Al Lamezia Film Fest l'attrice Valentina Lodovini e lo sceneggiatore Mauro Uzzeo

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Lamezia Terme - Seconda giornata e altra passerella di nomi illustri per il Lamezia Film Fest, che ha ospitato, nella cornice del Teatro Grandinetti, Valentina Lodovini, tra le più quotate interpreti del cinema italiano, e il fumettista e sceneggiatore Mauro Uzzeo, noto per essere parte integrante dello staff del nuovo Dylan Dog. Se grande attenzione era rivolta all’attrice umbra, David di Donatello nel 2011 per la sua performance in “Benvenuti al Sud” di Luca Miniero, autentico mattatore della serata è stato invece proprio il vulcanico Uzzeo, che ha ripercorso il processo di scrittura del film “Monolith”, proiettato successivamente allo stesso Film Fest, e il suo rapporto con il celebre personaggio creato nel 1986 da Tiziano Sclavi. Ad aprire il dibattito, però, la Lodovini, intervistata dai direttori artistici, GianLorenzo Franzì e Mario Vitale, su un approccio alla recitazione che l’ha vista emergere in un contesto cinematografico, quello italiano, ancora in discreta salute nonostante qualche limite di troppo: “Credo che negli ultimi anni sia stata la nostra visione ottimistica a salvarci. Vedo del fermento, vedo che qualcosa si muove. Quello che un po’ manca, forse, è il pubblico, da un lato partecipe, dall’altro a volte troppo distante. Probabilmente, non riusciamo a vedere il cinema come un’industria, come un mercato e questo ci penalizza tantissimo. Ecco perché fuori non ci conoscono”.

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Un’eccezione potrebbe esser rappresentata da quel Paolo Sorrentino, premio Oscar nel 2014 per “La Grande Bellezza”, che le diede fiducia agli albori della sua carriera ne “L’Amico di Famiglia” (2006), punto di partenza per raccontare i suoi primi passi nel mondo del cinema: “Ho sempre avuto questa passione e ho semplicemente inseguito il mio sogno. Più che metterci la testa e fare strategie, mi sono limitata a inseguirlo. E posso dire di essere nata sotto una buona stella perché già agli inizi, in particolare quando ho lavorato con Sorrentino di cui avevo amato follemente “L’Uomo in Più”, mi meravigliavo di come la realtà avesse superato la fantasia. La svolta è poi arrivata con “Benvenuti al Sud”, un film particolarmente amato dal grande pubblico”. Da lì un percorso in continua ascesa fortemente determinato da un amore viscerale per la settima arte (“è il mio tutto, il mio primo tutto”) e da un metodo quantomai ortodosso, allergico alle improvvisazioni ma sempre fedele alla “sacralità” della sceneggiatura: “I film li distinguo in buone o cattive sceneggiature, il resto viene dopo. La sceneggiatura è la spina dorsale del tutto e ha un'importanza che spesso sottovalutiamo, soprattutto nel nostro Paese. Stesso discorso per le tematiche, che sono fondamentali, e per l’analisi del testo, che mi permette di sviluppare meglio i personaggi. Parte tutto da lì. Io cerco di vedere sempre gli esseri umani dietro ai personaggi. Li chiamo sopralluoghi emotivi”.

La serata è poi entrata decisamente nel vivo con Mauro Uzzeo, mente arguta e favella da stand up comedian consumato, che ha parlato del suo approdo al cinema: “È una storia che parte parecchi anni fa e ha un unico motivo alla base, il precariato. Faccio parte di un gruppo di autori, ma direi di un’intera generazione, che non aveva in tasca le chiavi di un futuro certo, così abbiamo iniziato a darci da fare partendo dai fumetti, seguiti dalle pubblicità, dai videoclip, fino ad arrivare al cinema. Passiamo insomma da un medium all’altro nel tentativo di divulgare il nostro messaggio". L’ultimo incontro ravvicinato con il grande schermo è arrivato proprio con “Monolith”, fumetto incentrato su ansia, tecnologia e maternità divenuto, non senza difficoltà, un thriller diretto da Ivan Silvestrini: “Monolith” è una di quelle storie che dà ai produttori l’impressione che costi poco. Scrivevamo fumetto e film quasi contemporaneamente, ma mentre nel primo caso non hai limiti di budget, nel secondo devi rispettare determinati parametri. Ben presto ci siamo resi conto che soltanto le prime dieci pagine avrebbero praticamente dilapidato i soldi a nostra disposizione, così abbiamo dovuto trovare una serie di espedienti per completarlo. È stato difficile ma anche molto divertente. Film e fumetto, col tempo, sono però diventati due cose differenti e infatti presentano due finali diversi”.

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Tra un aneddoto e l’altro sulla produzione del film e sui suoi lavori in campo pubblicitario (spassosa, in particolar modo, la creazione dell’ormai celebre spot dell’acqua Lete con la particella di sodio “rubata” al protagonista di “Alla Ricerca di Nemo”), il racconto torrenziale di Uzzeo si è poi soffermato sul suo Dylan Dog, nuova incarnazione che ha provocato reazioni contrastanti tra gli appassionati del celebre “investigatore dell’incubo” creato da Tiziano Sclavi: “Dylan Dog nasce come personaggio fortemente autoriale, era lo specchio di Sclavi. Un protagonista, tra l’altro, in netto anticipo sui tempi e, parliamoci chiaro, anche molto politicizzato. Dylan Dog era di sinistra. Negli anni è stato portato avanti da svariati autori, ma aveva perso un po’ la carica della seconda metà degli anni ’80. Recchioni mi ha dunque chiesto di riportare quel fumetto negli zaini dei ragazzi e l’idea era quella di rappresentare qualcosa che mi spaventasse realmente, in questo caso la verità privata della sua oggettività. Così abbiamo cercato di parlare di verità diverse raccontandole come fa la gente sui social, ma la cosa ha scatenato reazioni anche piuttosto veementi, penso a quell’avvocato del Family Day che sperava che Tex Willer sparasse a me e Bonelli o alle due pagine di Maurizio Belpietro proprio su “La Verità”. La storia l’ho scritta tre anni fa, quando magari avrebbe fatto incazzare meno persone, ma volevo solo parlare di ciò che mi spaventa e credo che il dialogo sia l’unica cosa che ci può salvare”.

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In chiusura, su invito di Mario Vitale, un’ultima considerazione sul lavoro di sceneggiatore in netta antitesi con il pensiero della Lodovini: “Nonostante sia il mio mestiere, non riconosco alcuna sacralità alla sceneggiatura. Ci sono due cose ben più sacre, la regia e l’interpretazione. Quello che scrivo è un mero materiale tecnico di passaggio, secondo me. Non ho mai pensato possa essere immutabile, anzi spero sempre che venga inteso come primo passo verso la creazione di qualcosa di più grande, di più bello”. Il Lamezia Fim Fest proseguirà fino a sabato 18 novembre quando la violenza metropolitana e la ricerca della redenzione di Abel Ferrara approderanno a Lamezia per l’evento di punta di questa quarta edizione. Un appuntamento da non perdere.

Francesco Sacco

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