso delle Province e’ emblematico: mentre la Regione si preoccupava di garantire dibattiti e decisioni ufficiali con l’unico obiettivo di non rompersi in mille pezzi, la discussione reale infuriava. Abramo e Tallini, ma anche Loiero, con ‘’Crotone a noi!’’.La Stasi, in giunta regionale con Tallini,  con un ‘Noi di Crotone con Catanzaro mai; costi quel che costi’’. E citiamo solo le punte più avanzate ed esposte dei sentimenti che hanno animato l’intera politica calabrese. Poi il Consiglio dei Ministri ha calato la giusta mannaia e si e’ tornati alla vecchia divisione, Cosenza con Cosenza e Catanzaro con Crotone e Vibo. E giù altri lamenti, proteste, annunci di cortei, etc etc…

Si è dispiegata, insomma, sotto gli occhi dei calabresi la frantumazione della nostra regione non in una discussione vera ma in una discussione come al solito violenta, sgarbata, arrogante ma anche molto furba. Ogni territorio contro l’altro più vicino e tutti convinti che basta il pennacchio della Provincia più grande per essere una vera provincia, una vera comunità. Tutti – ha scritto Aldo Varano - hanno rinunciato all’idea di una crescita complessiva della Calabria attraverso l’uso virtuoso delle potenzialità regionali messe in rete. Il punto è che qui come altrove il regionalismo, che avrebbe dovuto risolvere o comunque alleggerire i nostri problemi attraverso l’autonomia,  è stato un autentico fallimento. La Regione Calabria in oltre quattro decenni non ha saputo trasformare l’espressione geografica Calabria in popolo dei calabresi; né i gruppi di potere che controllano i territori sono riusciti o hanno tentato di diventare classe dirigente calabrese.

Dalla Sicilia è però affiorato, nel mentre andava in scena questa farsa calabrese (che in verità continua imperterrita anche ora senza un minimo di vergogna), un dato inequivocabile, al di là di chi ha vinto e chi ha perso, di Crocetta e Grillo, di Miccichè e Musumeci, un fenomeno inedito nella storia della Repubblica: la maggioranza dei siciliani non ha votato per l’elezione dell’Assemblea regionale. E’ il segno di un distacco drammatico tra l’istituzione e un popolo che a quell’istituzione non riconosce funzione. Nessuno s’illuda che le cose in Calabria stiano in modo molto diverso. Ma  da nessuno, da nessuna parte, si nota però l’avvio di una ricetta per i mali della Calabria. Anche qui o mutismo assoluto oppure le solite chiacchiere demagogiche e populiste. Su Reggio Calabria, sciolta per contiguità mafiosa, invece di pensare – ad esempio - a che fare, dopo oltre un mese dalla decisione del ministro Cancellieri sul problema del dissesto finanziario del Comune, infuria una polemica inutile e Reggio ha innanzi a sé scelte drammatiche. Innanzitutto ha il ‘’problema – ha lucidamente scritto Massimo Acquaro - di come rifondare la rete delle relazioni umane terribilmente lacerata dalle vicende degli ultimi anni. La comunità è sull'orlo di una crisi di nervi, sfiducia, sospetti, malumori, invidie segnano una distanza talvolta incolmabile tra le persone che, ormai, praticano la diffidenza come prima regola di vita. I movimenti antimafia, quelli a base volontaria e senza contributi pubblici, annaspano in visioni apocalittiche, istanze di rinnovamento del tutto velleitarie (del genere l'umanità deve cambiare e gli uomini migliorare)’’. Invece accade che qualcuno dice che il provvedimento del Governo è punitivo, altri annunciano ricorso al Tar, i più tacciono. Ancora tacciono. In maniera incomprensibile, dopo un mese. Insomma, se questo e’ l’approccio del dopo Sicilia c’e’ poco da stare allegri e si conferma quel vecchio detto: e’ fatta l’ Italia e ora facciamo gli italiani. Tradotto: i calabresi non esistono e, al più, esiste la Calabria.

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